Rare volte l’uscita di un libro è stata più intempestiva. Mi riferisco all’ultima opera di Lorenzo Bini Smaghi, intitolata “La tentazione di andarsene” ed edita dal Mulino. Proprio dal sito dell’autore, in riferimento a questo libro, leggiamo: “L’Europa, diversamente dagli Stati Uniti, non si è ancora del tutto ripresa dalle intemperie della crisi…”. Ebbene sì, il recente dato sulla crescita del Pil è stato davvero deludente: 0,7% nel primo trimestre del 2017, quando la previsione era già un modesto 1%; e questo 0,7% è il dato peggiore dal 2009. Ma questo non deve stupirci più di tanto; chi è stato incapace di leggere la realtà fino a ieri, se non ha cambiato idea, ora è costretto a mentire sulla stessa realtà.
Il ritornello di Bini Smaghi è il solito: l’Italia ha bisogno di riforme strutturali e siccome non è capace di farle da sola, allora ci vuole più Europa. E proprio in questi termini si è espresso Bini Smaghi alla presentazione del suo libro: “La scelta da parte degli Stati di cedere e condividere con l’Ue la loro sovranità è complicata, ma allo stesso tempo necessaria. Se l’economia dell’Italia non cresce è perché c’è una difficoltà nell’attuare le riforme da parte dei governi nazionali. Servirebbe una politica europea unica e compatta, per gestire i problemi insieme c’è bisogno che i Paesi si spoglino dei loro poteri”.
Ovviamente silenzio completo sul fatto che proprio questo tipo di unione, che sottomette i beni comuni (come la moneta) alla finanza, ha provocato e accentuato la crisi; e silenzio pure sul fatto che non siamo usciti dalla crisi proprio perché le istituzioni europee hanno permesso alle banche di fare di tutto sui mercati finanziari, senza alcuna vigilanza; e silenzio sul fatto che la strada intrapresa, che impedisce l’uscita dalla crisi, è proprio quel “più Europa” che continua a risuonare come un ritornello stanco. E pure continuano con l’altro ritornello stanco, sul fatto che l’Italia non può illudersi di risolvere problemi che sono solo suoi uscendo dall’Ue e tacendo il fatto che la crisi non è un problema italiano, quindi i problemi italiani (innegabili) non c’entrano nulla con la crisi.
La questione grave e centrale è quella della cessione della sovranità; è imbarazzante che un tema del genere venga toccato con tanta superficialità. Bini Smaghi finge di ignorare (perché mi rifiuto di pensare che lo ignori) che nessuno in Italia ha istituzionalmente il potere di cedere la sovranità che nell’articolo 1 della nostra Costituzione è definita come appartenere al popolo. Quindi le istituzioni possono amministrare tale sovranità, ma ovviamente non possono cederla e quello che hanno fatto finora (a partire dalla cessione della sovranità monetaria) è semplicemente incostituzionale.
A questo vorrei aggiungere una considerazione molto concreta: il piano di calare le leggi dall’alto senza rendersi conto della realtà non è solo un abuso, è semplicemente un sistema che da un punto di vista pratico non funziona. Questo è il motivo per cui i fautori di tale piano sono costretti alla menzogna spudorata: come quella reiterata sul fatto che la costruzione dell’Europa è ancora in corso, non è ancora terminata, ha bisogno di maggiore potere, ha bisogno di cessione di sovranità. Poi non dicono cosa ci vogliono fare con questa sovranità, anche se non ci vuole molto a indovinarlo: il piano semplice è quello della “flessibilità del lavoro”, cioè l’austerità già attuata in Grecia, dove ha mostrato tutti i limiti di una visione miope.
Per Bini Smaghi, la colpa è delle istituzioni che non si aggiornano, non di quel sistema bancario fallito e coautore della crisi, quel sistema bancario che lui conosce tanto bene perché frequentato ai massimi livelli: ex membro della Bce, ora presidente di Societé Generale, presidente di ChiantiBanca e pure Senior Fellow all’Istituto Affari Internazionali (Iai). Ma che cos’è lo Iai? Si tratta di una istituzione culturale fondata nel lontano 1965 da Altiero Spinelli: sì, avete capito bene, proprio quello che oggi in Italia si affannano ad accreditare come uno dei padri fondatori dell’Europa (tentando di mettere sempre più in ombra i veri fondatori, i firmatari del Trattato di Roma del 1957: De Gasperi, Adenauer e Schuman), uno degli autori del Manifesto di Ventotene, citato a sproposito come manifesto dell’Unione europea, ma in realtà manifesto di chi ha disegnato l’Europa da Maastricht in poi, un’Europa possibilmente federale, totalmente contraria al libero mercato reale e alla proprietà privata e con accenni alla giustificazione alla violenza di stato. Ovviamente la violenza è solo lo stadio terminale di un potere fondato sulla menzogna e sull’ulteriore occupazione di potere.
La conferma viene dallo stesso Bini Smaghi, quando in un libro precedente (“Morire di austerità”) ha affermato candidamente che “Non è un caso che le dimissioni (…) di Berlusconi siano avvenute dopo che l’ipotesi di uscita dall’euro era stata ventilata in colloqui privati con i governi di altri paesi”. E se erano colloqui privati con i governi di altri paesi, come faceva lui, ex membro della Bce, a esserne a conoscenza? Ma anche le menzogne più oscene sono costrette e nascondersi di fronte alla palese verità. E quello che Bini Smaghi deve nascondere è, tra le tante, la figura ingombrante di un premio Nobel come Stiglitz il quale in un’intervista in Italia ha risposto alla domanda “l’euro funziona?” con un secco “No!” e poi “…si è creata divergenza e stagnazione… i più ricchi si sono arricchiti, i poveri si sono impoveriti…”.
Una semplice verità, figlia di un’altra verità più grande, quella relativa al principio di sussidiarietà che le monete nazionali in qualche modo difendevano e che è stato violato e distrutto dalla cancellazione di queste con la nascita dell’euro. “Omicida fin dal principio”, così dovrebbe essere chiamato l’euro.