Quella patita mercoledì dal mercato azionario Usa è stata la peggiore sell-off da otto mesi a questa parte, un tonfo che ha rappresentato un brutto risveglio dall’ubriacatura di narrativa positivista rispetto allo stato di salute dell’economia statunitense. È l’inizio della grande correzione? Penso di no, è stato solo un test. I ribassisti, per prendere il sopravvento, hanno bisogno di un’ondata di negatività più forte, servono sviluppi geopolitici davvero sostanziali perché si possa intaccare il muro di crescita degli indici equities, talmente in bolla da aver paradossalmente ancora strada per camminare prima dello scoppio, una sorta di dilatazione automatica. La questione, però, sta nel manico: una correzione deve arrivare e anche severa, perché una situazione simile (rappresentata nei grafici più in basso) è semplicemente non sostenibile ancora per molto, facciamocene una ragione. O parte l’helicopter money oppure salta, lo dicono i numeri. 



È il quadro più generale, però, a essere interessante: in questo mio articolo del 2 gennaio scorso avanzavo la quasi certezza che Donald Trump sarebbe stato il capro espiatorio per vendere all’opinione pubblica mondiale, già spremuta e colpita dai costi della crisi post-2007, un nuovo shock sistemico, paradossalmente più forte del precedente, visti i livelli di debito accumulati negli ultimi 9 anni. Come vedete, Donald Trump non sta godendo di ottima salute e gli ultimi sviluppi del Russiagate, tali da far emergere con sempre più insistenza l’ipotesi estrema dell’impeachment, sono riusciti a far prezzare il rischio politico anche ai mercati: l’associazioni è diretta e spendibile, Trump nei guai perché tresca con i russi uguale mercato che crolla. È colpa sua. Ora ci sarà, probabilmente, una pausa del nervosismo, visto che il presidente oggi inizierà la sua prima visita ufficiale all’estero (Arabia Saudita, Israele, Italia e Bruxelles) e sarà lontano dal Paese: quale momento migliore, per il Deep State, per operare in tutta calma? 



Ricorderete come parlando dello strano attacco informatico che nel weekend ha colpito 150 Paesi a colpi di richieste di riscatto in bitcoin, io abbia avanzato il dubbio che fossimo davanti a un test: ovvero, provare l’effetto da cortina fumogena che un evento simile potrebbe avere per scatenare una sell-off sui mercati. Ho provato a documentarmi, per trovare conferme o smentite a questa mia ipotesi. Bene, ci sono cose interessanti da sapere. Primo, molti sistemi digitali sono costruiti deliberatamente per essere vulnerabili. I giganti dei software e di Internet hanno cooperato a lungo con la Nsa, la sicurezza nazionale statunitense, attraverso programmi come Prism, al fine di offrire ad agenzie governative accessi backdoor ai sistemi di computer in tutto il mondo. Edward Snowden, nel 2013, svelò al mondo le collusioni tra aziende come Microsoft, Skype, Apple, Google, Facebook e Yahoo e la Nsa ed è cosa nota che ciò che appare un conflitto di interessi e una potenziale, enorme violazione della privacy degli utenti di tutto il mondo sia invece assolutamente legale, visto che si basa sull’utilizzo di una legislazione chiamata Foreign Intelligence Surveillance Act (Fisa), capace di bypassare le protezioni costituzionali garantite dal Quarto emendamento. Insomma, nell’intento dichiarato di creare software e networks destinati a proteggere la sicurezza nazionale, major e Nsa lasciano ampie fasce di vulnerabilità agli attacchi negli stessi: di fatto, creando le condizioni perfette per attacchi false flag, attacchi reali e azioni destabilizzanti più in generale. 



Lo sapete, ad esempio, che il malware “Wannacry” che ha messo i ginocchio il mondo lo scorso weekend, altro non è se non la derivazione di un programma della Nsa chiamato “Eternalblue”? Quel software è stato creato apposta per colpire sistemi Microsoft Windows, di fatto sfruttando delle vulnerabilità che la stessa Microsoft ha reso possibili: casualmente, una lista di questi cosiddetti “exploits” è stata pubblicata on-line solo lo scorso mese da un gruppo hacker denominato “The shadow brokers”. A fare da trait d’union, il programma “Eternalblue” della Nsa. E attenzione, perché qui di complottista non c’è proprio nulla. La Cnn, infatti, notava come simili malware siano stati usati non molto tempo fa proprio dalla Nsa per operare accessi backdoor nientemeno che nel sistema bancario Swift quello per le operazioni on-line e per le carte di credito. Cosa c’è di strano? Il fatto che in base agli accordi internazionali, la Nsa già beneficia di un accesso diretto in Swift: perché operare backdoor? Semplice, gli accessi frontdoor sono tracciabili, quindi ogni attività illecita può essere scoperta e dimostrata. Cosa è entrata a fare la Nsa in quel sistema, coprendo la propria identità? Alla ricerca di finanziamenti al terrorismo o forse per valutare il funzionamento e l’impatto dei propri exploits, magari in occasione di un utilizzo futuro in attacchi? 

Ora, prendiamo per buono che gruppi hacker come questi “Shadow brokers” esistano davvero e non siano un proxy della Nsa, quanto accaduto potrebbe dirci una cosa: questa gente sta sfruttando la debolezze, i varchi al sistema, che le corporations come Microsoft hanno creato per la Nsa, il tutto per ottenere illecitamente del denaro (il famoso riscatto i bitcoin) e lo fa con assoluta spavalderia, violando addirittura sistemi di enorme criticità come Swift. Partendo da questo presupposto, dobbiamo chiederci: quanto sono potenzialmente violabili il sistema bancario e le Borse a livello globale? 

