Bene, adesso il capro espiatorio c’è: Paolo Crepet. Grande psichiatra, volto celebre della tv, consulente – ahilui – di Lottomatica e, pertanto, reo esecrabile di conflitto d’interessi quando parla – da libero pensatore qual è in effetti – di gioco d’azzardo per dire, com’è ovvio, che scientificamente non è dimostrato che sia nocivo. Cioè, si può aggiungere: giocarsi 5 euro a poker con gli amici la sera non solo non è nocivo, ma è un gradevole e rilassante passatempo. Bruciarsi il patrimonio a poker con degli sconosciuti in una bisca clandestina è una follia da “addict” del gioco, che è tutt’altra cosa. E invece no. Apriti cielo, tutti a sfotterlo o a indignarsi col bravo Crepet. Mentre il sindaco di Bergamo, l’abatino renziano Giorgio Gori, indimenticato autore di programmi televisivi di alta cultura come L’Isola dei famosi e MasterChef, detta norme draconiane (leggi: severissime, caso mai al Comune di Bergamo avessero dubbi) per rincarare la dose delle regole nazionali che già limitano la diffusione indiscriminata di quei totem – effettivamente – del gioco d’azzardo popolare peggiore che c’è, cioè le cosiddette “macchinette”, le slot-machine – in sigla americana Awp (cioè amusement with prize, divertimento a pagamento) -, che infestano (sono oltre 400 mila) le nostre città. Perché indubbiamente di infestazione si tratta. Però: anche le mosche infestano, e ci conviviamo con cristiana rassegnazione perché sterminarle sarebbe peggio anche per noi…
Invece, se davvero ci teniamo all’igiene mentale di noi tutti e dei nostri figli, anziché avvitarci nel proibizionismo e compiacerci delle metriche con cui Gori e i benpensanti fingono di poter limitare il business delle Awp cerchiamo di capire i numeri, i problemi veri e quelli finti di un fenomeno certo pericoloso – la ludopatia, per dirla in gergo -, ma non per questo risolvibile con due trovate da amici al bar.
Innanzitutto ricordiamoci di cosa stiamo parlando: il volume finanziario raggiunto, complessivamente, dal gioco d’azzardo legale in Italia è stato di 95 miliardi di euro. Avete letto bene: quasi il 5% del Pil. Lo stesso Gori riconosce che “non si tratta infatti di ‘vietare il gioco’ – cosa che farebbe la fortuna del mercato illegale e delle organizzazioni criminali -, ma di limitarne la diffusione e gli effetti dannosi”. E meno male. Questa mole di giocate ha fruttato 10 miliardi al fisco. Come contrastare il gioco d’azzardo legale senza rinunciare a questo gettito anzi, semmai, incrementandolo, come servirebbe al governo Gentiloni per trovare i famosi 3,4 miliardi della manovra correttiva da fare entro aprile per obbedire al diktat europeo?
Ecco il dilemma ipocrita in cui si trova il governo. E d’altronde, come vietare l’azzardo legare senza fare, contemporaneamente, un regalone alla malavita che già prospera sulle bische clandestine, nonostante quei 95 miliardi spesi dagli italiani alla luce del sole per giocare con la benedizione statale? Un dilemma cornuto: e allora, che fare? Gori e gli altri si accaniscono a iper-normare ciò che è già normato. E quindi prescrivere – ad esempio – che le “macchinette” non possano essere più vicine di 100 metri, o 200 o vattelapesca, a scuole, ospedali eccetera. E cosa cambia? Secondo questi illuminati legislatori chi è “addict” delle macchinette ha la gotta o zoppica e non può, volendo, fare 100 metri in più?
La verità è ben altra, ma purtroppo lo Stato gira, per ora, la testa dalla parte opposta. I dati raccontano che un numero crescente di italiani non va a giocare alle Vlt, e tantomeno alle vecchie e care ricevitorie dei giochi classici, ma si tuffa la sera e la notte nei propri computer domestici, dove la raccolta “censita” di giocate è salita dai 7,4 miliardi del 2014 ai 12,6 del 2016. Il paradosso è che su queste giocate – evidentemente una parte piccola di un tutto oscuro a enorme – il prelievo fiscale è del 20% contro il 54% che grava sulle giocate “fisiche”. Ovviamente, se questo prelievo sulle giocate fisiche salisse, facendo salire i prezzi dei vari giochi o scendere lo standard delle vincite, si stimolerebbe ulteriormente la webbisca che sta strangolando centinaia di migliaia di veri, e indifesi, addict internettari.
Con buona pace dell’Agenda digitale, dell’Italia Digitale, dei digital champions e dei vari Piacentini piazzati a ben figurare a palazzo Chigi, manca in Italia qualsiasi strategia di vigilanza e repressione – sia pure nei ristretti limiti del possibile – contro il “dark web” che incentiva l’azzardo davvero pericoloso, ma anche la prostituzione, la tratta dei minori e lo spaccio di droga, ma l’unica prevenzione e repressione di questo marciume lo tenta come può soltanto la decimata Polizia Postale…
Finora il legislatore ha lasciato in pace i giochi online, anziché intervenire proprio sul settore a più alta marginalità, con le tasse di concessione più basse (solo 300 mila euro per concessione rispetto a decine di milioni di euro per le altre) e a più elevata pericolosità sociale: il gioco on-line non ha orari, non deve sottostare alle regole sull’ubicazione dei tabaccai, è facilmente alla portata dei minorenni, e, ironia della sorte, è inspiegabilmente tassato poco, con buona pace delle casse dell’erario.
Invece, dagli alla ricevitoria. Quando basterebbe stringere le redini contro “l’addiction” da awp introducendo, a carico dei gestori, l’obbligo di vigilare contro l’abuso delle macchinette da parte dei minori – anche per comprare le sigarette al distributore automatico occorre dimostrare la maggiore età! – e contro l’eccesso di gioco, limitando per esempio la durata nel tempo di una seduta di gioco e la ripetibilità delle sedute da parte di uno stesso giocatore. Ma sarebbe una cosa complicata. Molto di più che distanziare di altri cento metri le videolottery dalle scuole: queste sì che sono norme salottiere, apprezzate da tutti, sono eleganti e non impegnano, come tante norme radical-chic.