Avete notato come l’allarme per i populismi si sia smontato come un soufflé nel giro di pochi mesi? In Austria ha vinto il candidato indipendente e, nel silenzio generale, il governo di coalizione tra socialisti e conservatori ha applicato ricette in tema di immigrazione e sicurezza pari a quelle della tanto temuta Fpo. Nessun allarmato servizio del Tg3 pervenuto. In Olanda, Geert Wilders ha perso, ma ha imposto la sua agenda e i suoi toni a Mark Rutte, premier uscente tramutatosi in un batter d’occhio nella quintessenza della “legge e ordine”. In Francia, pur di sbarrare la strada a Marine Le Pen, l’elettorato di estrema sinistra ha votato un ogm nato dalla fusione a freddo di massoneria e poteri finanziari: altrimenti, se credete che in sei mesi un 39enne passi dal ministero dell’Economia all’Eliseo solo con le sue forze e il suo carisma, potete tranquillamente credere anche agli asini che volano. Domenica, poi, l’ennesima riprova: nel feudo Spd del Nord Reno-Westfalia, Angela Merkel ha letteralmente strapazzato il suo antagonista alla elezioni di settembre, quel Martin Schulz il cui profilo, di per sé, già non è certo quello dell’estremista o dell’anti-europeista.
La gente ha voglia di stabilità, di certezze, di candidati che tutelino l’orticello del quotidiano. Eppure, non più tardi di un mese fa, tutte le massime figure e istituzioni politiche ponevano come priorità la lotta contro i populismi e i nazionalismi. Ah, dimenticavo, anche contro il protezionismo. Sarà in ossequio a quest’ultima crociata che la Commissione Ue, nelle misure anti-dumping presentate la scorsa settimana nei confronti dell’acciaio cinese, ha deciso che le esportazioni di tubi cinesi senza saldatura saranno tassate con un dazio aggiuntivo che passa dal 29,2% al 54,9%: scusate, ma i dazi non erano una roba da trogloditi alla Trump? Il povero Giulio Tremonti non fu crocifisso, quando disse che erano una delle poche armi di cui disponevamo per proteggerci dalla globalizzazione fuori controllo? Chissà.
Di certo c’è il solito timing geniale di Bruxelles: se c’è un momento in cui è necessario abbozzare con Pechino è proprio questo, visto che oltre a essere impegnato nella gestione della bolla creditizia, è anche di fatto il player politico-economico principale. Domenica ha infatti avuto inizio a nella capitale cinese il forum dal titolo “One Belt One Road”, dedicato ai progetti infrastrutturali cinesi destinati a creare una nuova “via della seta” che coinvolga e colleghi direttamente Cina ed Europa. Tanto più che, arrivando al meeting, Paolo Gentiloni ha detto chiaro e tondo che l’Italia potrebbe esserne al centro con i suoi porti, tanto da dare vita a incontri bilaterali con Xi Jinping: ci fanno schifo i soldi cinesi? Milan e Inter vanno bene, ma non i nodi infrastrutturali, terrestri e marittimi? Nel momento stesso in cui Donald Trump, l’uomo che ha criminalizzato il dumping valutario cinese per tutta la campagna elettorale, diventa il miglior amico di Pechino, noi aumentiamo i dazi? Se anche la misura è giusta, è il momento a essere sbagliatissimo.
Cosa unisce questo ai populismi? Il fatto che la Commissione Ue non lavori a favore dell’Europa, essendo di fatto un’istituzione controllata in tutto e per tutto dal potere di influenza statunitense. A vostro avviso, gli Usa possono accettare sul lungo termine una partnership commerciale come quella che prevede la nuova “via della seta”? Nemmeno per sogno, non a caso hanno militarizzato i Balcani, inglobando i vari Paesi nella Nato in fretta e furia e dislocando soldati ovunque. E le manovre nel Baltico e in Polonia, formalmente contro la minaccia russa? Tutto ha un’unica chiave, bloccare il progetto geopolitico dell’Eurasia. Non a caso, qual è stata la minaccia più utilizzata contro i partiti cosiddetti populisti finora? Essere filo-russi. E i media, ovviamente, hanno assolto in maniera impeccabile alla campagna terroristica messa in piedi dalle centrali della disinformazione europea.
