Prima di decidere sarebbe opportuno conoscere. “Conoscere per deliberare”, suggeriva Luigi Einaudi. Tuttavia, la conoscenza, se è indispensabile per prendere decisioni corrette, è anche molto utile per non perder tempo in discussioni che alla luce di una maggiore informazione non avrebbero alcuna ragione di essere svolte. Il caso Alitalia è emblematico di come nel nostro Paese non solo le decisioni, ma neppure le discussioni siano precedute dalla ricerca del necessario set di informazioni e di come, ignorando le informazioni, non si discuta di un problema quando sarebbe essenziale farlo e si finisca per farlo su presupposti e ipotesi non realistiche se non surreali quando finalmente esso non può più essere ignorato.
Etihad doveva essere la soluzione miracolosa per Alitalia, i nuovi azionisti avevano i soldi per finanziare l’espansione sul lungo raggio del vettore nazionale e le capacità gestionali per riportarlo all’utile di bilancio un ventennio esatto dopo l’ultimo esercizio in attivo. Poiché in Italia il dover essere si deve necessariamente verificare, nessuno ha ovviamente controllato in questo biennio che l’annunciato processo di risanamento si stesse effettivamente verificando. Non lo hanno fatto gli organi di stampa, abituati a pubblicare le “verità ufficiali”, non lo ha fatto il governo, non lo hanno fatto gli azionisti italiani di Alitalia, perché altrimenti si sarebbero accorti per tempo della gran quantità di soldi che stavano perdendo, e probabilmente non lo hanno fatto neppure quelli arabi, perché altrimenti avrebbero preso provvedimenti prima che fosse troppo tardi.
Nel nostro Paese, esattamente al contrario del detto di Einaudi, è fondamentale non conoscere perché ciò che non si conosce non esiste e ciò che non esiste, nello specifico la crisi a lungo nascosta di Alitalia, non può rappresentare un problema. È grazie a questo metodo che il problema di Alitalia giace irrisolto da quasi un quarto di secolo, pur occultato periodicamente sotto una coltre di non informazione. Voltaire, l’autore del “Candido”, si sarebbe molto divertito a leggere le cronache di Alitalia.
Facciamo un breve riassunto della non informazione, almeno quella recente, o della cattiva informazione su Alitalia: sino a buona parte del 2016, l’informazione ufficiale era che il vettore stesse tranquillamente viaggiando sulla rotta del riequilibrio di bilancio, rispettando le previsioni del management; poi per diversi mesi, in prossimità del referendum sulle riforme costituzionali, Alitalia è scomparsa dai radar degli organi di stampa salvo riapparirvi in fine d’anno per annunciare al lettore-contribuente che era di nuovo in una crisi drammatica, ma che a essa avrebbe fatto fronte un nuovo piano d’impresa in corso di elaborazione. Dopo lunga gestazione il piano vedeva finalmente la luce alla fine dello scorso marzo e prevedeva che a farsi carico del “risanamento” dei conti dovessero essere essenzialmente i dipendenti attraverso una riduzione sia del loro numero che della remunerazione media di quelli superstiti. Così lo descriveva Gianni Dragoni sul Sole 24 Ore del 31 marzo: “I tagli veri che la compagnia sta cercando di fare sono sul costo del lavoro. (…) L’intenzione della compagnia è di chiudere entro metà aprile un accordo sul nuovo contratto (con la riduzione media degli stipendi del 31%) e sugli esuberi (ne sono stati richiesti 2.500)”.
Aveva senso questa richiesta? Bastava in realtà molto poco per accertarlo, tuttavia ci si è ben guardati dal farlo. Un primo sospetto poteva venire dal confronto tra la perdita aziendale annunciata per il 2016 e il costo totale del lavoro nello stesso anno: poiché la prima risultava maggiore del secondo se ne poteva facilmente dedurre che, se per tutto il 2016 tutti i dipendenti di Alitalia avessero lavorato completamente gratis, il bilancio si sarebbe comunque chiuso in disavanzo. Poi bastava porre due domande. I dipendenti di Alitalia in rapporto ai livelli di produzione sono troppi rispetto alle compagnie europee comparabili? E il loro costo medio del lavoro è più alto, e di quanto? In caso di risposta affermativa, le proposte del piano d’impresa avrebbero avuto senso e sarebbero risultate meritevoli di approfondimento mentre, in caso di risposta negativa su tutte, il piano era evidentemente da cestinarsi al più presto possibile.
