Caro direttore, la data del 24 aprile, così prossima a quella nazionale della Liberazione, ha significato per Alitalia una svolta che definire epocale non è esagerato. La vittoria dei No al referendum interno, inizialmente propinata da gran parte dei media, dalla politica e da un certo sindacalismo “di corte” come quella dei soliti “privilegiati”, con l’andar del tempo non ha solo offuscato le dicerie già ampiamente chiarite (da anni) su questa come altre testate, ma ha messo con le spalle al muro delle sue grandissime responsabilità sia un mondo politico che sindacale che oltre a essere apparsi lontani dalla realtà non hanno mai mirato allo sviluppo di un sistema Paese.
Va da sé che alla fine pure il ministro dei Trasporti Delrio che la segretaria della Cgil Camusso hanno dovuto ammettere non solo che i sacrifici salariali imposti dal nuovo piano fossero ben maggiori delle percentuali presentate, ma anche come in verità gli errori manageriali di tutti questi anni abbiano portato la compagnia allo stato attuale.
Insomma, una protesta responsabile e tutt’altro che masochistica nelle sue intenzioni, ormai sempre più ampiamente condivise: il “materiale umano” alla fine si è ribellato, stanco di essere nel mirino non solo per i suoi costi che, ricordiamolo, fin dal 2006 erano altamente competitivi, ma anche, per l’appunto, di essere trattato in termini molto lontani dal vocabolo “risorsa”. È giunta l’ora di dare uno stacco definitivo alle politiche fin qui attuate e di iniziare finalmente un dialogo costruttivo con le maestranze, liberandosi una volta per tutte di un management che, specie nei suoi livelli medi, si è non solo camaleonticamente riciclato, ma ha rappresentato l’ossatura di un sistema di conduzione ampiamente obsoleto.
L’aviazione commerciale ha come valore la preparazione dei suoi addetti, sui quali venivano e vengono stanziate somme enormi per l’altissimo valore tecnologico del settore: buttare questa ricchezza nel cassonetto, come successo sia nel 2009 che nel 2014, imporre un rapporto più simile a un Marchese del Grillo dell’aria che a una collaborazione “di squadra” ha prodotto danni enormi ed è da considerarsi tra le principali cause dei vari dissesti sofferti dall’ex compagnia che ci auguriamo possa tornare “di bandiera”.
Quello che le attuali maestranze di Alitalia vogliono è tornare a poter recitare la loro parte, visto che le potenzialità sono altamente presenti, ed essere considerate un attore principale di uno sviluppo che, possibile da anni visto gli enormi guadagni operati della altre compagnie aeree, non rappresenta un passo per un’ennesima assistenza da parte di uno Stato Pantalone, ma una reale possibilità di rinascita.
Se da un lato l’attuale commissario Gubitosi ha mostrato un’apertura nei confronti delle maestranze come non si vedeva da tempo, dall’altro il management non ha proseguito nello stesso schema, con licenziamenti che hanno colpito chi nei vari “social network” esprimeva pareri contrari alla recente conduzione di Alitalia. Stiamo parlando di contesti privati, quindi le manovre attuate sono in aperta violazione della privacy. A cui si è aggiunta una Cigs a rotazione che coinvolgerà 828 lavoratori di terra e 430 naviganti. Lo sciopero proclamato dai naviganti il 28 maggio rappresenta un fatto importantissimo per una dirigenza che deve mostrare segnali chiarissimi di cambiamento nei confronti delle sue risorse.
Alitalia è un’entità strategica di un’Italia che deve ritornare a essere un sistema-Paese e di conseguenza, come in altre nazioni dell’Ue, avere un controllo su di un settore, quello dei trasporti, estremamente vitale anche per la sua vocazione turistica: ricostruirla si può, come successe all’Eni negli anni ’50. Di certo non si può far resuscitare quel genio di Mattei, ma sicuramente le capacità ci sono: occorre soltanto metterle in pratica.
Italo Macchi