Le difficoltà del Banco Popular in Spagna sono state risolte questa settimana a tempo record con l’acquisto da parte del Banco Santander per la cifra simbolica di un euro; lunedì la banca spagnola chiedeva una linea di liquidità da due miliardi di euro per far fronte all’emorragia dei depositi della clientela. I fondi veniva bruciati in un giorno. La successiva richiesta di altri 1,6 miliardi bastava per appena una mattina. La soluzione veniva trovata il giorno successivo con l’acquisto da parte del Banco Santander. L’uscita dal mercato con annesso accorpamento nel gigante bancario spagnolo ha evitato un possibile lungo periodo di incertezza e le sue conseguenze: sul resto del sistema bancario, sui clienti del Banco Popular e sulla fiducia dei consumatori spagnoli. I mercati finanziari hanno ovviamente apprezzato la rapidità con cui è stata risolta l’incertezza e l’esito che ha permesso l’eliminazione del problema.
La “felice” conclusione è diventata da subito il termine di paragone per le vicissitudine del sistema bancario italiano, in particolare per Montepaschi e le due banche regionali venete. Il salvataggio che passa per il sacrificio degli obbligazionisti subordinati evidentemente funziona e può e deve essere replicato. Ieri un editoriale del Financial Times suggeriva apertamente la via spagnola anche all’Italia per la soluzione dei casi bancari più spinosi: “È giusto che gli investitori piuttosto che i contribuenti paghino per il fallimento di una banca. È incoraggiante che le strutture europee si siano dimostrate adatte.” Per mantenere la credibilità occorre applicare il processo sui diversi mercati. “Le due banche venete in difficoltà saranno il prossimo test”.
La questione però non è lineare. Il salvataggio del Banco Popular è passato sia per l’azzeramento del valore delle azioni che per i due miliardi di euro delle obbligazioni subordinate. La differenza è che in Italia, a differenza della Spagna, le obbligazioni sono in mano anche ai risparmiatori che da sempre sottoscrivevano le “sicure” obbligazioni bancarie. Se l’Italia applicasse la ricetta Banco Popular bisognerebbe pensare ai problemi e alle proteste successive al fallimento dell’Etruria come a un venticello rispetto a una tempesta.
I risparmiatori hanno sottoscritto obbligazioni bancarie prima delle norme europee sul bail-in in un contesto in cui non solo era impossibile ipotizzare il fallimento della banca, ma era pacifico che lo Stato sarebbe intervenuto. Come accaduto in tutti i fallimenti post Lehman. Il piccolo risparmiatore avrebbe non solo dovuto accorgersi del cambio della norma, ma anche leggere i bilanci per capire lo stato di salute della sua banca. Un compito arduo anche per il più navigato degli investitori come dimostra la storia di Lehman Brothers. La tutela del risparmio, piccolo dettaglio in tempi di cessione di sovranità all’Europa senza elezioni, sarebbe garantita dalla Costituzione italiana; in questo senso un’obbligazione bancaria è tutto tranne che un investimento speculativo. L’impressione fortissima è che applicare certe prassi in Italia porterebbe a risultati molto diversi non perché gli italiani sono cattivi, ma semplicemente perché le caratteristiche del mercato finanziario sono diverse. Le conseguenze politiche e sociali di certe decisioni già adesso sembrano molto preoccupanti.
Poi ci sarebbero le questioni di lungo periodo. Facciamo finta che non sia un problema per il sistema bancario italiano e per le imprese che finanzia eliminare una fonte di raccolta consolidata come la vendita di obbligazioni alla clientela. Facciamo finta, ma è chiaro che le conseguenze sono materiali e negative. La vera questione è che un risparmiatore italiano dovrebbe, prima di depositare i soldi in una banca, fare un’analisi della solidità patrimoniale della sua banca. Un compito impossibile dato che la fallita Banco Popular aveva passato per due volte gli stress test europei. Al risparmiatore italiano non basterebbe scegliere la più solida banca italiana; perché anche quella sarebbe messa in serissima difficoltà da una crisi economica o da una recessione in Italia.
Oggi quindi il risparmiatore italiano dovrebbe mettere i suoi soldi in una solida banca di un solida economia europea. Ma questa è pura teoria, perché la garanzia ultima di una banca è lo stato di salute dell’economia in cui è inserita e in ultima analisi dalla sua nazionalità; com’è sempre accaduto anche in Italia. L’Italia che costretta all’austerity è a tempo zero un’economia in recessione nel 2011 come nel 2017 e il suo sistema bancario subito dopo. Deutsche Bank non entra in crisi nemmeno dopo anni di rumour inquietanti perché tutti sanno e scommettono che la garanzia vera è finale è lo sSato tedesco e la sua banca centrale con i suoi canali apertissimi al suo sistema bancario. Se ci fosse una corsa agli sportelli nel sistema bancario tedesco ci sarebbe il bail-in, con sacrificio dei risparmiatori, oppure cambierebbero per tempo le regole europee? All’economia tedesca verrà mai imposta una riduzione del surplus via aumento dei salari con “recessione” per le sue imprese?
Imporre il bail-in ai risparmiatori italiani significa nel medio lungo periodo generare un esodo di risparmio dall’Italia all’”Europa del nord” con l’implicita assunzione che l’approdo è più sicuro perché lo Stato tedesco è di serie A rispetto allo Stato italiano. Più l’economia italiana va male, più le sue banche anche quelle meglio gestite diventano pericolose e meno prestano al sistema; il circolo vizioso è chiarissimo e può essere rotto solo da una garanzia europea che l’Europa, quella che comanda, non concederà mai perché in ultima analisi implicherebbe una solidarietà del contribuente tedesco verso quello italiano o spagnolo.
In Italia, quindi, si farà raccolta per prestare alle aziende tedesche; le grandi imprese potranno sempre accedere ai mercati internazionali, ma, come noto, la nostra è una economia di piccole e medie imprese. Questo ovviamente all’Ft non interessa, ma a noi dovrebbe.