Non scriverò una sola riga sull’attentato di Manchester, per una ragione semplice. Basta che riprendiate la prima parte del mio articolo di ieri e uniate i puntini come nel gioco della Settimana enigmistica e avrete la risposta. Anzi, serve un aggiornamento: mentre l’Europa prendeva il caffè, sgomenta davanti a tg che rimandavano di default le immagini emotivamente devastanti dell’accaduto, Donald Trump incontrava Abu Mazen a Gerusalemme, tappa fondamentale del tentativo Usa di pacificare i rapporti tra palestinesi e israeliani. Prima del meeting e dopo gli incontri in Israele, però, il titolare della Casa Bianca si è ben premurato di sottolineare come Hamas – architrave dell’Autorità palestinese – sia da considerasi a tutti gli effetti un’organizzazione terroristica. E quella parola, ieri, equivaleva non a un concetto vago, ma ai volti terrorizzati di quelle ragazzine accorse ad applaudire Ariana Grande.
Ecco l’ultimo puntino che vi mancava, ora buon divertimento. Altrimenti, prendete pure per buone le berciate neo-con stile Feltri o Santanché e vivete sereni la vostra guerra permanente al terrore. Prima, però, fatevi una domanda: come mai in questo Paese sono in atto da giorni guerre di religione per scoprire come mai al Fatto quotidiano recapitino sempre intercettazioni e brogliacci, ma nessuno si chiede come mai il sito SITE di Rita Katz abbia immagini, video e rivendicazioni degli attentati in tutto il mondo e in tempo reale? Ma già che state riprendendo in mano il mio articolo di ieri, rileggete (o leggete per la prima volta) anche il corpo centrale, la “ciccia”: parlavo del grande reset necessario per l’Unione europea e che passerà attraverso l’agenda Draghi, presentata con molta chiarezza dal numero uno della Bce durante il suo discorso all’università di Tel Aviv di giovedì scorso. La questione è chiara: occorre spingere sulla cessione di sovranità, sulla revisione dei Trattati, sull’unione bancaria e sull’integrazione dei migranti. Dopo Gentiloni, Soros deve aver parlato anche con il titolare dell’Eurotower.
E, come vi ho fatto notare, uno dei passaggi obbligati e più importanti di questa road map per un Nuovo secolo europeo sono le elezioni politiche che si sono tenute e si terranno in Europa da qui alla fine dell’anno. Blindati i risultati in Austria (presidenziali), Olanda (legislative) e Francia (presidenziali), ora il calendario ci propone l’accoppiata Gran Bretagna (legislative) e Francia (legislative) a inizio giugno, poi le politiche in Germania di fine settembre e le legislative in Austria (elezioni anticipate) per il 15 ottobre. Nel mio articolo di ieri provavo a delineare uno scenario che portasse anche l’Italia al voto in autunno, partendo dalle dichiarazioni in tal senso di Forza Italia e Pd, per bocca di Silvio Berlusconi ed Ettore Rosato. E mentre attendiamo sviluppi, ecco che per coincidenza un’altra nazione europea potrebbe andare al voto anticipato: la Spagna.
Ricorderete come lo scorso anno il leader del Psoe, Pedro Sanchez, fu defenestrato dal suo ruolo per la scelta di non consentire la nascita di un governo di minoranza guidato da Mariano Rajoy e al suo posto arrivò alla guida del partito socialista arrivò Susana Diaz. Bene, contro ogni previsione, domenica la Diaz ha perso le primarie interne per la segreteria e lo ha fatto, in una corsa a tre, proprio in favore di Sanchez, tornato prepotentemente in sella. Questo cosa significa? Semplice, se non ci sarà un cambio di atteggiamento da parte del leader resuscitato, la legislazione a guida Rajoy potrebbe avere i giorni contati e si potrebbe arrivare presto all’indizione di elezioni anticipate. Il risultato del voto interno al Psoe è stato davvero inaspettato: Pedro Sanchez ha preso il 50%, contro il 40% della Diaz e il 10% dell’ex presidente basco, Patxi Lopez. E attenzione, perché non solo la Diaz aveva permesso, dopo l’estromissione di Sanchez lo scorso ottobre, la nascita dell’esecutivo Rajoy, ma era sostenuta nella sua campagna per la segreteria da due pesi massimi del PSOE come gli ex premier José Luis Zapatero e Felipe Gonzalez. E subito dopo le elezioni legislative in Francia e Gran Bretagna, esattamente il 18 di giugno, il Psoe terrà il suo congresso per il rinnovo del Comitato esecutivo e sarà chiamato ad approvare la piattaforma politica. Uno scenario che apre tre possibili vie alle elezioni anticipate.
