L’effetto Macron sarà di lunga durata? O l’eurozona avrà bisogno di qualcosa di più sostenuto per superare i marosi che le si porranno di fronte a partire da fine anno, quando – salvo più che probabili emergenze estive – la Bce si metterà in modalità di ritiro delle misure di stimolo dell’economia? Una risposta l’ha offerta l’altro giorno, indirettamente, la stessa Eurotower con il suo bollettino mensile, nel quale si ribadisce come il Qe procederà per la sua strada e verrà anche ampliato/allungato, se necessario, ma, stranamente, sempre più voci nel mondo finanziario parlano invece di un tapering sempre più vicino. Vediamo nel dettaglio. Per la Bce «la ripresa economica nell’area dell’euro si stia costantemente consolidando. Il Pil reale dell’Eurozona è aumentato dello 0,4% nel quarto trimestre del 2016, a seguito di un ritmo analogo nel terzo trimestre. L’espansione continuerà a consolidarsi e ad ampliarsi». Ma non solo. «Il recupero degli investimenti continua a essere promosso da condizioni finanziarie molto favorevoli e da miglioramenti della redditività aziendale». Inoltre, «si registra un miglioramento dell’occupazione che beneficia anche delle riforme strutturali e sta avendo un impatto positivo sul reddito disponibile reale delle famiglie, fornendo così un sostegno al consumo privato. Inoltre, a livello globale, ci sono segnali di una ripresa più solida e di un’espansione del commercio».
Insomma, non proprio il nirvana, ma, dopo quello che abbiamo vissuto, non c’è di che lamentarsi. Anzi, sì. La Bce considera infatti «insoddisfacente» il percorso dei Paesi dell’area dell’euro verso la revisione della Commissione europea dei loro progetti di bilancio, in quanto «nessuno dei Paesi che sono considerati a rischio di non conformità con il Patto di stabilità e crescita ha attuato misure significative». Viene, quindi, confermata «la necessità di preservare il grado molto elevato di accomodamento monetario allo scopo di assicurare un ritorno durevole dell’inflazione verso livelli inferiori ma prossimi al 2% senza indebito ritardo». E qui, il primo cortocircuito: con le sue parole, infatti, la Bce ha, per la prima volta, esplicitamente detto ai mercati che il Qe serve soltanto a mantenere in vita Italia, Spagna e Portogallo, nell’attesa che questi si conformino al mantra europeo del rigore e delle riforme. Insomma, Mario Draghi ha svelato il mistero di Pulcinella: il suo bazooka serve da un lato a salvare bilanci bancari, indici azionari e grandi aziende (queste ultime attraverso il finanziamento a pioggia garantito dagli acquisti di bond corporate, più o meno con ogni rating di credito), ovvero l’Europa core che fa riferimento alla Germania, e dall’altro a puntellare i Paesi del Mediterraneo, tanto per evitare che qualcuno vada a fare compagnia alla ancora inguaiata Grecia. Più che una politica di stimolo monetario, è una politica assistenziale.
E in che termini parla del Qe la Bce nell’ultima edizione del bollettino? «Gli acquisti continueranno nell’ambito del Qe all’attuale ritmo mensile di 60 miliardi di euro sino alla fine di dicembre 2017 o anche oltre se necessario. E, in ogni caso, finché non si riscontrerà un aggiustamento durevole dell’evoluzione dei prezzi, coerente con il proprio obiettivo di inflazione. Il Consiglio direttivo ha deciso di lasciare invariati i tassi di interesse di riferimento e continua ad attendersi che rimangano su livelli pari o inferiori a quelli attuali per un prolungato periodo di tempo, ben oltre l’orizzonte degli acquisti netti di attività». Inoltre, «qualora le prospettive divenissero meno favorevoli o le condizioni finanziarie risultassero incoerenti con ulteriori progressi verso un aggiustamento durevole del profilo dell’inflazione, la Banca centrale europea sarebbe pronta a incrementare il programma di acquisto di attività in termini di entità e di durata». Insomma, la prima missione è infondere tranquillità. Il Qe va avanti e ha un arco temporale ancora estensibile, se necessario: inoltre, anche dopo la sua fine ufficiale, i tassi resteranno bassi a lungo. Il che implica proiezioni inflazionistiche pessime, almeno nell’area non-core dell’eurozona oppure soltanto cautela per non far preoccupare i mercati?
Interpellato da Cnbc, Norman Villamin, Cio di Union Bancaire Privèe, dice la sua e fa capire che Draghi starebbe bluffando: «La Bce modificherà le sue dichiarazioni durante l’estate e poi passerà a ridurre gradualmente il suo programma di Quantitative easing verso il 2018. Gli investitori dovranno dunque attendersi che il movimento unidirezionale dei tassi dell’Eurozona si trasformi sempre più in volatilità, analogamente a quanto visto dopo il 2013, quando la Fed ha messo fine al suo programma di Quantitative easing». Di più, Villamin si attende «l’inizio di una transizione dalla politica degli acquisti illimitati del presidente della Bce, Mario Draghi, all’avvio di una fase di normalizzazione degli interessi reali nell’area dell’euro per i prossimi anni. Un simile cambiamento di rotta induce a credere che le obbligazioni governative e, alla luce degli spread esigui, anche le obbligazioni societarie dell’area dell’euro, passeranno a rendimenti cedolari inferiori rispetto al passato».
