Nel mio articolo di ieri sottolineavo come la dura presa di posizione del vertice dei capi di Stato e di governo di sabato scorso sul Brexit fosse, in gran parte, un monito per il ballottaggio alle presidenziali francesi di domenica e, in subordine, un richiamo all’ordine per l’Italia, soprattutto ora che – legittimato dal voto delle primarie – Matteo Renzi farà di tutto per staccare la spina al governo Gentiloni e anticipare il voto a prima della scadenza naturale. Bene, vi faccio una domanda: solo io ho notato un crollo dell’interesse dei nostri media nei confronti del secondo turno delle presidenziali francesi? A parte il solito trito articoletto sulla difficoltà a trovare un presidente del Front National (Marine Le Pen si è dimessa da tale ruolo la sera del primo turno, quando c’è la stata la conferma del suo arrivo al ballottaggio), a causa di profili estremisti e antisemiti dei candidati, il silenzio: e sapete perché? Perché la realtà, da amica testarda qual è, ha disintegrato il patetico tentativo di ammantare questo voto di simbolismo antifascista e di tutela della democrazia e lo ha svelato per quello che è: forse, il più “sociale” di tutti i voti recenti in Europa e con un unico, vero protagonista al centro del dibattito, il lavoro.
Non l’euro, l’Ue, i migranti, l’islam e tutto ciò che fa comodo all’establishment per dipingere la candidata del Front National come il diavolo impersonificato: il lavoro, ciò che stanca e fa sporcare le mani, ma che, alla fine, ti garantisce la dignità di portare a casa il pane. Bene, questa dignità in Europa è sempre più un lusso e la giornata di ieri, il 1 maggio, ce lo ha ricordato in maniera drammatica, fra “economie da call center” e milioni di persone per cui la parola diritto è un apostrofo poco roseo tra le parole “sei licenziato”.
Ebbene, la scorsa settimana Marine Le Pen ha avuto moltissimi appuntamenti su e giù per il Paese, ultimo dei quali – particolarmente paparazzato dai media francesi – con i pescatori del Nord, ammazzati da alti costi, concorrenza e una delirante politica comunitaria sulla pesca. Ed Emmanuel Macron, dov’era? Chiuso nelle stanze del potere, l’unico posto dove può stare, vista l’accoglienza che ha ricevuto quando si è avvicinato alla fabbrica della Whirlpool di Amiens, sua città natale: che strano, vero, gli operai non hanno steso il tappeto rosso a un ex banchiere dei Rothschild e convinto europeista, chissà come mai? Forse perché quella stessa fabbrica il prossimo anno chiuderà, visto che il gigante Usa trova più conveniente delocalizzare in Polonia e Macron al riguardo non ha nulla da dire? Ma, come ci mostra questa tabella, relativa agli ultimi sondaggi francesi, Emmanuel Macron è accreditato attorno al 59-60% dei voti al ballottaggio contro il 40-41% della Le Pen, la quale però ha conosciuto un trend di crescita dal 36-37% del 24 aprile. Di fatto, un’enormità, un gap di 20 punti percentuali che appare lunare colmare in meno di una settimana: Macron è già all’Eliseo?
Fino a una settimana fa vi avrei detto di sì e in carrozza, ora no. Ora, dovessi puntare il proverbiale euro, lo farei sulla candidata del Front National. E per la ragione che vi ho spiegato poco fa, il fatto che il tema principale della campagna elettorale sia diventato il lavoro. Un qualcosa che sta a Macron come un incendio sta a un pompiere, piaccia o meno a chi è saltato sul carro del candidato centrista, prospettando scenari apocalittici stile Brexit o Trump in caso di vittoria della destra (e non avendo limite del ridicolo rispetto al proprio approccio ipocritamente ideologico). E non lo dico io, ci ha pensato il ricercatore Serge Galam, la cui lettura della realtà è molto semplice: se l’astensione giocherà la sua parte, non ci vorrà molto a Marine Le Pen per vincere.
Galam ha analizzato i trend di affluenza e preso in considerazione differenti scenari di astensione, partendo da ciò che a suo modo di vedere sono i sondaggi più credibili: ovvero, quelli che vedono un risultato finale con Macron al 58% e Le Pen al 42%. Ora, partendo da questo assunto, se il 90% degli elettori del Front National andrà a votare, ma solo il 65% di quelli di Emmanuel Macron farà lo stesso, la Le Pen vincerebbe con il 50,7% dei voti. In questo modo, la soglia necessaria a Macron per vincere è del 65,17% e si amplia sempre di più, mano a mano che i due contendenti si avvicinano nei sondaggi. Se per caso la Le Pen dovesse guadagnare due punti domenica, salendo al 44% delle intenzioni di voto, la soglia per Macron salirebbe al 70,71% e così in avanti, perché ogni extra 2% per la candidata della destra significherebbe un 5% in più di soglia necessaria affinché vinca il candidato centrista.
