Fra i leader politici in riscaldamento pre-elettorale alzi una mano chi non ha, non ha avuto, non vorrebbe avere una banca. Sicuramente Giorgia Meloni: non certo la Lega che già negli anni ’90 si era fatta in casa Credieuronord, salvo vederlo crollare subito o quasi. Oggi sono invece i quasi-crack delle due Popolari del Nordest (Vicenza e Veneto) a dare qualche pensiero al governatore leghista veneto Luca Zaia: sussurrato di possibile candidatura come premier alle prossime politiche.



Il politico più “banchiere” di tutti resta in ogni caso il tre volte premier Silvio Berlusconi: la cui posizione di azionista di Banca Mediolanum rimane formalmente nel mirino di Bce e Bankitalia. L’ultimo sollecito della Vigilanza a Fininvest a scendere sotto il 10% (dall’attuale 29,9%) nella capogruppo della famiglia Doris data lo scorso 12 aprile. Ma la holding del Biscione è azionista anche di Mediobanca: direttamente con l’1% circa sindacato nel patto (Marina Berlusconi è stata fino al 2012 in cda di Piazzetta Cuccia) e per il 3,33% indirettamente attraverso Mediolanum.



Nel centrosinistra le vicende sono note, ma sempre complesse da raccontare. Prima che il “caso Boschi” mettesse sotto i riflettori i rapporti problematici fra il “giglio magico” di Matteo Renzi e Banca Etruria, è stato il dissesto di Mps a monopolizzare per almeno un decennio il conflitto d’interesse fra i Ds-Pd e il grande sistema bancario. Il crollo finale di Siena, non per caso, è coinciso con una drammatica resa dei conti interna al partito di Renzi, culminata con la scissione di Pierluigi Bersani e Massimo D’Alema. Se in Toscana la fortune politiche di Denis Verdini (Ala) paiono essere tramontate sul crack del Credito cooperativo fiorentino, non si può dimenticare che era stato Piero Fassino – allora segretario dei Ds – a pronunciare il famoso “Abbiamo una banca”: non a proposito di Montepaschi, ma di Bnl, sotto scalata nel 2005 da parte di Unipol e degli immobiliaristi romani. Prima di lui i due campioni nazionali UniCredit e Banca Intesa erano stati a lungo iscritti all’Ulivo di Romano Prodi: e la recente vicinanza fra Intesa Sanpaolo e Renzi ne è probabilmente un retaggio. Analogamente, Mediobanca – per decenni banca d’affari di sistema – è stata all’indice praticamente lungo tutti i mille giorni di Renzi a Palazzo Chigi.



E Beppe Grillo? L’ascesa di M5s è strutturalmente legata al “risparmio tradito”: al lungo propagarsi e aggravarsi della crisi bancaria. Il grillismo nasce ufficialmente nelle piazze zeppe di obbligazionisti Cirio e Parmalat e cresce anche nelle sale assembleari di Telecom (controllata dalle grandi banche) e di Montepaschi. I 5 Stelle tornati a chiedere a gran voce le dimissioni della Boschi (che invece Berlusconi sembra in parte difendere) “hanno” eccome le loro banche: quelle fallite, quelle che hanno cessato di generare rendite  finanziarie e si sono invece messa a produrre voti di protesta. Non da ultimo, anche Ferruccio de Bortoli – che in tre righe del suo ultimo libro ha rilanciato la questione bancaria e fatto tremare il governo – può darsi che vada ad aprire nel quadro politico-elettorale italiano uno spazio “macroniano” che oggi ha il volto del ministro Carlo Calenda, ma dopo le elezioni potrebbe invece essere occupato con ben altro peso dal presidente della Bce, Mario Draghi.