Oggi primo maggio, Festa del lavoro, inizia una settimana di fuoco per l’Italia e l’Europa. Non mancheranno tensioni nel mondo politico e sui mercati: domenica 7 maggio in Francia si tiene il ballottaggio tra Le Pen e Macron e in Italia termina la lunga procedura per l’elezione del segretario del Pd (anche se accorciata perché Renzi “vuole, fortissimamente vuole” le elezioni anticipate). È errato dare per scontato il risultato del ballottaggio francese: un’inchiesta sul New York Times del 27 aprile rivela che Jean-Luc Mélenchon sta incoraggiando le sue “truppe” a fare opera di proselitismo a favore di Marine Le Pen, sottolineando che sui temi “forti” (impoverimento dei meno abbienti e dello stesso ceto medio, immigrazione, banche e finanza) estrema destra ed estrema sinistra sono vicini. E certamente molto lontani da un Emmanuel Macron, esponente dell’alta finanza. Naturalmente una vittoria di Marine Le Pen darebbe una scossa, non necessariamente in senso positivo, all’Unione europea, alle sue istituzioni e alla moneta unica.



Matteo Renzi si mostra già come promesso sposo di Macron: non solo si può vincere un congresso di partito ma perdere un’elezione, ma i due sono profondamente differenti. A un seminario tenuto a Roma il 19 aprile presso l’Istituto affari internazionali, la politologa Sofia Ventura (Università di Bologna) ha sottolineato che hanno in comune solo una caratteristica: un narcisismo che potrebbe “bruciare” ambedue. Altrimenti, uno parla diverse lingue, ha lavorato e fatto una carriera brillante nel privato internazionale. Le esperienze dell’altro sono nell’Azione cattolica nei boy scout e nell’azienda di consegna pacchi di papà. Difficile un dialogo. Ancora di più un’alleanza.



Inoltre, mentre Macron è in campagna per il secondo turno delle elezioni presidenziali, Renzi freme per un’unica ragione: andare alle urne prima che i numeri della prossima Legge di bilancio filtrino sulla stampa. Già il dossier curato dall’uffici studi di Camera e Senato, scaricabile su Internet, mostra che la “manovrina” non ha colto nel segno. Lo sottolinea l’Ufficio parlamentare di bilancio. A Bruxelles lo sanno tutti gli interessati, ne parlano apertamente con giornalisti e stanno tentando di trovare una strada per evitare di applicare una “procedura di infrazione” unicamente nei confronti dell’Italia; sarebbe un colpo molto grave che causerebbe tensioni sui mercati. Si parla di “promesse tradite” e “conti squilibrati”, soprattutto perché una parte significativa dell’aggiustamento è stata spostata dal 2017 al 2018.



Per quante alchimie si possano fare, secondo gli spifferi che provengono dal ministero dell’Economia e delle Finanze si sta lavorando già su clausole di salvaguardia per 15,2 miliardi, un aumento di 1,5 punti percentuali dell’aliquota Iva del 10% e di 3 punti percentuali di quella del 22%. Renzi è consapevole che andare alle urne con un aumento del carico tributario può avere un costo pesante in termini di voti. Tuttavia, questo è il risultato di quattro anni di “finanza allegra” in cui si sono promesse riduzioni di tasse, imposte e altri balzelli, si è ritoccata all’ingiù qualche imposta di spettanza del Governo centrale, ma sono schizzate quelle di competenza delle autonomie locali. Il tutto per regali e regalini elettorali.

Una delle differenze principali tra Renzi e Macron è proprio questa. Se eletto, Macron potrà mettere in atto un programma moderato di riduzione del carico tributario (anche perché il debito pubblico della Francia è il 95% del Pil), mentre Renzi con un’Italia il cui debito pubblico è il 133% del Pil, se va in campagna elettorale, dovrà dare spiegazioni: non solo i mercati stanno esprimendo dubbi sulla sostenibilità del debito pubblico italiano (si legga il lavoro della Banca centrale europea Occasional Paper No185, messo in rete il 27 aprile: “Debt Sustainabiity Analysis for Euro area Sovereigns”), ma la sua “finanza allegra” e l’urgenza di venire ai ripari vengono ormai allo scoperto in documenti ufficiali della Pubblica amministrazione e degli organi costituzionali italiani.

A rendere il quadro ancora più complesso il fatto che riduzioni significative di tasse e imposte sono state annunciate in Gran Bretagna (ma la campagna elettorale è ancora in corso) e, soprattutto negli Stati Uniti, dove le imposte sui redditi d’impresa sarebbe tassati al 15% (contro il circa 64% in Italia), l’imposta di successione sparirebbe del tutto, gli scaglioni su redditi individuali passerebbero da sette a tre (l’aliquota più alta sarebbe il 35%) e la no tax area per una coppia raggiungerebbe i 24.000 dollari. Una manovra che ricorda quella di Reagan nel 1982 e che indurrebbe investimenti e imprese a varcare l’Atlantico.