Prendiamo poi l’ipotesi inversa, ovvero che “Shadow brokers” e soci siano in realtà dei proxy di agenzie governative e di intelligence: perché dovrebbero rendere note al pubblico attività di hackeraggio in loro possesso, scatenando attacchi come quello di sabato? Forse perché per accettare una versione, il pubblico deve essere preparato: deve avere tg e giornali che gli dicono che gli hacker possono bloccare il mondo se vogliono. Quindi, un domani, anche il sistema bancario. E le Borse? Non vi pare che, in un mondo che vede già il presidente degli Usa a rischio impeachment e focolai di tensione ovunque, per grandi banche e governi potrebbe rivelarsi un’extrema ratio vantaggiosa quelle di porre deliberatamente a rischio il sistema finanziario, almeno agli occhi del pubblico? 

Fanta-finanza? Non molto, perché enti assolutamente autorevoli come il Fmi da anni discutono, non troppo pubblicamente, di un concetto noto come The great global economic reset. Di cosa si tratta? Niente più e niente meno che la diretta e inevitabile conseguenze dei grafici che ho postato prima: l’orgia di debito che ha evitato ai mercati di schiantarsi finora non è più sostenibile, quindi occorre che un evento o più eventi portino a una sorta di demolizione controllata del sistema finanziario-economico in cui si siamo ficcati dal 2008 in poi. Per ottenere quel reset, servono però dei casus belli: o li facciamo accadere o accadranno comunque, sotto forma di conseguenza dell’inazione. Insomma, esattamente come qualche pazzo decise che serviva prima un Nuovo ordine mondiale e poi un Nuovo secolo americano, ora serve un nuovo sistema economico e finanziario: il problema è che questo non è lavoro che si possa fare en plein air, alla luce del sole, servono dei capri espiatori, servono degli alibi. Gli hacker paiono perfetti per giustificare crolli borsistici: cosa pensate che siano stati i flash crash che abbiamo vissuto in tempi abbastanza recenti, se non delle simulazioni? Vi pare normale quanto accaduto il 6 maggio del 2010, quando a partire dalle 14.42 i listini di Wall Street cominciarono a calare, arrivando velocemente a perdere il 9%, salvo chiudere attorno a -3%? Si parlò di fat finger, ovvero di un trader pasticcione che immise un ordine troppo grande, sbagliando e facendo impazzire gli algoritmi: penso che qualcos’altro li fece impazzire. 

Ci vuole poco, poi, a connotare tutto politicamente. Quelli che vengono dipinti da tutti i media come gli errori capitali compiuti da Donald Trump sono già oggi associati ai cali dei mercati, una consequenzialità che nell’opinione pubblica tende a cristallizarsi e a far dimenticare di chi sia la reale responsabilità del disastro finanziario attuale: non di Trump in carica da poco più di 100 giorni, ma di Barack Obama e della Fed, dal 2008 in poi. E poi, quanto pensate che ci vorrà ad allargare il sillogismo, ampliando la pletora di responsabili della crisi a chiunque rientri nella categoria politica di Trump, ovvero di cosiddetti “populisti”, i quali con la loro irresponsabilità stanno facendo saltare il sistema? A quel punto – quando sovranisti, anti-mondialisti, conservatori anti-sistema saranno finiti tutti nello stesso calderoni dei colpevoli – sarà facile per i campioni della globalizzazione assurgere a salvatori della patria mondiale e cavalieri bianchi dei mercati in crollo: straordinario piano, quasi un giallo in cui l’assassino fa arrestare il poliziotto che sta indagando su di lui, facendola franca. E certi capri espiatori, statene certi, saranno molto illusori e intangibili. 

E che qualcosa si stia muovendo con enorme rapidità, lo dimostra l’intervista di ieri alla Reuters di Benoit Coeuré, membro francese del direttivo della Bce e, finora, braccio destro di Draghi nella lotta contro le richieste di tapering del Qe avanzate dalla Bundesbank. Ecco le sue parole: «Troppo gradualismo nella politica monetaria comporta il rischio di grandi aggiustamenti dei mercati una volta che la decisione sarà presa… La Bce non dovrebbe dare troppo peso a eventi politici come le elezioni nei paesi membri riferendosi alle tornate elettorali in Germania e in Italia. Eventi che sposterebbero l’orizzonte dell’intervento all’inizio del 2018». Insomma, di colpo per il banchiere francese, in teoria, si potrebbero rialzare i tassi anche prima della fine dell’anno mantenendo in vigore il programma di acquisto dei bond: «Il sentiero della Bce non è scritto sulla pietra», ha dichiarato, annunciando un confronto al board dell’8 giugno previsto a Tallinn, dove se la dovrà vedere con la tesi dominante di Mario Draghi, del vicepresidente, Vitor Constancio e del Capo economista, Peter Praet. «Dobbiamo rimanere in linea con i fatti: la deflazione non è più un pericolo e potremmo scoprire che il tasso negativo praticato ora ai depositi delle banche presso la Bce impone un costo all’industria finanziaria, tanto alto da ostacolare il meccanismo di trasmissione tra la politica monetaria e l’economia reale», ha concluso. 

Ma guarda, di colpo Coeuré parla come un tedesco. Il viaggetto di Emmanuel Macron da Angela Merkel non c’entrerà mica qualcosa? Se per caso i mercati prezzassero il dubbio reale di un tapering come hanno reagito al rischio impeachment di Trump, allora finiremo davvero sull’ottovolante. Magari, proprio l’epilogo che qualcuno sta cercando in vista dell’estate.