La situazione di Mps, come pure quella di Banca Etruria, non aiutano certo le piccole imprese toscane e Alessandro Vittorio Sorani lo ha fatto notare in maniera molto chiara. “Il denaro sempre più scarso e più costoso per artigiani e piccole imprese non depone certo a favore del rilancio della nostra economia”, ha detto il Presidente di Confartigianato di Firenze. L’associazione ha elaborato anche uno studio da cui emerge che il credito concesso alle imprese artigiane della Toscana, a settembre scorso, ammontava a 3,86 miliardi di euro, il 6% in meno rispetto all’anno precedente. La Toscana è inoltre una delle 12 regioni italiane con un andamento negativo dei prestiti all’artigianato. “Il credito è indispensabile per la ripresa degli investimenti e per rimettere in moto il sistema produttivo”, ha aggiunto Sorani, ricordando come non concederlo possa trasformarsi in un boomerang per le stesse banche.



In attesa che arrivino decisioni delle istituzioni europee sul futuro di Mps, non mancano certo i riferimenti agli avvenimenti passati della banca toscana. Claudio Costamagna, per esempio, ha voluto spiegare che sarebbe stato impossibile un intervento della Cassa depositi e prestiti per mettere in salvo Montepaschi. Il Presidente della Cdp, secondo quanto riporta l’Ansa, ha infatti spiegato che l’acquisto di una quota di controllo di Rocca Salimbeni avrebbe fatto diventare Cassa depositi e prestiti un gruppo bancario e questo avrebbe creato dei problemi sulle quote detenute in altre aziende, come per esempio l’Eni. Di fatto Cdp non avrebbe più potuto detenere la quota nella società del cane a sei zampe.



È noto che i crediti deteriorati saranno un nodo importante da affrontare per il futuro di Mps. Citywire, riprendendo dati di Milano Finanza, ha ricordato che alla fine del 2016 gli Npl in pancia alla banche italiane ammontavano a 144 miliardi di euro, in calo rispetto ai 170 di fine 2015. Guardando ai singoli istituti di credito, Intesa Sanpaolo a inizio 2017 aveva in pancia 30 miliardi di Npl, in caso rispetto ai 33 dell’anno precedente. Unicredit, invece, era riuscita a passare da 38 a 27 miliardi. Al terzo posto di questa graduatoria troviamo Montepaschi, con 20 miliardi di crediti deteriorati, quattro in meno in un anno. Più indietro Banco Bpm (16 miliardi), Ubi Banca (8 miliardi) e Bper (6 miliardi).



Quando a Francesco Caio non è stata rinnovata la carica di amministratore delegato di Poste Italiane, diverse indiscrezioni hanno fatto pensare che ciò fosse dovuto anche al fatto che avrebbe respinto le pressioni del Governo Renzi, rifiutandosi di intervenire in soccorso di Mps. Secondo Massimo Mucchetti, però, questo dovrebbe costituire un merito e non un demerito. A Radio 24, il presidente della commissione Industria del Senato ha detto di voler “sapere perché Caio non andava bene alle Poste. Perché ha detto di no all’ingresso delle poste nel salvataggio di JP Morgan del Monte dei Paschi di Siena? Perché non ha speso qualsiasi cifra per prendere il gestore di asset management Pioneer? Perché ha impiegato un anno a quotare le Poste, anziché farlo subito, perché voleva quotare una cosa seria e non una cosa raccoglitizia? basta andare a vedere i bilanci per vedere che aveva ragione. Queste erano tre medaglie da appuntare sul petto di Caio non tre ragioni per sostituirlo”.

Mps resta in attesa di novità da parte delle istituzioni europee circa il piano industriale, che servirà per dare il via libera alla ricapitalizzazione precauzionale necessaria a consentire al Tesoro di aumentare la sua quota in Rocca Salimbeni, iniettando liquidità importante per la banca toscana. Per diverso tempo pare che Bce e Commissione europea non fossero d’accordo sull’entità della ricapitalizzazione stessa, soprattutto perché l’Eurotower ha chiesto sostanzialmente 8,8 miliardi di euro per mettere in sicurezza Monte dei Paschi di Siena, quando meno di un mese prima ne aveva chiesti 5, per un’operazione di mercato che non ha avuto poi successo. La Banca centrale europea è finita ora nel mirino di Transparency International, secondo cui non c’è abbastanza trasparenza nel comportamento dell’istituzione dell’Eurozona, che del resto ha poteri grandi, ma prende decisioni in maniera poco democratica. L’Organizzazione non governativa cita il caso della Grecia. Nel 2015, la Bce ha limitato il tetto della liquidità di emergenza per le banche elleniche, mettendo di fatto sotto pressione il Governo di Atene che stava negoziando un nuovo salvataggio. “La stessa dinamica può accadere con il nuovo negoziato greco o con la ricapitalizzazione del Monte dei Paschi di Siena”, si legge nel rapporto di Transparency International, il cui coordinatore Leo Hoffmann-Axthelm, secondo quanto riporta l’Ansa, ha spiegato che “chiare decisioni che hanno effetti sul destino dell’intera economia dovrebbero avere qualche forma di controllo democratico”. Insomma, troppa tecnocrazia alla Bce, che potrebbe avere troppo potere nelle sue mani.