Come era facilmente prevedibile, visto anche i mezzi non proprio democratici usati per convincere a votare Sì al referendum da parte dei piani alti del Governo e dei sindacati, il No ha trionfato oltre ogni logica prospettiva anche in Alitalia. Ed è un fatto altamente preoccupante non perché la decisione presa sia presagio di catastrofi imminenti, ma perché pare che il mondo politico e sindacale non abbia capito che la misura (già sperimentata nel referendum di dicembre) è colma. Siamo arrivati a giocare con la disperazione dei lavoratori e il segnale di lunedì è stato chiarissimo, ma non per chi ha creduto, passando ogni limite, di proporre un piano disastroso che non solo gli esperti del settore, ma pure per le banche che finanziano Alitalia (altrimenti perché hanno invocato garanzie statali?) hanno ritenuto inattuabile alla salvezza dell’ex Compagnia di bandiera. 



Parliamoci chiaro: in quel modo Alitalia sarebbe durata molto poco, proseguendo in un harakiri in un settore dove tutti, ma proprio tutti, i vettori stanno facendo guadagni colossali. Non solo perché le aerolinee internazionali approfittano del prezzo del greggio, ma anche perché invece di insistere messianicamente nel taglio del costo del lavoro (unica arma comune che ha contraddistinto i vari manager di Alitalia dal 2006 in poi, senza capire che pure senza stipendiare il personale il rosso è inevitabile) puntano allo sviluppo e a moltiplicare i guadagni attraverso investimenti sulla flotta, il network e… il personale stesso.



Nel corso di una conferenza presso l’Accademia delle Scienze del Vaticano svoltasi due mesi fa, lo scienziato Stephen Hawking aveva dichiarato, riferendosi alle elezioni americane: “Il mondo politico e i Governi attuali devono scendere dalla loro superbia, altrimenti apriranno le porte al populismo”. È stato profeta, ma qual è la connessione con la faccenda Alitalia? Semplice, lo Stato deve tornare a fare il suo mestiere, quello di costruire un Sistema Paese e di finirla una volta per tutte di intraprendere percorsi che alla lunga possono provocare disastri sociali difficilmente governabili.



Nessuno invoca il ripetersi delle tragiche vicende che hanno costellato la storia di quella che era tra le 8 compagnie aeree leader a livello mondiale, con soldi letteralmente buttati dalla finestra (si pensi agli oltre 5 miliardi investiti nell’operazione “Capitani Coraggiosi”) e raffiche di licenziamenti. No, sarebbe un ulteriore suicidio: si pensi finalmente nel mercato, ma con regole (che esistono) rispettate da tutti e sopratutto non buttiamo dalla finestra 70 anni di storia di uno dei simboli nostrani. 

Come fare? Semplice. L’idea è stata elaborata sia dal Comune di Fiumicino che dalla Regione Lazio e consiste in una proprietà della compagnia completamente italiana, attraverso l’intervento sia di Finmeccanica che di Trenitalia, in modo da formare un pool dei trasporti nazionale, quindi una manovra tesa a iniziare, con qualche decennio di ritardo sugli altri Paesi europei, quel Sistema Paese abortito da noi nel 1998 con la fosca vicenda dell’alleanza Alitalia-Klm e la nascita di Malpensa come hub.

La politica fece fallire quel progetto, ma è urgente riproporlo, così come urgentissimo è fare chiarezza sulla penetrazione del fenomeno low cost, che ha nell’Italia il campione europeo. Principalmente perché, anche se anni fa ci fu un abbozzo di requisiti di sistema in ambito aeroportuale, poi mai applicato, il nostro Paese è tornato magicamente indietro all’epoca comunale, dove ogni città, ogni capoluogo di provincia o Regione moltiplica collegamenti con le low cost spesso utili al solo scopo di far funzionare aeroporti che altrimenti non esisterebbero come traffico. Sostanzialmente a spese delle varie entità che li posseggono (Comuni, Provincie, Regioni) attraverso un finanziamento alle low cost regolato da contratti spesso coperti da segreto. È questo il mondo del co-marketing e, nonostante il ministro dell’Economia Padoan lo abbia smentito alla Camera, ciò provoca da parte dello Stato un finanziamento a vettori stranieri che spesso agiscono al di fuori delle leggi sul lavoro e in piena evasione fiscale.

Il progetto su Alitalia sopra descritto non infrangerebbe nessuna legge dell’Ue, in quanto sia Finmeccanica che Trenitalia sono quotate in Borsa ed essendo società in regime di mercato dovrebbero operare con un altro principio ahimè per noi rivoluzionario: quello di un management finalmente all’altezza del settore e sopratutto non legato a compagnie straniere. L’esperienza attuale con Etihad (che aveva promesso cose incredibili, mai realizzate, attraverso i proclami dei suoi manager) e con Air France insegnano come l’interesse principale dei vettori risieda nell’impossessarsi del traffico e delle tecnologie di un altro. 

Qui si rifà l’Italia aeronautica o si muore: sì, perché la perdita di un vettore nazionale di riferimento, se alla fine si decidesse di regalare (pare incredibile, ma è così) Alitalia ad Air France o Lufthansa, sarebbe un colpo gravissimo non solo per l’economia, ma anche per il Paese in toto.