Siamo nell’aprile 2017, sono passati quasi dieci anni dall’inizio della crisi (agosto 2007, ci dicevano che era colpa dei subprime!), dal fallimento della prima banca (Nothern Rock, e non c’entrava nulla con i subprime!) seguito dalla nazionalizzazione e dalla successiva privatizzazione, con un danno netto per le casse dello Stato. Un primo modello che poi ha fatto scuola in tutto il mondo: i danni del sistema bancario privato sono diventati un danno per gli stati grazie a un insieme di regole per cui chi è ricco non ci perde mai.



Ed è chiaro che chi doveva porre delle regole e vigilare sul rispetto delle regole non ha vigilato, ma anzi le ha violate. Come ha fatto la Bce fin dall’inizio, quando ha continuato ad aumentare l’aggregato monetario di cifre sempre superiori al 6% annuo, mentre nel 1998 aveva detto che l’avrebbe aumentato del 4,5%. Risultato? Ha creato una gigantesca bolla finanziaria. E quando è scoppiata la crisi ha semplicemente aperto ancora di più il rubinetto del denaro facile a prezzi sempre più bassi, per il sistema bancario fallito.



Il costo economico è stato la depressione dei salari (attuata tramite le politiche di austerità e il taglio dei costi) e quindi l’avvio della crisi dell’economia reale. E questo è avvenuto perché è mancata la flessibilità dell’altro strumento in gioco, la moneta. Quindi, la flessibilità richiesta dalle nuove condizioni di mercato, non potendosi scaricare sui cambi monetari (poiché abbiamo tutti la stessa moneta), si è necessariamente scaricata sul contenimento dei costi e sul costo principale per tutte le aziende, cioè quello del lavoro.

La correlazione quindi tra moneta unica e disoccupazione e contrazione economica (o stagnazione, nel migliore dei casi) è una correlazione stretta. E dopo dieci anni di crisi e di false promesse di uscita dalla crisi, dopo le promesse più bizzarre (austerità, lotta alla corruzione, taglio delle tasse, “più Europa”, “80 euro”, ecc.) ormai dovrebbe essere chiaro che tutto dipende dall’euro e dalle sue regole. Ancora di più dovrebbe essere chiara la profonda verità della frase di papa Francesco contenuta nella Evangelii Gaudium: “Il denaro deve servire, non comandare!”. Non si tratta solo di una questione morale, si tratta soprattutto di un sistema che da un punto di vista macroeconomico non funziona e non può funzionare. Anche su questo aspetto il Papa si è espresso molto chiaramente: “In questo contesto, alcuni ancora difendono le teorie della ‘ricaduta favorevole’, che presuppongono che ogni crescita economica, favorita dal libero mercato, riesce a produrre di per sé una maggiore equità e inclusione sociale nel mondo. Questa opinione, che non è mai stata confermata dai fatti, esprime una fiducia grossolana e ingenua nella bontà di coloro che detengono il potere economico e nei meccanismi sacralizzati del sistema economico imperante” (EG, n.54).



Ora, dopo dieci anni di crisi, possiamo dirlo chiaramente, sapendo di dire una cosa ovvia e banale: la sciocchezza per cui l’abnorme ricchezza di pochi ha comunque effetti benefici per tutti, non solo non è mai stata confermata, ma è stata chiaramente smentita dai fatti. Eppure, ancora oggi ci tocca sentire in televisione una eurodeputata, come Lara Comi, che in una trasmissione televisiva ha affermato tranquillamente che lei rinegozierebbe il cambio lira/euro, a suo tempo stabilito a 1936,27. Lei lo porterebbe a 1000 lire per euro, però andrebbe bene anche 1200 lire.

Il problema, secondo questa illuminata economista, sarebbe il cambio, non il fatto che la Bce stampa fiumi di denaro per il sistema bancario che lo usa per tenersi in piedi speculando e gonfiando bolle. Ma cerchiamo di seguire, solo per un attimo il ragionamento folle: passare da 1936 a 1200 lire per euro vuol dire rivalutare. Ma noi abbiamo già una moneta troppo cara, ci vorrebbe una sana svalutazione, non una rivalutazione che ammazzerebbe il nostro export!

In studio nella trasmissione erano presenti anche il deputato Piras (Pd) e il deputato D’Attorre (serio economista). Piras ha farneticato che il problema non è la moneta unica, ma la corruzione: “Siamo entrati in un condominio dove ci sono delle regole” e poi silenzio totale sul fatto che gli altri, a iniziare dalle istituzioni europee, le regole le violano (Francia in deficit, Germania col surplus, Spagna col deficit). E silenzio sul fatto che la corruzione è ovviamente una frazione del Pil, mentre il debito italiano totale (pubblico più privato) è circa il doppio del Pil. Quando si parla di macroeconomia e di crisi, occuparsi di corruzione o evasione fiscale, benché encomiabile da un punto di vista morale, vuol dire occuparsi delle briciole. E poi anche corrotti ed evasori mangiano e spendono, quindi dal punto di vista del Pil nulla cambia.

