Tutti i giornali brasiliani danno con grande risalto la notizia che pochi giorni dopo essersi trasferito nel palazzo presidenziale dell’Alvorada, a Brasilia, il presidente Michel Temer l’ha abbandonato con la sua famiglia dichiarando: “Gli spiriti maligni ci hanno cacciato dall’Alvorada”, riconfermando quindi la leggenda che la malasorte coglie tutti coloro che vi alloggiano. È un po’ la stessa cosa che capita a Trump. Nel suo caso gli spiriti maligni sono in bell’ordine: in primo luogo, sta il fatto, come ha dichiarato il suo consigliere McMaster, che il Presidente non può ritenere a memoria una grande quantità di dati e che ha bisogno di informazioni estremamente sintetiche, il che, aggiungiamo noi, impedisce la formazione di un protocollo esauriente e in grado di rispondere a ogni critica; il secondo punto è che Trump non dispone di un pensiero complesso in grado di cogliere le relazioni interstatuali che, come è noto, nel caso dei dati dell’Intelligence, sono sempre più importanti.
Breve parentesi per chiarire il problema. Le informazioni sarebbero state date al ministro degli Esteri russo Lavrov, certamente l’uomo più intelligente che opera oggi sulla scena internazionale, e il confronto tra lui e Trump è quindi impietoso. Si sarebbe trattato di informazioni relative alle contromisure da assumere contro l’Isis, in occasione dei famosi viaggi aerei con tablet e telefonini. Il tutto accompagnato da informazioni di siti operativi di enorme importanza strategica. Chi dava queste informazioni era Israele e ciò che ora le intelligence di tutto il mondo occidentale temono è che queste informazioni possano finire in mano all’Iran, con le conseguenze a tutti note. Io aggiungo che la questione è non a caso esplosa in questi giorni di poco precedenti alle elezioni presidenziali nello stesso Iran, dove la candidatura di Rohani, firmatario degli accordi sul nucleare, è messa in pericolo dalle forze fondamentaliste.
Ma veniamo alla terza questione che tiene assieme tutto il resto. Le riunioni di Trump con i russi rivelano quello che io chiamo il lento ma inesorabile smottamento della faglia tettonica geopolitica che ha governato il mondo dall’inizio della guerra civile europea, ossia il conflitto tra Usa e Russia, una Russia che prima era Urss, ma pur sempre Russia, e una Russia che ora è la Russia di Putin, che ha una visione euroasiatica del mondo e che quindi vuole condividere con gli Usa tanto il Medio Oriente e l’Africa quanto il conflitto ragionato con la Cina. E questo in un contesto in cui l’Unione europea (non l’Europa gollista) in questo disegno non c’entra per nulla.
Non è un caso che a lamentarsi di più di questa situazione, invocando un’Europa sempre più unita, siano i piccoli stati che da questa assenza dell’Europa hanno di più da perdere, come dimostra l’editoriale sul New York Times dell’ex premier belga Guy Verhofstadt. Putin è il punto visibile delle forze che spingono la faglia verso un nuovo accordo mondiale tra Usa e Russia per esportare insieme sicurezza nel mondo. Ma questa sicurezza ha bisogno di risorse, di risorse materiali, di capitali fissi, ossia di investimenti e di occupazione che consentano di sostenere e di creare insieme un nuovo welfare, che solo può essere fondato su una fiscalità che può essere creata solo da un ritorno, profondo e immenso, all’industrializzazione, sconfiggendo la finanza divoratrice di ricchezza che crea disoccupazione, anomia sociale, caduta del consenso.
Il capitale finanziario internazionale cerca di frenare il mutamento della faglia. Certo, ha il suo punto di forza nella bifronte Germania, tanto industrialista quanto iperfinanziarizzata (Deutsche Bank insegna). Ma non basta più, deve crearsene di nuove di queste forze che non vogliono il mutamento della faglia. Ed ecco spuntare i Macron, i Letta, i grandi ritorni dei Prodi e dei Clinton, e via discorrendo. Gli spiriti maligni si agitano, e invadono come un forte vento case che rischiano di non essere più abitate.