Ora, non ci vuole il re dei demoscopi per capire che l’elettorato del Front National è molto più leale e motivato di quello di En Marche!, tanto più che una buona parte di chi ha votato Macron lo ha fatto senza entusiasmo per il candidato ma unicamente in chiave repubblicana, ovvero sbarrare la strada alla Le Pen. Peccato che dal primo turno a oggi, le critiche contro Macron e l’avversione al suo personaggio siano cresciute parecchio in Francia, anche in vista del voto legislativo di giugno, la vera partita da giocare. Le Figaro, giornale non certamente vicino alla Le Pen, lo ha detto chiaramente: l’assenza di una chiara indicazione di voto da parte di Jean-Luc Mélenchon ai suoi elettori e la crescita esponenziale sui social network dell’hashtag #SansMoiLe7Mai parlano chiaro. E cioè, in Francia c’è un terzo, pericoloso candidato in agguato in vista del voto di domenica: il movimento ni-ni, ovvero chi si oppone alla Le Pen in chiave anti-nazionalismo, ma che, altrettanto, dice no a Macron perché visto come candidato artificiale dell’establishment. Insomma, l’astensione deciderà con ogni probabilità il prossimo inquilino dell’Eliseo, tanto che gli studenti – quelli che prima del 24 aprile avevano protestato, anche violentemente, solo contro Marine Le Pen – ora scendono in piazza proprio con lo slogan dei ni-ni, quel #SansMoiLe7Mai che significa io il 7 maggio resterò a casa. O, più craxianamente, andrò al mare.
Il tutto, calcolando che se anche un’altissima percentuale di chi ha votato Benoît Hamon al primo turno (71-80%) voterà nelle intenzioni per Macron e solo l’1% per la Le Pen, va ricordato come il candidato socialista abbia raccolto soltanto il 6,36% al primo turno: ovvero, pressoché nulla a livello di tesoretto elettorale. Resta un blocco di indecisi enorme, inoltre, visto che combinando il 19,58% di Jean-Luc Mélenchon e il 20,01% di François Fillon abbiamo una pletora combinata di voti in libertà pari al 39,58%, elettori che vengono definiti in gergo disenfranchised, ovvero sganciati dal marchio di appartenenza al primo turno. Ora, stando alla media dei sondaggi, la percentuale di astenuti dovrebbe essere del 22,67% domenica prossima, un dato già fattorizzato nel computo del risultato finale stando agli istituti demoscopici, ovvero 59% a 41% a favore di Macron. In media, sempre stando alle proiezioni, il 39,33% degli elettori di Mélenchon ha detto che si asterrà, a cui vanno sommati i 30,67% di quelli di Fillon e il 24,33% di quelli di Hamon: media ponderata fra i tre, 15,35%. Quindi, meno del 22,67% preventivato dagli istituti demoscopici sul dato totale: questo cosa ci dice? Che c’è un potenziale extra-pool di elettori che non ha deciso e sta prendendo tempo e sono da ricercarsi in chi, al primo turno, ha votato tra i candidati andati al ballottaggio: quindi, tra quelli di Macron, visto il sideralmente differente livello di fidelizzazione ed entusiasmo tra i due elettorati.
Riuscirà, in questi pochi, ultimi giorni, l’establishment che sostiene Macron a scongiurare l’effetto astensione, potenzialmente letale al ballottaggio? Servirebbe uno scandalo o un evento tale da muovere prima le pance che le coscienze, qualcosa che faccia paura e spinga alla mobilitazione emozionale, dimenticando il profilo del candidato anti-Le Pen e la patetica realtà che lo vede al centro del dibattito unicamente per avere una moglie di 25 anni più grande, sua ex insegnante. Cosa voglio dire? Che se l’Isis non deciderà di entrare in azione al fianco di Macron, perché queste sono le forze in campo se parliamo di potenziale di influenza del “terrorismo” sul voto francese o non salterà fuori qualche imbarazzante scheletro a orologeria dall’armadio della storia recente contro la candidata del Front National, il mio 99,99% di probabilità di sconfitta per Marine Le Pen scende drasticamente. Al 50%. Forse meno. Altrimenti, come spiegare la sparata di ieri di Emmanuel Macron in occasione del 1 maggio? Cosa ha detto? «Se le disfunzionali istituzioni europee non saranno riformate, allora la Francia potrebbe cercare la porta per uscire». Ma guarda un po’ che capriola a pochi giorni dal voto…