Niente, la Comi insiste col tasso di cambio a 1200! L’economista D’Attorre ha giustamente fatto osservare che oggi esiste già uno squilibrio, con la Germania che ha una moneta più debole rispetto alla forza della propria economia (e quindi conveniente per le sue esportazioni), mentre l’Italia ha una moneta troppo forte per la propria economia. Se l’Italia rafforzasse la propria moneta, si amplierebbe un divario con la Germania e sarebbe una catastrofe per la competitività delle nostre aziende.

Di fronte ai dinieghi della Comi, D’Attorre ha provato a osservare che questo ormai lo dicono tutti gli economisti più famosi e celebrati (che l’euro è un disastro e che l’Italia soffre per una moneta troppo forte); e allora la Comi ha affermato con saccenza di essere laureata in economia e di aver fatto “studi monetari” e quindi “io so bene quello che dico!”. Io farei una domandina alla Comi: nell’ipotesi surreale di un cambio lira su euro rinegoziato a 1000, avremo per “decreto” i saldi dei conti correnti quasi raddoppiati (solo in Italia, ovviamente!). Non voglio discutere qui della fattibilità politica della cosa (anche se la Comi è una eurodeputata che dovrebbe sapere quanto sarebbe difficile far accettare una simile bizzarra soluzione in Europa!), ma della sua fattibilità economica. 

Ora proviamo a spaccare la situazione in due casi limite: il primo caso è quello per cui i prezzi e gli stipendi raddoppiano, il secondo è quello in cui non cambiano. Nel primo caso ovviamente se tutto raddoppia, concretamente per l’economia reale interna non cambia nulla, ma crolla l’esportazione a causa del raddoppio dei costi per produrre. Nel secondo caso, per l’esportazione non cambia nulla, ma sul mercato interno avremmo un raddoppio sia dei capitali depositati, sia di quelli prestati!Infatti, se si ha un raddoppio solo delle somme depositate, il prestatore inevitabilmente subisce un danno finanziario; per esempio, se io ho 200 sul conto e ne presto 100 a Caio (prima della rivalutazione) e poi dopo la rivalutazione ho 200 sul conto (i 100 raddoppiati), ma Caio mi restituisce solo 100 (perché gli ho prestato 100) in totale riavrò 300, che saranno inferiori ai 400 che avrei avuto se non avessi prestato il denaro e mi fossi tenuto i 200 euro iniziali depositati sul conto. E siccome i più grandi prestatori nel mercato sono ovviamente le banche, avremmo il tracollo del sistema bancario.

Quindi, occorre il raddoppio di denaro sia depositato che prestato. Il che vuol dire che avremmo il raddoppio del debito pubblico italiano che passerebbe da 2250 miliardi a 4500 miliardi. E siccome il Pil rimarrebbe invariato (perché i prezzi e quindi le spese sarebbero invariate) avremmo un identico rapporto deficit/Pil, ma avremmo anche il raddoppio del rapporto debito/Pil (da 133% a 266%). Insomma, avremmo il default dello Stato.

Questi i possibili risultati di una moneta troppo forte: distruzione dell’export, default del sistema bancario o default dello Stato. Ovviamente non siamo nei casi limite considerati, quindi quello che abbiamo è un misto di tutte queste situazioni. L’export in qualche modo si difende, quindi a soffrire in particolare sono le banche e i bilanci dello Stato. Il vero problema non è il cambio (corrispondente ai valori delle monete nazionali al cambio di venti anni fa), ma, come visto all’inizio di questo articolo, la mancanza di flessibilità del cambio. Che implica una sottomissione dell’economia alla moneta ed “esprime una fiducia grossolana e ingenua nella bontà di coloro che detengono il potere economico e nei meccanismi sacralizzati del sistema economico imperante”.

Questi meccanismi sacralizzati, per cui chi osa metterli in discussione è considerato un eretico della religione della moneta, sono il vero nemico dell’economia reale e dei disoccupati.

P.S.: Macron ha vinto le elezioni in Francia (con il 23,8% contro il 21,3% della Le Pen) e banche e mercati festeggiano. Tanto per capire come sono gli schieramenti. In un post su Facebook avevo ipotizzato una vittoria della Le Pen, basandomi sul fatto che le elezioni sono frattali e che i sondaggisti continuano a sbagliare le previsioni (e avevano previsto la vittoria di Macron). Mi sono sbagliato. Ma forse il risultato ha coinciso casualmente con i sondaggi, visto che una frattalità è emersa: infatti nelle periferie ha vinto la Le Pen, mentre nelle grandi città ha vinto Macron (a Parigi la Le Pen ha preso un misero 5%). Suppongo che al ballottaggio (ancora più frattale!), ne vedremo delle belle. I sondaggi danno Macron vincente col 62% dei voti. Vedremo.