Dice Enrico Morando, viceministro dell’Economia, al convengo dei giovani imprenditori di Confindustria di Rapallo: la Legge di bilancio “non sarà lacrime e sangue come da più parti si paventa. E questo perché l’orientamento della Commissione europea è mutato e ci concede più margini”. Speriamo che sia vero. Morando è una persona seria, un politico accorto e competente, uno che non indulge alla propaganda e al populismo. Speriamo, dunque, che non abbia parlato ispirandosi soltanto all’ottimismo della volontà. Il pessimismo della ragione che ispira chi fa il giornalista spinge a mettere in fila una serie di dati di fatto.
Il primo è un segnale positivo: la crescita c’è, l’economia si muove, seppure a passo di lumaca; il prodotto lordo cresce più del previsto superando la fatidica soglia dell’un per cento in termini reali. Se l’inflazione salirà di due punti e l’avanzo primario (cioè le entrate meno le spese al netto del costo del debito pubblico) sarà pari a quattro punti, il debito pubblico in rapporto al prodotto lordo scenderà al 100% in dieci anni, ha stimato la Banca d’Italia.
Intanto, però, il 30 maggio, il giorno prima che Visco leggesse le sue considerazioni finali all’assemblea della banca centrale, è partita dal ministero dell’Economia una lettera indirizzata a Pierre Moscovici commissario per gli Affari economici, e al vicepresidente della Commissione Valdis Dombrovskis, nella quale Pier Carlo Padoan chiede uno sconto sull’aggiustamento strutturale: dallo 0,8 allo 0,3% del Pil: insomma, una replica della manovrina di metà anno. In questo modo il disavanzo primario che tanto sta a cuore a Visco non potrà arrivare al 2,5% del Pil l’anno prossimo (per quest’anno è previsto all’1,7%). Lontana è la mitica quota quattro per cento e, a forza di retromarce, s’allontana sempre più. E questo è un primo dato di fatto.
La relazione della Banca d’Italia rileva poi una serie di fenomeni non facili da interpretare, ma in ogni caso tutt’altro che consolanti: “Gli investitori italiani hanno acquisito attività estere di portafoglio per 78,7 miliardi, aumentando l’esposizione in titoli di debito a medio e a lungo termine (prevalentemente obbligazioni pubbliche e private emesse dagli Stati Uniti) e soprattutto in fondi comuni – scrive la relazione -. Dal lato delle passività, nel 2016 i non residenti hanno disinvestito 75,2 miliardi da titoli di portafoglio italiani. I disinvestimenti hanno riguardato titoli di debito a medio e a lungo termine, in larga parte emessi dal settore privato e in particolare dalle banche (28,7 miliardi). Vi hanno contribuito il mancato rinnovo delle obbligazioni venute a scadenza e l’ampio ricorso da parte degli istituti di credito ai finanziamenti offerti dall’Eurosistema. L’ammontare di titoli pubblici italiani detenuti dagli investitori esteri si è ridotto di 24,6 miliardi”.
Al saldo negativo della voce altri investimenti “ha contribuito in modo rilevante l’aumento, pari a circa 108 miliardi, della posizione debitoria della Banca d’Italia sul sistema dei pagamenti europeo Target2” che “rispecchia l’afflusso netto di liquidità nel rispettivo Paese a seguito di transazioni transfrontaliere effettuate sul sistema stesso dalle Bcn o dagli istituti di credito, per conto proprio o della clientela. Il saldo passivo della Banca d’Italia si è portato a 412 miliardi alla fine di aprile del 2017, registrando un incremento di 247 miliardi rispetto alla fine di febbraio del 2015; quelli di Spagna e Portogallo sono aumentati rispettivamente di 182 e di 31 miliardi (fino a marzo del 2017, ultimo dato disponibile), mentre sono cresciuti i saldi attivi di Germania, Lussemburgo e Paesi Bassi”.
Di che si tratta? Fuga di capitali pura e semplice? La banca centrale invita alla cautela. È in corso una ricomposizione del portafoglio degli investitori italiani (imprese, famiglie, banche), verso attività estere. Sfiducia nel proprio Paese? Più che altro difficoltà a trovare investimenti profittevoli in un mercato così asfittico, dice la Banca d’Italia con un giudizio negativo più dal punto di vista strutturale che congiunturale. Ma anche accettando questa interpretazione, non si può non ricordare che da tempo grandi fondi di investimento hanno cominciato a ritirarsi dal mercato italiano; ci sono vendite di titoli di stato da parte delle grandi banche, mentre colossi come Pimco e JPMorgan lasciano l’Italia o avvertono i loro clienti che il rischio-paese sta aumentando. Alle debolezze dell’economia (crescita fiacca, debito pubblico in aumento, una borsa asfittica) s’aggiungono l’instabilità politica crescente, il rischio che vadano al governo i grillini, un’incapacità di accettare riforme fondamentali: dopo il no al referendum costituzionale c’è anche il pasticcio sulla legge elettorale. “L’Italia dimostra di non voler cambiare, è il popolo non solo le élite”, commenta un funzionario dell’ambasciata olandese. Ma questo è il convincimento diffuso al di là delle Alpi.
Se le cose stanno così, le speranze di Morando rischiano di trasformarsi in amare delusioni. Può darsi che ci sia a Bruxelles una volontà di non accanirsi e un orientamento politico favorevole all’Italia, ma così non la pensano i mercati i quali, se dobbiamo prestar fede alle nude cifre raccolte dalla Banca d’Italia, non sono fatti di “fondi locusta” o di “speculatori selvaggi”, ma di soggetti italiani (famiglie, imprese e banche) i quali anziché mettere i loro risparmi in patria preferiscono collocarli in Germania o in paesi stranieri dove i denari danno rendimenti migliori e sicuri. Non è George Soros a complottare contro l’Italia, sono gli italiani a investire nel fondo Quantum.
L’interrogativo a questo punto è se queste tendenze interne al mercato, che durano da tempo, ma sono peggiorate dopo il no al referendum del 4 dicembre, preparano una “estate calda”, ancor più dopo il fallimento della riforma elettorale. Il balletto dello spread e il flusso dei capitali accendono senza dubbio inquietanti campanelli d’allarme. Non siamo nell’estate del 2011, ma le cose possono degenerare rapidamente. L’unico modo per scongiurare il rischio è preparare una Legge di bilancio che metta in sicurezza i conti pubblici. Non lacrime e sangue, ma rigore questo sì. E non per sudditanza agli orrendi speculatori stranieri, ma per riportare a casa almeno in parte i soldi degli italiani, trasformandoli in investimenti, posti di lavoro, reddito nazionale.