Se la sarà pure presa coi sindacati, il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia, in una lunga intervista sul disastro Alitalia. Ma la sua conclusione non è diversa, nella sostanza, da quella di un’altra intervista rilasciata ieri: dal segretario generale della Cgil, Susanna Camusso. Alitalia – secondo entrambi – non può essere lasciata al suo destino di azienda in dissesto: un destino deciso prima da lunghi anni di cattiva gestione da parte di azionisti e manager e infine dal no di due terzi dei dipendenti alla proposta di ridursi i compensi per meno del 10% e di accettare alcune centinaia di esuberi morbidi. Questo in cambio di una ennesima ricapitalizzazione, dalle prospettive incerte ma comunque già decisa.
Boccia lamenta – sul quotidiano della capitale – “I gravi danni per Roma”: constatazione in parte corretta (a parte l’aggettivo “grave”), ma non è chiaro come il default di un’azienda privata basata alla periferia di Roma debba porre automaticamente l’esigenza di un interesse pubblico da tutelare (a rigore per i due milioni e mezzo di Roma è più “grave” la crisi forse irreversibile dell’Atac, gestore del trasporto locale e pozzo senza fondo nelle finanze del Comune).
Camusso, naturalmente, elude sia sostantivi che aggettivi riguardo i dipendenti Alitalia, che hanno detto no anche al favore del sindacato per un’intesa. Il capo della Cgil tira subito diritto al classico “piano B” dell’intervento pubblico, coerente con una cultura economico-sindacale in cui posti e costi del lavoro restano “variabile indipedente”. No alla nazionalizzazione, prova a dire Camusso come il premier Paolo Gentiloni, ma anche lei – non diversamente da Boccia e dalla “proposta Pd” preannunciata da Matteo Renzi – hanno in mente il soccorso della Cassa Depositi e Prestiti: già candidata a un altro salvataggio, quello di un gruppo siderurgico in crisi alla periferia di Taranto (l’Ilva non è più statale, ma come l’Alitalia non è mai divenuta davvero un’impresa privata).
Tutti naturalmente, ostentano fiducia in un intervento transitorio, nell’attesa di un “partner estero” (come se Air France ed Ethiad non avessero già dimostrato la refrattarietà di Alitalia a ogni alleanza). E tutti fingono di dimenticare che la Cdp è di proprietà statale, ma gestisce risparmio privato, quello da maneggiare con più cura: i piccoli depositi delle famiglie presso le Poste (“che non falliscono” e che d’altra parte sono oggi una società quotata in Borsa, che lo Stato dovrà prima o poi privatizzare del tutto).
In molti, intanto, sembrano aver dimenticato l’ultima volta che il numero uno di Confindustria e quello della Cgil si sono ritrovati d’accordo: era l’estate del 2011. Il leader degli industriali era Emma Marcegaglia e si scambiava strette di mano con Camusso. Il quotidiano di Viale dell’Astronomia invitata a “Fare presto” a cacciare il governo Berlusconi, a insediare Mario Monti e a sottoscrivere l’austerity voluta “dall’Europa e dai mercati”. Nel frattempo Alitalia è tecnicamente fallita e Marcegaglia è divenuta presidente dell’Eni (confermata da poco su indicazione di Renzi) e grande supporter, l’anno scorso, dell’elezione di Boccia in Confindustria.
Sei anni dopo – centrosinistra, Confindustria e Cgil sono di nuovo d’accordo: ma stavolta “a far tardi” su Alitalia. In attesa – forse – dell’austerità prossima ventura. Dopo le elezioni. Lontano da città come Roma e Taranto. Magari con quella patrimoniale a targa Pd-Cgil apertamente minacciata l’altra sera da Andrea Orlando e Michele Emiliano, mentre Matteo Renzi invitava gli italiani a “star sereni”.