Non arrivano buone notizie dai media americani per Donald Trump. Il Washington Post è riuscito infatti ad ascoltare un’audioregistrazione in cui si sente il senatore repubblicano Kevin McCarthy affermare: “Penso che Putin paghi Trump”. Parole che risalirebbero al giugno 2016, in piena campagna elettorale. Ora sarà Robert Mueller a prendere in mano l’indagine sul Russiagate e si continua a parlare di un possibile impeachment per il Presidente, notizia che ha scosso anche i mercati finanziari globali, non solo Wall Street, che comunque ieri è riuscita a frenare le perdite. Secondo l’ex ministro Francesco Forte, negli Usa è in atto una sfida tra poteri e questa situazione non giova certo né all’Europa, né all’Italia.
Professore, cosa ne pensa di quanto sta accadendo negli Stati Uniti?
Il rapporto di Trump coi russi è simile a quello che il nostro Paese, ora con Gentiloni, come ai tempi di Berlusconi e anche prima, ha sempre cercato di avere con Mosca. Cioè, un rapporto interessato a non creare tensioni eccessive per due ragioni. La prima economica: ci sono interessi comuni notevoli di collaborazione, dal settore energetico ad altri. La seconda di carattere geopolitico: a differenza di quello che pensa la Germania, la Russia è fondamentale nell’equilibrio strategico tra Asia, Europa e Medio Oriente.
Secondo lei, Trump rischia l’impeachment?
Non vedo perché ci debba essere un impeachment se il Presidente parla con il ministro russo e dà notizie su eventuali attacchi terroristici. Non mi consta che ci sia una guerra tra Russia e Stati Uniti, quindi non c’è nessun tradimento. Lo scambio di informazioni sul terrorismo è importante e se l’avesse fatto Obama prima sarebbe stato meglio per tutti. L’impeachment negli Stati Uniti è un fatto politico, come si è visto nel passato con Nixon.
Dunque è stata immotivata la reazione negativa dei mercati finanziari?
I mercati si sono mossi così perché la tensione è sempre una fonte di incertezza. In questo caso la fonte di incertezza chiaramente viene percepita come il fatto che ci sarà sempre una battaglia.
Quale battaglia?
Come quelle viste anche in Italia: la sinistra non vuole perdere. Quando poi è alleata di poteri finanziari e interessi economici importanti, si sente superiore e non vuole essere scalzata dal potere, pensa che chi glielo toglie sia nel torto. Quindi, c’è questa reazione rabbiosa.
Sta dicendo quindi che anche la finanza è coinvolta in questa vicenda?
È chiaro che si sta muovendo anche la finanza, la quale oltretutto così ci fa anche affari ribassisti. I giornali che stanno portando avanti la campagna contro Trump fanno riferimento a grandi gruppi finanziari. C’è quindi un’alleanza economico-politica che cerca di difendere con le unghie e con i denti i propri poteri e interessi e in questa lotta si fa anche della speculazione. C’è quindi anche negli Usa, come accade da noi o in altri paesi europei, l’idea che si deve ricorrere alla magistratura per risolvere questioni che per via politica non si riescono a sistemare.
Quali ripercussioni ci possono essere per l’Europa e l’Italia da tutta questa situazione?
Che si crei un disastro politico negli Stati Uniti non mi sembra che sia un bene per il riequilibrio dei rapporti con Washington, che sono fondamentali per risolvere i problemi nel Mediterraneo e del terrorismo. Il nostro commercio con gli Usa è poi fondamentale e più caos si crea negli Stati Uniti, peggio è per noi. Che poi ci siano buone relazioni tra Mosca e Washington per noi è cruciale: basti pensare alle conseguenze negative di quanto avvenuto con la questione ucraina. Non si vede perché non si debba cercare una distensione: mi sembra la cosa più saggia, in particolare in quest’epoca.
(Lorenzo Torrisi)