Primo, se Sanchez otterrà la fiducia del congresso su una linea di opposizione dura al governo, Rajoy potrebbe gettare la spugna prima di presentare la finanziaria il mese prossimo. Secondo, se anche dal Congresso del Psoe uscisse una linea attendista, lo stesso Rajoy ha già detto che, in caso di bocciatura parlamentare della finanziaria, indirà nuove elezioni subito. Terzo, la variabile catalana, visto che la dissoluzione anticipata del Parlamento e una nuova campagna elettorale andrebbero a coincidere con le rinnovate tensioni tra Madrid e Barcellona, con quest’ultima che avrebbe inserito nello statuto autonomo una clausola che minaccia la proclamazione immediata dell’indipendenza in caso il governo centrale non permettesse lo svolgimento di un referendum sulla materia.
Quante meravigliose coincidenze che accadono, non vi pare? Ma non basta, perché nelle ultime 36 ore abbiamo scoperto altre due cose. Primo, il Pil tedesco è salito dello 0,6% congiunturale nel primo trimestre e dell’1,7% su anno, in base all’indice destagionalizzato e in linea con le stime preliminari. L’export è salito dell’1,3% sul trimestre precedente e l’import dello 0,4%, i consumi privati dello 0,3% e quelli dello stato dello 0,4% congiunturale, gli investimenti in costruzioni del 2,3%. Da record la fiducia degli imprenditori tedeschi: l’indice Ifo che misura le loro aspettative è salito a un livello top di 114,6. In Francia, la fiducia delle imprese è salita a maggio a 105 punti dai 104 punti di aprile. Insomma, dopo la vittoria in Nord Reno-Westfalia, feudo di Schultz, sembra che Angela Merkel, paradossalmente l’agente infiltrato di Draghi nell’Ue per ottenere riforme forzate, possa godere anche del favore economico, in vista del voto di settembre per un quarto mandato.
Seconda notizia, all’Eurogruppo di lunedì, i ministri delle Finanze della zona euro non sono ancora riusciti a trovare un accordo sulle misure di alleggerimento del debito della Grecia, nonostante il via libera del governo e del Parlamento di Atene a un nuovo pacchetto di riforme chieste dai creditori internazionali: «Sono stati fatti progressi, ma non ancora un accordo», hanno dichiarato. La questione ora è rimandata a giugno, quando si spera siano sanate le divisioni proprio tra la Germania e il Fondo monetario internazionale sull’alleggerimento del debito greco, le quali non avrebbero permesso di raggiungere un compromesso. Giugno, guarda caso in concomitanza con voto francese e britannico e con il congresso del Psoe in Spagna. D’altronde, un po’ di tensione serve per attuare l’agenda Draghi, l’ho scritto ieri.
E questi due grafici ci mostrano come ce ne sarà a bizzeffe attorno al destino ellenico nei prossimi mesi. Il primo ci dice che, vigliaccamente, l’Europa sta usando la solita tattica di terrorismo finanziario: visto che Atene non ha grosse scadenze fino a luglio, quando ci saranno da ripagare 7 miliardi di obbligazioni in scadenza, utilizza il lasso di tempo che ci divide da quel momento per tenere Atene sulla graticola. E con essa, tutta l’eurozona. Il secondo grafico, invece, ci mostra come questo atteggiamento criminale di Ue e Fmi abbia riportato in recessione l’economia ellenica, dopo un periodo di relativa crescita.
Serve altro per farvi capire che c’è una regia dietro quanto accade? Altrimenti, continuate a credermi un complottista e bevetevi le narrative ufficiali. Quelle, ad esempio, in base alle quali la Grecia è stata salvata (almeno per quattro volte). Anche qui, non è difficile: come per Manchester, unite i puntini. E tranquilli, il governo Gentiloni non mangerà le caldarroste. E, forse, nemmeno l’anguria a Ferragosto.