La conferenza sul clima tenutasi a Parigi nel dicembre 2015 aveva messo sul banco degli imputati il carbone come principale fattore di inquinamento. Le stesse compagnie petrolifere avevano appoggiato gli esiti della conferenza, dato che il gas naturale, insieme alle fonti rinnovabili, avrebbe sostituito il carbone nella produzione di energia elettrica. L’utilizzo del carbone sembrava perciò destinato a una drastica riduzione, almeno nelle centrali elettriche, dato che la sua sostituzione si presenta meno facile nella produzione dell’acciaio. Poi è arrivato Trump.



Già in campagna elettorale il futuro Presidente aveva promesso di por fine alla guerra al carbone, guadagnando molti voti negli stati produttori del fossile, e con un recente ordine esecutivo ha cancellato il Clean Power Plan di Obama. Con questo piano, il precedente Presidente intendeva dar seguito all’accordo di Parigi, con l’obiettivo di ridurre le emissioni di anidride carbonica degli attuali impianti del 30% rispetto al 2005. Trump ha perfino ipotizzato l’uscita dall’accordo sul clima, ma queste sue iniziative trovano resistenze anche all’interno del suo entourage. Sua figlia Ivanka con il marito Jared Kushner, consigliere del Presidente, e Rex Tillerson, Segretario di Stato e già capo della Exxon Mobil, sono per esempio in favore della permanenza degli Usa nell’accordo. 



Le posizioni sono differenziate anche tra le società dei settori coinvolti, con i produttori di gas naturale favorevoli e gli altri contrari o quanto meno critici, in particolare ovviamente i produttori di carbone e molti gestori di centrali elettriche che utilizzano questo fossile. Diverse società sono già fallite e più di un centinaio di centrali a carbone sono state dismesse, con parecchie altre molto vecchie e sempre più inquinanti, perciò da chiudere o rinnovare. Una possibilità, avanzata da qualche società del settore, è quella di incentivare la costruzione di centrali a carbone di ultima generazione che, si sostiene, consentono emissioni pari a quelle alimentate con gas naturale. Il carbone deve comunque difendersi anche dai prezzi sempre più competitivi del gas naturale, soprattutto del gas di scisto, e delle fonti rinnovabili, sostenute dai sussidi pubblici.



Il dibattito sull’uso del carbone non ha solo risvolti ambientali ed economici, ma coinvolge pesanti aspetti sociali, in particolare per quanto riguarda l’industria estrattiva e l’occupazione connessa. Trump ha messo proprio quest’ultimo punto alla base della sua decisione in favore del carbone, ma la complessità della questione porterà probabilmente a una soluzione di compromesso che tenda a conciliare gli opposti interessi.

Intanto alcuni eventi hanno confermato che il carbone ha ancora un rilevante ruolo non solo economico e sociale, ma anche geopolitico. Nella crisi in corso per i test missilistici nordcoreani, anche la Cina ha applicato sanzioni contro Pyongyang bloccando, per l’appunto, le importazioni di carbone. Sempre la Cina ha, per converso, rafforzato i rapporti con il Pakistan con un accordo per la costruzione di centrali elettriche a carbone del valore, secondo la Reuters, di 15 miliardi di dollari in 15 anni. Di fronte alle proteste ambientaliste, il governo pakistano ha replicato che il Paese deve utilizzare le proprie estese riserve di carbone, creando così occupazione e combattendo la povertà, e che le centrali progettate saranno a tecnologia elevata con emissioni pari a quelle delle centrali a gas. La vicina India dal canto suo, secondo quanto riportato dal Financial Times, ha dichiarato la sua impossibilità a ridurre le emissioni da centrali a carbone, sostenendo peraltro che questo compito è in primo luogo dell’Occidente, che inquina molto più dei Paesi di quello che un tempo era detto Terzo Mondo.

Anche all’interno dell’Occidente il carbone è protagonista di scontri tra Stati, in questo caso tra Stati Uniti e Canada che, in risposta all’aumento voluto da Trump delle imposte sulle importazioni di legno canadese, ha minacciato di vietare l’utilizzo dei porti canadesi per l’esportazione di carbone dagli Stati Uniti.

A quanto pare “King Coal” sta vendendo cara la pelle.