La doccia fredda è arrivata. La conclusione dell’Eurogruppo non ha portato i risultati sperati da Atene. Europei e Fmi hanno rimandato alla prossima riunione dell’Eurogruppo, il 15 giugno, la “soluzione” del debito e il semaforo verde per la tranche di 7-10 miliardi. È stato deciso invece che la Grecia abbia un avanzo primario del 3,5% dal 2018 al 2022. Detto altrimenti, il ministro Schauble manda a dire a Tsipras che in questo periodo (leggi elezioni alle porte) la Germania non è disposta a discutere del debito ellenico, almeno fino al 2018 (come concordato a maggio 2016).



Eppure giovedì scorso Atene ha votato un altro pacchetto di misure quale oggetto  di scambio: noi tagliamo stipendi e pensioni e voi tagliate il debito. Ma Tsipras aveva minacciato che senza una sua ristrutturazione il governo avrebbe cancellato la nuova legge sui tagli e dichiarato, sempre giovedì scorso, di avere ottime notizie sulla soluzione del debito. Ma il “do ut des” tagli-debito del primo ministro era l’amaro per far digerire ai suoi parlamentari un’altra indigestione di tagli. 



Forse non ne aveva bisogno. Tutti i “syrizei” hanno votato compatti, e anche senza alcun “mal di pancia”, senza alcuna dichiarazione di dissenso, senza distinguo. Come da previsione, un altro pacchetto di tagli è stato votato da una maggioranza che fino a tre anni fa scendeva in piazza contro i due primi Memorandum.   

Molti commentatori si stanno interrogando sulle ragioni di questa compattezza. In molti sostengono che i “syrizei” sono «attaccati alla poltrona». Loro sostengono che è un «dovere patriottico» che li spinge a votare anche “contro natura”, perché «non esiste una alternativa». E aggiungono: è una scelta tattica, perché la strategia è quella di rifondare lo Stato su nuove basi di giustizia sociale. 



Tutti “allineati e coperti”, dunque, come da copione. Ben più imbrogliata la situazione durante le votazioni dei precedenti Memorandum, quando si assistette a forti dissensi ed espulsioni. Da maggio 2010 sono stati espulsi o si sono dimessi dal loro gruppo parlamentare ben 60 parlamentari (socialisti e conservatori), e oggi molti di loro fanno parte della maggioranza. Fino al 2014, se il Parlamento ribolliva di contestatori, Atene viveva giornate di fuoco: “indignati”, scioperi, occupazioni, bombe, vandalismi. Allora, i capitani coraggiosi di Syriza erano per strada con i manifestanti, urlando: «Merkel go home». 

C’è da chiedersi perché da due anni non succeda nulla di quanto sia successo dal 2011. Una prima risposta potrebbe essere quella che oggi Syriza è al governo e i suoi capipopolo si stanno godendo il potere. Una seconda è che la gente ormai è stanca di protestare – oggi gli unici per strada a manifestare sono i pensionati, i quali, dal 2015 al 2021, hanno pagato e pagheranno il 40% dei tagli. La terza è che molte persone hanno abbandonato l’interesse per la politica. Corretta è stata infatti l’analisi del ministro delle Finanze durante la discussione in Parlamento: «Non abbiamo nessuna ragione per bisticciare, considerato che nove cittadini su dieci ci hanno voltato le spalle».

Due anni dopo, tra bugie, post-verità e doppie verità, Tsipras sembra aver fallito nella sua strategia di mettere in ginocchio l’Europa, di rigettare gli accordi e di rilanciare la sinistra alternativa in Europa. Resta la tattica che prevede una narrazione di sinistra, di “orgoglio nazionale” di “dura trattativa” che confligge con una realtà di robusti tagli. 

Di queste nuove e future misure nessuno ha capito molto, per cui non fa neppure più specie sentire detti e contraddetti tra sinistra e destra sui nuovi tagli e sulle ipotetiche contromisure (ma saranno gli europei a stabilire se andranno attivate): anche sui miliardi di risparmio governo e opposizioni forniscono numeri diversi. Non fa specie invece che entrambi i leader – Tsipras e Mitsotakis – si scambino accuse personali, e che nessuno dei due abbia un piano concreto per uscire dalla crisi. In questo clima di incertezza, delusioni, false promesse, il futuro sembra riaffidato ai conservatori (dal 2009 i greci votano “contro”) che, ringalluzziti dai sondaggi, hanno riaperto lo scrigno delle promesse: tagli alle tasse e investimenti. Slogan ormai abusati. Populismo sempre in auge.  

Dicevamo tutti “allineati e coperti” in Parlamento. Fuori, la sinistra di Syrizia, prima ancora di valutare l’impatto dei nuovi tagli, chiede una «virata a sinistra». Nel documento del gruppo “53 plus”, riunitosi per analizzare le conseguenze politiche della votazione di giovedì scorso, si legge che nei «prossimi tempi avremo grandi difficoltà e molto dipenderà dalle discussioni sul debito pubblico». Ma non solo. Il gruppo chiede un cambiamento di linea politica e un rimpasto di governo. I “53 plus” inoltre accusano i «creditori strozzini» di aver provocato, «con le loro richieste, un’altra ferita al governo e alla sinistra, con l’obiettivo di separarci dalle nostre alleanze sociali. L’avversario (i creditori, nda) continua ad applicare il suo piano, allo scopo di trasformare la sconfitta tattica del 2015 (vedi: referendum vinto e poi perso, nda) in una sconfitta politica. Questa politica non riguarda solo il partito, ma la società stessa. Per questa ragione Syriza deve organizzare una difesa politica e sociale». Ma chi sono questi “53 plus”? Un gruppo di liberi pensatori radicali che fanno riferimento al ministro delle Finanze, Evklidis Tsakalotos, il capofila nelle trattative con la Troika. Un ossimoro. Una parola greca composta dal termine “acuto” e dal termine “ottuso”. 

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