Vi chiedo, non retoricamente: avete avuto più notizia della famose prove schiaccianti che Usa, Israele, Regno Unito e Francia millantavano di avere contro Assad per l’attacco chimico a Idlib? Di più, avete più sentito parlare di quell’attacco o, più in generale, di Siria? Cos’è, di colpo sono solo rose e fiori laggiù? No, il problema è che in Siria la presenza russa è tale da non permettere strani colpi di mano (o di Stato). Quindi, di colpo, la Corea del Nord è diventata la priorità assoluta, spostando gli occhi del mondo altrove, ma infilando l’attenzione delle intelligence in un’area molto sensibile che fino a poco fa era off-limits, poiché sotto influenza cinese. Caso strano, ecco arrivare alla ribalta il più grande attacco hacker di sempre, capace di colpire istituzioni e aziende in 150 Paesi e ridicolizzare le difese da cyber-terrorismo delle grandi potenze: chi ha bloccato il virus, per caso? Due nerd, due informatici californiani. Quel blocco informatico, quell’attacco – che ieri ha colpito ancora, proprio in Cina – altro non è che una prova generale: quando servirà mandare in tilt qualcosa – vedi indici di Borsa che crollano – la colpa sarà degli hacker, così come in caso di strane infiltrazioni in sistemi informatici. O, magari, strani interventi militari da coprire o sviare.
L’Europa, se ci pensate bene, attraverso gli atti di istituzioni comunitari e partiti al governo nei vari Stati, finora ha perseguito un’agenda che aveva un unico beneficiario: gli Stati Uniti. E, attenzione, perché se come pare scontato, al voto presidenziale di venerdì in Iran sarà Rohani a uscire vincitore, preparatevi a un precipitare della situazione o legata ad Hezbollah in Siria o al programma nucleare di Teheran: gli Usa vogliono nuove sanzioni, le quali su chi andranno a ricadere? Andate a vedere l’ammontare dello scambio bilaterale e dei contratti tra Italia e Iran e poi sommate il peso delle sanzioni contro la Russia imposte dalla Germania su mandato di Washington: ecco, magari così capite cosa intendo quando parlo di agenda autolesionista.
Ecco a cos’è servita la campagna politico-mediatica di questi mesi contro i populismi: instillare paura nella gente, portarla a votare per chi difende lo status quo e, contemporaneamente, coprire con lo spauracchio xenofobo l’agenda filo-Usa che si stava perseguendo, a tutto detrimento e discapito degli interessi europei. Guarda caso, a pericolo francese scampato, saltano fuori le prove delle connivenze tra Ong e scafisti e si mette anche mano agli appalti dei centri e al business dell’accoglienza, vedi i 68 arresti di ieri a Isola Capo Rizzuto: ora si può, il rischio Le Pen è stato scongiurato e il risultato in Germania pare scontato alle elezioni di settembre. Quindi, in ossequio al principio del bastone e della carota, ora si dice un po’ di verità alla gente, ce lo si può permettere: anche per evitare che la pazienza possa finire, in determinate realtà.
Resta l’ultimo, enorme, dirimente banco di prova, quando finalmente si potrà andare a votare: l’Italia. Anche qui, come potete vedere in queste ore e giorni, lo schema è simile: Renzi e Berlusconi da un lato, Grillo e Salvini dall’altro. Estremizzazione totale dei toni, massimalismo a piene mani e partite di giro come quella sul caso Boschi-De Bortoli che mostrano tutta la miseria provinciale di cosa sia diventato lo scontro politico. Noi saremo l’ultimo stadio dell’esperimento in stile Arancia Meccanica messo in atto per non disturbare i piani del manovratore di Washington e, temo, che raggiungeremo vette di parossismo mai viste prima. Un pericolo tanto grave, una deriva nazionalista e xenofoba vera, potevano essere battuti da Alexander van der Bellen, Mark Rutte e Emmanuel Macron, in tre incapaci di avere il carisma di una caviglia di Andreotti o Craxi? Non prendiamoci in giro, per favore. Anzi, se possibile, non fatevi prendere in giro. Almeno questa volta.