I dati Istat diffusi ieri dicono che la produzione industriale a marzo è cresciuta sia in termini congiunturali (+0,4%) che tendenziali (+2,8%), mentre le vendite al dettaglio sono rimaste stabili rispetto al mese precedente, ma diminuite dello 0,4% rispetto a marzo 2016. «Continuiamo a non essere brillanti», ci dice Luigi Campiglio, Professore di Politica economica all’Università Cattolica di Milano, «presumibilmente i dati ci stanno dicendo che quel che riusciamo a fare come economia dipende soprattutto dall’estero, mentre la domanda interna continua a essere piatta».
Ora, dopo il voto in Francia, ci siamo lasciati alle spalle un’incertezza. Questo influisce sulla situazione economica?
La situazione è certamente più favorevole a livello europeo e noi ne beneficiamo indirettamente. La mia impressione è che ci sia una situazione di “bonaccia” in attesa dell’ultimo appuntamento importante, che è quello di settembre con le elezioni in Germania. Forse il fatto nuovo dal punto di vista politico è che la Francia, anche se c’è l’incognita delle elezioni parlamentari, si può riproporre come una cerniera fra il blocco rappresentato da Berlino e dai paesi del nord, da una parte, e i paesi del sud, dall’altra. Tra quest’ultimi, l’Italia è certamente quello più “a rischio”.
Quali sono i benefici indiretti che abbiamo avuto e quali quelli che potremmo avere grazie a questa nuova situazione?
Siamo meno esposti a un attacco speculativo, anche se resta il fatto che lo spread italiano è sopra i 180 punti base e quello francese è intorno a quota 40. Il nuovo quadro potrebbe consentire di aprire spazi che finora sono stati preclusi. Basta pensare all’iniziativa di Pier Carlo Padoan e dei suoi colleghi di Francia, Portogallo e Spagna per chiedere una revisione dell’impostazione della politica di bilancio dei paesi Ue, compreso il sistema di calcolo dell’output gap. Se questa richiesta venisse accolta potremmo avere quel tanto di respiro che consenta di riprendere un cammino di crescita.
Lei dice che la Francia potrebbe essere una cerniera tra paesi del nord e del sud Europa. Ma non corriamo il rischio che pensi più ai suoi interessi, visto che già la Commissione europea ha fatto capire che deve operare tagli di spesa e rispettare i parametri di finanza pubblica?
Questo è ovvio. Bisognerà vedere se Emmanuel Macron riuscirà davvero a mettere in discussione il modello di welfare francese. Altri autorevoli leader ci hanno provato in passato, ma hanno dovuto fare marcia indietro. I problemi della Francia sono non dissimili dai nostri, quindi quello che potremmo fare è individuare delle aree di comune interesse. Una è senz’altro la “calma piatta” dell’economia interna. Il fatto è che noi abbiamo una questione di non poco conto da affrontare.
Quale?
Chi possa essere l’interlocutore credibile del nostro Paese. Tre anni di Governo Renzi non è che abbiano rilanciato l’economia. L’ex Premier ha distribuito risorse a mani basse alle imprese, ottenendo risultati sostanzialmente modesti. Ha fatto una politica economica sbagliata. Non so se Renzi sia cambiato o meno, ma siamo in una situazione in cui ci vorrebbe un senso di responsabilità nei confronti del Paese che onestamente, se ci si guarda intorno, non è facile trovare.
Prima ha detto che siamo in un clima di attesa per le elezioni in Germania. Se in Francia il rischio era che vincesse Marine Le Pen, in questo caso dove starebbe il pericolo?
Diciamo che c’è un problema grosso come una casa ed è fondamentalmente il ministro delle Finanze, Wolfgang Schauble. Dopodiché non so se è un gioco delle parti, probabilmente lo è, quello per cui lui fa il poliziotto cattivo, mentre Angela Merkel quello buono. Il punto è che questo copione è un po’ usurato. La Germania, con il suo avanzo di partite correnti spettacolare (che alla fine ha danneggiato anche l’Italia) dovrebbe quanto meno muovere gli investimenti. La Merkel sembra stia recuperando consensi. La ritengo una donna molto pragmatica, a differenza di Schauble che è un po’ dogmatico. Non escluderei, quindi, che di fronte a una richiesta forte dal partner storico, cioè la Francia, possa emergere qualcosa di nuovo.
Secondo lei, Macron può dunque fare la differenza?
Da quel che ho visto nel suo programma, nei rapporti europei propone maggior integrazione, è molto innovativo. Macron può dare un contributo a livello europeo. Le sue idee certo non bastano, ma sono un passo in avanti. Tuttavia per fare credibilmente questo deve avere una performance robusta all’interno e tutto dipenderà da come deciderà di agire. Abbiamo già visto cos’è successo quando è stato proposto di introdurre una sorta di Jobs Act in Francia. Un conto è avere una manifestazione di dissenso, un altro avere di nuovo il Paese in piazza. E se ritorna la piazza, riprende fiato la Le Pen.
(Lorenzo Torrisi)