L’offerta di Atlantia su Abertis è giustamente salita agli onori della cronaca finanziaria italiana e continentale. Non capita tutti i giorni di assistere alla nascita della principale società di concessioni mondiale con un reddito operativo di oltre 6,5 miliardi di euro; soprattutto non capita tutti i giorni che sia una società italiana, Atlantia, a comprare una società estera, Abertis, in un’operazione in cui c’è chiaramente un compratore e un venditore.
L’offerta è piaciuta al mercato nonostante le sinergie industriali siano limitatissime; non ci possono essere “efficienze” mettendo insieme un’autostrada catalana, una francese e una che sta in mezzo alla pianura padana. È un’operazione puramente finanziaria in cui Atlantia raggiunge due obiettivi: una diversificazione geografica in cui il peso dell’Italia sull’utile operativo scende dall’85% al 45% e, soprattutto, una migliore “struttura del capitale”. In pratica Atlantia si indebita a tassi molto bassi per comprare una società che paga un dividendo più alto. Sarebbe come accendere un mutuo al 2% per comprare un’obbligazione che rende il 5%; la “creazione di valore finanziario” è ovviamente positiva. L’offerta è amichevole e lascia agli azionisti e al management spagnolo un ruolo molto importante con impatti sui lavoratori limitatissimi; un’offerta che non scontenta il “sistema paese” spagnolo, che infatti non si è dimostrato ostile.
C’è però un fatto molto importante nascosto e dimenticato nei racconti fatti sull’operazione. Ci saremmo aspettati che qualcuno si chiedesse come sia possibile che una società che gestisce concessioni autostradali in un Paese in crisi nera da quasi dieci anni, con la disoccupazione record e la produzione industriale calata del 20% dall’inizio della crisi, sia in grado di mettere sul piatto 12,5 miliardi di euro in cassa per comprare autostrade in Francia e in Spagna. La base di partenza di questa offerta, quello che mette Atlantia nelle condizioni di offrire più di dieci miliardi di euro, è costituito dai pedaggi pagati dagli italiani su un monopolio dato in gestione a un privato fino al 2038, con una marea di investimenti ritardati (certo la burocrazia italiana ha fatto la sua parte) e la richiesta al governo di una proroga di altri cinque anni per fare gli investimenti sul nodo di Genova. Praticamente il governo messo nella difficile posizione negoziale di dover concedere proroghe pur di avere oggi investimenti su cui ovviamente si danno rendimenti sicuri.
Questa “concessione” diventa una sorta di diritto di passaggio perpetuo. L’economia italiana è andata malissimo, ma i concessionari italiani non sanno più, letteralmente, come spendere i soldi al punto che si comprano le autostrade spagnole e francesi; forse il sistema delle concessioni italiane non ha funzionato benissimo per lo Stato italiano e i suoi contribuenti, forse bisognerebbe accorgersi che vengono create fortune colossali mentre le autostrade diventano un lusso per i cittadini italiani. In Germania e negli Stati Uniti le autostrade non sono date in concessione ai privati, come gli aeroporti; stupidi loro o noi?
I sentimenti che suscita l’offerta di Atlantia su Abertis sono per noi amari; molto simili a quelli che si provano appena dopo essersi accorti che qualcuno ci ha fregato. Niente fa presagire un cambiamento, perché questo dibattito rimane confinato a pochi “addetti ai lavori”, eppure ci sembra che i fatti siano chiarissimi.