“Durante la crisi dell’euro i Paesi del Nord hanno dimostrato solidarietà con i Paesi più colpiti. Come socialdemocratico do’ molta importanza alla solidarietà, ma hai anche degli obblighi, non puoi spendere tutti i soldi per alcol e donne e poi chiedere aiuto”. Queste le gravissime affermazioni di Jeroen Dijsselbloem, presidente dell’Eurogruppo, rilasciate durante un’intervista a un giornale tedesco. E le successive spiegazioni sono ancora più gravi: non è pentito delle sue parole, secondo lui è molto chiaro il senso, ma voleva dire che la solidarietà è un valore importante che va a braccetto con il rispetto delle regole.
Già, il rispetto delle regole. Proprio quelle regole che la Bce non ha rispettato fin dall’inizio, del suo mandato, quando ha iniziato a innaffiare il mondo bancario e finanziario di un eccesso di moneta. E quelle regole che prima di tutti Francia e Germania non hanno rispettato, violando i limiti europei sul deficit senza incorrere in sanzioni e violando la regola di non finanziare gli stati intervenendo sulla vendita dei titoli di Stato.
Ha tentato pure di smarcarsi da una polemica nord-sud Europa, ma le sue frasi sono chiare, inequivocabili: è lui che ha parlato di “Paesi del Nord” che hanno dimostrato solidarietà. E che tipo di solidarietà è stata? Lo sappiamo bene: la Bce ha elargito generosamente ai paesi indebitati perché questi pagassero i loro titoli, che erano nelle tasche delle banche del Nord: questa sarebbe la loro solidarietà? Nuovo debito sulle spalle di paesi poveri per continuare ad arricchire le banche del Nord? E perché dice che “i Paesi del Nord hanno mostrato solidarietà”, quando invece l’intervento finanziario (per far arrivare i soldi alle banche del Nord) è stato sostenuto dall’Ue, cioè da tutti i paesi?
Non è un caso quindi se sono stati Italia (con Renzi), Spagna e Portogallo a chiedere le dimissioni (forse la Grecia non le ha chieste perché prossimamente deve avere una rata di prestiti), mentre a difenderlo sono stati il lussemburghese Juncker (presidente della Commissione europea) e il tedesco Schaeuble (ministro delle Finanze). E Dijsselbloem bisogna pure comprenderlo: sta per perdere potere anche per il fallimento clamoroso del suo partito nelle recenti elezioni olandesi, caduto dal 24% al 6%. Rischia di non essere più ministro delle Finanze e quindi di uscire dall’Eurogruppo. E in fondo lui non ha fatto altro che dire ad alta voce quello che pensa la gran parte degli olandesi. Per uno Stato di appena 17 milioni di abitanti, l’Unione europea è una necessità, non una scelta: il grande mercato europeo, la pesca miracolosa negli atenei del sud (disastrati, ma pur sempre laboratori che sfornano qualità) a caccia di lavoratori qualificati, i fondi strutturali, il gambling fiscale con le multinazionali (per cui anche la Fiat ha spostato lì la sua sede), gli investimenti in Stati in fallimento avendo la garanzia di non perdere soldi perché coperti dalla Bce. Questa è l’Europa per l’olandese medio: un’opportunità economica molto vantaggiosa, non un progetto politico.
E bisogna pure capire quali interessi difende Dijsselbloem: infatti, è anche presidente del consiglio dei governatori del Meccanismo europeo di stabilità, il famigerato Mes il cui intervento in soccorso di uno Stato comporta gravi perdite di sovranità insieme a nuovo debito. Quindi è uno di quei personaggi che vedrebbe come un successo l’intervento del Mes (per esempio) in Italia per creare le migliori possibilità lucrative per investitori e speculatori olandesi.
E siccome il diavolo fa le pentole, ma non i coperchi, nella sua stizzita replica a un giornalista (al quale ha detto “non c’è bisogno che mi rilegga le mie parole, io sono bene cosa ho detto perché quelle parole sono uscite dalla mia bocca”) ha aggiunto “mi riferivo a me stesso” parlando di donne e alcol. E siccome gli statistici hanno subito notato che in fatto di spese per alcol e prostituzione è l’Olanda a piazzarsi tra i primi posti in Europa e non i paesi “del Sud”, Dijsselbloem ha raggiunto il brillante risultato di farsi disprezzare pure dai suoi connazionali. Tipica parabola di un politico fallito, che rimane a galla e in qualche modo al potere solo per palesi protezioni della casta burocratica europea.
