Il presidente della Bce, Mario Draghi, durante un’audizione al Parlamento europeo, espone un indice che indica la mia ignoranza. L’indice che misura la dispersione sulla creazione di valore aggiunto nell’area euro è oggi ai livelli cui si attestava nel 1997. Poi non pago ed escludendomi aggiunge: “Ci sembra di poter dire che buona parte dei problemi visti nella crisi, come la frammentazione finanziaria e la crescita diseguale, ora sono superati, sono alle nostre spalle”. Per mettermi ko insiste: “Data la dinamica sotto tono di inflazione di fondo e salari è veramente molto, molto presto per farci dire che cambieremo la linea di politica monetaria”.



Cerco conforto, lo trovo: “In linea di principio una politica monetaria espansiva è ancora appropriata”, dice Jens Weidmann, presidente della Bundesbank e consigliere della Bce a un evento a Berlino. Poi però chiosa: “Ma alla luce della ripresa dell’economia e di un tasso di inflazione che dovrebbe attestarsi a circa il 2% nel 2019, è abbastanza legittimo chiedersi quando il consiglio direttivo dovrebbe valutare una normalizzazione della politica monetaria”.



Dopo la chiosa espone addirittura una parabola: “Solo per pochi la Coca Cola può fare parte di un regime alimentare sano e la caffeina, al posto di uno stile di vita salutare, alla fine non fa che aumentare i rischi. Per lo stimolo monetario vale lo stesso: può essere usato, come la caffeina, per ‘risvegliare’ l’economia, ma un consumo eccessivo porta a rischi e a effetti collaterali nel tempo. La Coca-Cola, come le politiche di sostegno monetario, vengono usate come rimedi per tutti i mali: oltre al suo vero compito, che è quello di mantenere stabili i prezzi, la politica monetaria dovrebbe rafforzare la crescita, abbassare il tasso di disoccupazione, garantire la stabilità del sistema finanziario e, assieme, anche rendimenti adeguati ai cittadini”.



Beh, non ha tutti i torti se nei dati dell’Istat sulla variazione del Pil relativo al primo trimestre 2017 si accendono due lucine rosse, avverte Ref. La prima, il Pil nominale. Se quello reale (“depurato” cioè dall’andamento dell’inflazione) sembra procedere spedito (+0,4% nel primo trimestre, appunto), il Pil nominale in realtà risulta addirittura negativo, perché tiene conto del deflatore del Pil assai negativo (-0,6%). La seconda lucina rossa è rappresentata dalle scorte che crescono. Beh, è fieno in cascina, in attesa di una domanda futura brillante, oppure invenduto? Già, l’accumulo di scorte è stato abbastanza sostenuto (+0,4%), al punto che da solo esaurisce quasi completamente la crescita del Pil nel trimestre.

Dunque, quest’inflazione riduce il potere d’acquisto; faccio quindi con gli stessi denari meno spesa. Se, insomma, pare ci sia invenduto, non si sta crescendo, si sta bruciando invece valore! Sì, perché la crescita si fa con la spesa, quando i denari acquistano meno per farla, le scorte aumentano e si svalutano. Svalutate, riducono i ricavi, vengono trasferiti meno redditi, ci sarà ancor meno spesa e trallallero trallallà. Alla faccia della crescita!