C’è però una variabile che grava sull’eurozona e, quindi, anche sulle attitudini di Mario Draghi, soprattutto quando si pensa che un ritiro dello stimolo e una conseguente riduzione degli acquisti obbligazionari sovrani non potrà che innescare un fly-to-quality, ovvero la ricerca di bond rifugio che porterà con sé, come diretta conseguenza, l’innalzamento degli spread sovrani periferici. Questa variabile, battezzata come tale dalla Frankfurter Allgemeine Zeitung, si chiama Zumutungen, ovvero imposizioni. E cosa ci dice, chi impone cosa? Ci dice che il tanto decantato, ancor prima che nasca, asse renano tra Macron e Merkel potrebbe rivelarsi un bluff, portando a una pericolosa impasse politica a livello europeo, un qualcosa che graverebbe – e non poco – sulle decisioni monetarie della Bce. Per la Faz, infatti, nonostante l’establishment tedesco abbia salutato con favore la vittoria di Macron sulla Le Pen, restano profonde differenze di fondo nella visione dell’Ue che hanno il presidente francese e la cancelliera tedesca. Una su tutte: salvo conversioni quasi miracolose, la Merkel resta contrarissima agli euro-bond o ad altre misure di back-stop fiscale comuni, conditio sine qua non invece per i progetti nell’agenda di rifondazione europea dell’inquilino dell’Eliseo. Sempre la Faz ricorda come una situazione simile si verificò con Francois Hollande, il quale preso atto dell’atteggiamento irremovibile della Merkel al riguardo, tirò i remi in barca, limitandosi al piccolo cabotaggio politico a livello di riforme europee.
L’agenda di Macron, infatti, non è basata su un criterio di risoluzione delle crisi, ma su misure di assorbimento dello shock generali, ad esempio l’assicurazione pan-europea per la disoccupazione. Solo a sentirla nominare, Merkel e Schaeuble sarebbero colti da orticaria. Di più, Macron vorrebbe riforme del lavoro in stile scandinavo e uno shake-up fiscale che anche gli imprenditori tedeschi agognano, ma questo imporrebbe a Berlino l’accettazione del principio di unione fiscale, un qualcosa che renderebbe necessario il taglio del surplus monstre tedesco, oggi all’8,6% del Pil, in piena infrazione delle normative europee. Inoltre, al netto delle fanfare in suo favore e del risultato delle legislative di giugno, Emmanuel Macron è alla guida di un Paese dove le schede bianche – l’opzione né peste, né colera – hanno raggiunto l’11,4%, mentre l’astensione è salita al 25,4%. Il tutto senza scordare la puntualizzazione, dirimente, contenuta nello studio pubblicato l’altro giorno dall’Institut de Recherches Economiques et Fiscales, in base al quale si fa notare che al primo turno delle presidenziali, ben il 55% dei votanti ha supportato un’opzione politica diciamo “ostile” al mercato – da Marine Le Pen a Nicolas Dupont-Aignan, da Benoît Hamon a Jean-Luc Mélenchon -, quindi occorre prendere atto che più della metà dei francesi che si è recata alle urne lo ha fatto per sottolineare la propria predilezione per un sistema sociale interventista a livello di Stato, bocciando l’opzione più mercatista di Emmanuel Macron.
Una volta incassato il “no” della Merkel a qualsivoglia forma di unione fiscale, con quale faccia e quale agenda tornerà in patria l’inquilino dell’Eliseo e nuova stella dell’europeismo alla Mario Monti? A meno che, da qui a fine anno, qualcosa di talmente serio e pericoloso non sposti le valutazioni politiche della Merkel verso più miti giudizi riguardo qualche forma di mutualizzazione in sede Ue. Che questo shock arrivi, come una manna per l’euroburocrazia, dagli Stati Uniti? Guardate questo grafico, ci mostra come siano crollate le quotazioni di Donald Trump ancora presidente nel 2019, pochi minuti dopo il suo siluramento del capo dell’Fbi, James Comey, l’uomo chiamato a indagare le possibili connessioni tra il team del presidente e i russi. Toccare i fili del Deep State rappresenta ancora pericolo di morte? Pare proprio di sì e, ricordatevi, che Macron non è arrivato all’Eliseo per caso, ma per volontà di una lobby globalista e neo-liberale che ha in Barack Obama il suo vero burattinaio. Al netto di questo, prepariamoci a un’estate calda. E a una Bce che sarà chiamata agli straordinari.