Ritengono i nostri lettori che qualcuno abbia fatto questa verifica e la abbia resa nota? Ovviamente non è stato fatto. In Italia non è dato di conoscere prima di decidere in quanto la conoscenza limita drasticamente le decisioni adottabili alle sole che abbiano carattere di razionalità e di opportunità. Poiché sinora non lo ha fatto nessuno abbiamo deciso di farlo noi, andando a spulciare i bilanci 2015 di otto grandi vettori europei, di cui cinque tradizionali e tre low cost. Nella prima categoria accanto ad Alitalia il gruppo Air France-Klm, il gruppo Lufthansa e separatamente, anche se appartengono al gruppo Iag, British Airways e Iberia; nella seconda EasyJet, Ryanair e Vueling, anch’essa appartenente a Iag. Tutti i vettori hanno già pubblicato il bilancio 2016, mentre gli amministratori di Alitalia se ne sono andati senza lasciare ai commissari le certezze di un bilancio 2016 approvato. Peccato, ci avrebbe permesso di conoscere perché Alitalia nell’ultimo anno è andata così male e così peggio rispetto all’anno precedente.
Alitalia nel 2015 ha pagato stipendi in media d’anno per cerca 9.800 dipendenti spendendo complessivamente poco meno di 600 milioni di euro (i dati non includono Alitalia Cityliner), invece Lufthansa ha speso complessivamente 8,1 miliardi per quasi 120 mila dipendenti, Af-Klm 7,5 miliardi per 86 mila dipendenti e British Airways 2,8 miliardi per quasi 44 mila dipendenti. Alitalia è pertanto molto distante dagli altri grandi vettori europei tanto per numero di dipendenti, quanto per costo del lavoro complessivo. Da questo punto di vista i suoi dati totali sono molto più simili ai vettori low cost, pur non trattandosi di un vettore low cost. Ovviamente il dato più interessante non è il costo del lavoro totale, ma quello medio per dipendente, riportato nella tavola e illustrato anche nel Grafico 1.
Grafico 1 – Costo del lavoro annuo per dipendente 2015 (euro/1000)
Su otto grandi vettori europei, Alitalia è solo terzultima per costo del lavoro pro capite, seguita da Iberia e Ryanair, e il suo valore è circa 7 mila euro più basso di quello relativo alla media dei vettori tradizionali e di circa 5 mila rispetto alla media dei tre vettori classificati come low cost. Se tuttavia sottraiamo al costo del lavoro gli oneri sociali a carico del datore e gli oneri accessori quali il Tfr, calcolando la retribuzione lorda annua per dipendente, Alitalia scivola al penultimo posto, dato che solo Iberia tra le compagnie considerate risulta avere un livello inferiore (Grafico 2). Il dato di Alitalia è inferiore di 3 mila euro rispetto alla media dei 5 vettori tradizionali e di ben 6 mila euro rispetto alla media dei tre vettori low cost. Questi ultimi hanno una quota del personale di volo sui dipendenti totali molto più alta rispetto ai vettori tradizionali e dunque hanno anche una remunerazione media maggiore. Persino il dato di Ryanair è lievemente più elevato rispetto a quello di Alitalia.
Grafico 2 – Retribuzione lorda annua per dipendente 2015 (euro/1000)
Poiché la retribuzione media lorda comprende i contributi sociali a carico del lavoratore, l’ultimo passaggio consiste nel toglierli. Tuttavia mentre i due dati precedenti, costo medio del lavoro e retribuzione media lorda, sono desumibili dai bilanci d’esercizio, la retribuzione al netto di tutti i contributi sociali deve essere stimata applicando le aliquote contributive vigenti in ogni Paese. Questo esercizio è stato svolto per tutte le compagnie tranne Lufthansa e i dati sono illustrati nel Grafico 3. Lufthansa è stata invece esclusa in quanto solo poco più di metà dei dipendenti lavorano in Germania mentre i rimanenti sono distribuiti in molti paesi e fanno dunque riferimento ad aliquote contributive molto differenziate. La graduatoria illustrata nel Grafico 3 evidenzia ancora come il livello retributivo medio di Alitalia sia il più contenuto, tranne Iberia, tra le sette compagnie considerate, essendo inferiore di 4.500 euro alla media generale e di quasi 3.500 euro persino rispetto a Ryanair.
Grafico 3 – Retribuzione lorda annua per dipendente al netto contributi sociali 2015 (Euro/1000)
Il costo del lavoro è dunque un problema per Alitalia, come ci hanno detto per tanti mesi? Alla domanda il buon Totò risponderebbe: “Ma mi faccia il piacere!”. La verità è invece quella opposta: è Alitalia a rappresentare un grosso problema per i suoi lavoratori.