Ma per giudicare adeguatamente un fenomeno bisogna leggerne la nascita. E la nascita dell’Unione europea, festeggiata il 25 marzo per i suoi 60 anni, è quel Trattato di Roma i cui indiscussi protagonisti furono De Gasperi, Adenauer e Schumann. Sono stati forse ricordati? Per nulla. I personaggi ricordati sono il radicale Spinelli e il comunista Rossi, gli autori del “Manifesto di Ventotene”, considerato dalla cultura europeista oggi dominante come il manifesto fondativo dell’attuale Europa. Il problema è che quella idea di Europa, federalista e contraria a ogni sovranità dei popoli, è radicalmente opposta a quella invece disegnata da De Gasperi, Adenauer e Schumann.
Basta leggere alcuni brani di quel manifesto: “Il problema che in primo luogo va risolto, e fallendo il quale qualsiasi altro progresso non è che apparenza, è la definitiva abolizione della divisione dell’Europa in stati nazionali sovrani… Assurdo è risultato il principio del non intervento, secondo il quale ogni popolo dovrebbe essere lasciato libero di darsi il governo dispotico che meglio crede, quasi che la costituzione interna di ogni singolo stato non costituisse un interesse vitale per tutti gli altri paesi europei…” e così cancellano il principio di autodeterminazione dei popoli. Ma non basta “La proprietà privata deve essere abolita, limitata, corretta, estesa, caso per caso, non dogmaticamente in linea di principio… ” e tanti saluti al libero mercato; “la Chiesa cattolica continua inflessibilmente a considerarsi unica società perfetta, a cui lo stato dovrebbe sottomettersi, fornendole le armi temporali per imporre il rispetto della sua ortodossia. Si presenta come naturale alleata di tutti i regimi reazionari, di cui cerca approfittare per ottenere esenzioni e privilegi, per ricostruire il suo patrimonio, per stendere di nuovo i suoi tentacoli sulla scuola e sull’ordinamento della famiglia…” e tanti saluti alla libertà religiosa, poiché “tutte le credenze religiose dovranno essere ugualmente rispettate, ma lo stato non dovrà più avere un bilancio dei culti, e dovrà riprendere la sua opera educatrice per lo sviluppo dello spirito critico…”, dove ovviamente la verità viene messa in soffitta. Infine, la violenza per dominare le minoranze: “I democratici non rifuggono per principio dalla violenza, ma la vogliono adoperare solo quando la maggioranza sia convinta della sua indispensabilità, cioè propriamente quando non è più altro che un pressoché superfluo puntino da mettere sulla i”.
Papa Francesco nel suo discorso ha puntato tutto sulla solidarietà. Pure diversi premier hanno citato la necessaria solidarietà. Ma sono solo chiacchiere: dal giorno dopo, nel momento di prendere le decisioni, i paesi più forti useranno la loro forza contro le ragioni dei più deboli. Qui non c’è più il problema di capire se le ragioni sono corrette, ma l’unica questione in gioco è l’uso della forza (politica ed economica) per risolvere le questioni tra i paesi.
C’è un ultimo argomento a cui tengo particolarmente: la ripetuta menzogna sui “70 anni di pace che abbiamo avuto grazie all’Europa”. Evidentemente per chi sostiene la menzogna che abbiamo avuto questi 70 anni di pace, i paesi dell’ex Jugoslavia non fanno parte dell’Europa: altrimenti dovrebbero essere citati i 4 anni di guerra civile (1991-1995) che hanno portato oltre 90 mila morti e diversi episodi raccapriccianti di pulizia etnica. E forse si intende guerra solo quando le bombe cadono sul suolo europeo, perché è difficile comunque pensare alla pace quando forze militari di paesi europei sono impegnati in conflitti vari (Libia, nessuno si ricorda i bombardamenti?) e quando le nostre armi vengono vendute per alimentare eterni conflitti (Siria e altri).
E poi come si fa a dimenticare che dal 2001, al seguito degli Usa, siamo in una “eterna guerra contro il terrorismo”? Tutti sono concordi che questo si è alimentato dalla “esportazione della democrazia”, spesso fatta anche questa con le armi. La vogliamo chiamare pace?
Questa Europa ha nelle proprie origini la menzogna, quella stessa menzogna rifiutata dai connazionali dell’olandese Dijsselbloem col referendum del 2005 (e nel 2016 sempre gli olandesi hanno bocciato l’accordo UE con l’Ucraina). Un’Europa che continua a imporre le proprie leggi contro la volontà dei popoli. E la solidarietà, finiti i festeggiamenti, sarà solo una vuota parola.