Da Wikipedia. L’etimologia della parola mentore nasce dall’Odissea: Mentore era l’amico fidato e consigliere di Ulisse, il quale, prima di partire per Troia, chiese a Mentore di prendersi cura di suo figlio Telemaco e di prepararlo a succedergli al trono. Nel corso del poema, la Dea Atena assume la forma di Mentore per guidare, proteggere e istruire Telemaco durante i suoi viaggi. In questo ruolo, Mentore (e Atena) hanno la funzione di insegnante, di guardiano e di protettore, infondendo saggezza e fornendo consigli.



Dunque il mentore è qualcosa che assomiglia al vecchio maestro, di vita e nel lavoro. Qualcuno che abbia voglia e capacità di condividere le proprie competenze e le proprie esperienze con qualcuno più giovane che meriti di essere guidato e consigliato. Ci vuole stoffa nel fare il mentore e ci vuole stoffa per essere scelto come mentee, cioè come allievo, come altra parte della relazione speciale che si viene a creare tra due persone che danno e ricevono reciprocamente in uno scambio che alla fine fa crescere entrambe.



Molto diffuso in comunità dov’è sentito il dovere del give back, del restituire in qualche modo il bene che si è ricevuto, il mentoring comincia a diffondersi anche in Italia, dove la figura del maestro è stata sistematicamente demolita praticando una frattura tra generazioni molto preoccupante. Il risultato si riverbera nei rapporti sociali e l’ingratitudine è il sentimento che meglio descrive la situazione. Chi fa carriera, chi ha successo, chi arriva in alto, difficilmente riconosce il ruolo di chi gli ha dato un conforto lungo il percorso.

Anzi, accadde l’esatto contrario. E troppo spesso chi ci ha favoriti diventa il nostro principale nemico. Il simbolo da abbattere perché ci ricorda che abbiamo un debito morale e che se siamo arrivati dove ci troviamo è anche perché qualcuno ha creduto in noi e su di noi ha scommesso. Qui, certo, si potrebbe aprire una parentesi lunga e dolorosa sulla qualità di chi sceglie e di chi è scelto, perché è chiaro che il meccanismo funziona quando scatta tra soggetti di valore e senza infrangere nessuna regola di legge e della convivenza civile.



Comunque sia, una società dove chi ha accumulato abilità e sapienza si prende cura di chi si trova a muovere i primi passi senza bussola correndo il rischio (che si trasforma spesso in realtà) di perdersi, è una società migliore. Che promette di progredire più rapidamente in un ambiente caratterizzato da coesione e fiducia. Una società che tende ad accogliere invece che respingere. E che può accettare con consapevolezza le sfide della modernità per diventare più competitiva e creare ricchezza a beneficio di imprese e famiglie.

Tra le più convinte sostenitrici del Mentoring come metodo per cambiare il mondo, Matilda Raffa Cuomo – moglie dell’indimenticabile governatore dello Stato di New York Mario e madre dell’attuale governatore Andrew – è in questi giorni in Italia per diffondere la pratica che nel suo caso si applica alla lotta verso la dispersione scolastica, il bullismo e tutte le devianze che possono riguardare le nuove generazioni. E per ricordare che non vale l’adagio napoletano su chi ha avuto ha avuto e chi ha dato ha dato, ma che dobbiamo imparare a riconoscere che chi ha avuto deve a sua volta dare.