I commissari di Alitalia sono fiduciosi. Le 32 manifestazioni d’interesse pervenute nell’ambito della primissima procedura di cessione di Alitalia sembrerebbero far ben sperare e si potrebbe anche pensare di riuscire a vendere l’azienda tutta intera. Ma a chi? Proviamo a tracciare l’identikit del misterioso candidato che con più probabilità si metterà alla guida della flotta tricolore. Nel farlo è utile procedere per esclusione partendo dalla tipologia meno probabile. All’ultimo posto della nostra hit parade di candidati figurano imprenditori privati italiani, simili per intenderci ai capitani coraggiosi di nove anni fa. Un lungo elenco di fattori congiura contro tale ipotesi. Il settore è molto complesso, soggetto a una concorrenza spietata, e spesso oggetto di crisi esterne, di tipo geopolitico, sanitario e anche ambientale, assolutamente non prevedibili e non controllabili. Ricordiamone solo le principali: la prima guerra del Golfo, le torri gemelle, la seconda guerra del golfo, la febbre aviaria e persino l’eruzione di vulcani islandesi dai nomi impronunciabili. Infine le primavere arabe, presto trasformatesi in inverni se non in inferni.



La complessità e rischiosità del trasporto aereo sono state ben rappresentate in una battuta attribuita a un noto finanziere americano: “Volete sapere come fare a diventare milionari? È molto facile. Se siete già miliardari è sufficiente che vi comperiate una compagnia aerea”. È evidente che non esistono imprenditori o finanzieri italiani disponibili ad assumersi un tale rischio. Nel 2008 presero tutte le cautele possibili: si fecero dare un’Alitalia à la carte, ripulita di quasi tutti i debiti, lasciati alla bad company, pescandovi solo gli asset e il personale di loro interesse; si fecero scrivere norme giuridiche su misura, facendo svolgere al governo il ruolo di sarto di alta gamma; ricostituirono grazie all’aggregazione di AirOne il monopolio sulla maggior parte delle rotte italiane, potendo aumentare in tal modo i prezzi, e resero impotente l’Antitrust al riguardo. Ma nonostante tutto questo sono riusciti dal 2008 al 2014 a perdere oltre un miliardo e mezzo di euro. È evidente che dopo questa esperienza imprenditori italiani disponibili a prendersi Alitalia non li trovate più neanche a strapagarli.



Il secondo peggior candidato ad acquisire Alitalia è un vettore low cost. Superfluo dire che si tratta di low cost estero in quanto tutti quelli italiani sono ormai falliti da tempo. Perché mai un low cost dovrebbe prendersi Alitalia? Per seguire il percorso indicato dal finanziere americano e smettere in questo modo di essere low cost? Alitalia oggi è, dal punto di vista di questi vettori, un caso high cost, agli antipodi rispetto al loro modello e da cui è opportuno stare molto alla larga. Certo molte cose di valore che si trovano in Alitalia sono di grande interesse anche per loro: passeggeri, slot e rotte. Ma nessuna di esse è di proprietà di Alitalia e nel momento in cui essa smettesse di volare sarebbero acquisibili del tutto gratuitamente. Si tratterebbe della replica su più vasta scala di quanto avvenuto nel 2009, quando la nuova Alitalia partì molto più piccola di quella vecchia e regalò ai low cost in un solo colpo i 12 milioni di passeggeri che aveva consapevolmente deciso di lasciare a terra. Dunque ai vettori low cost conviene aspettare pazientemente.



Risalendo dal basso la nostra hit parade dei possibili acquirenti troviamo al terzultimo posto i grandi vettori di bandiera europei, che sono poi in realtà solo tre: IAG, che comprende British e Iberia, Air France-Klm e Lufthansa. Essi sono in realtà gli unici che potrebbero acquisire oltre il 50% del capitale azionario. Tra essi, tuttavia, è comprensibile che Air France voglia stare alla larga, alla luce di tutti i soldi e ancora di più di tutto il tempo perso nel tentativo di acquisire il controllo del vettore italiano. Più in generale però bisogna ricordare che questi gruppi sono da poco ritornati a una redditività soddisfacente, quasi cinque miliardi di profitti complessivi nel loro insieme nel 2016, e che l’ordine di grandezza delle perdite più recenti di Alitalia è in grado di affossarla. Come pensare in conseguenza che i loro azionisti, trattandosi di imprese quotate in borsa, possano dare il via libera? E come pensare che possano farlo i sindacati dei lavoratori, dato che tale posizione rischierebbe di mettere a rischio l’occupazione in patria?

Al quartultimo posto dobbiamo collocare i grandi vettori non europei, ricordando che essi possono essere nordamericani, asiatici o mediorientali e che nessuno può acquisire il controllo certo di Alitalia con un possesso superiore al 50% del capitale, dato che l’Unione europea ha appena riconfermato il limite del 49%. Tuttavia l’esperienza di Etihad è stata fallimentare e dovrebbe scoraggiare anche i suoi omologhi mediorientali, dimostrando di essere una modalità estremamente costosa per metter un solo piede nel mercato protetto dell’Unione europea. Le compagnie asiatiche, a loro volta, hanno un vantaggio di costo rispetto a quelle europee, derivante sicuramente dal minor costo del lavoro e dalla minor tassazione. Esse riescono a volare a costi più bassi e dunque non si comprende perché dovrebbero prendersi un vettore che per loro è high cost quando possono continuare collegare l’Asia con l’Europa direttamente e a costi più contenuti. Meglio aumentare l’offerta in proprio che fare rischiose acquisizioni.

Il discorso è tuttavia diverso per le nordamericane e in particolare per Delta, che è già partner di Alitalia e Air France-Klm nell’alleanza Sky Team. Da tempo le compagnie tradizionali europee godono di un vantaggio di costo rispetto alle nordamericane, pertanto, dal punto di vista di Delta, Alitalia non è così high cost come può sembrare a tutti gli altri possibili candidati. Comprandosi Alitalia, Delta si rafforzerebbe grandemente sul mercato nordatlantico che è tradizionalmente quello più profittevole del lungo raggio. Resta però il non piccolo problema del limite al 49% per un vettore non comunitario. Per acquisire il controllo di Alitalia, Delta dovrebbe convincere Air France a prendersi il restante 51% o buona parte di esso, vincendo le remore degli azionisti, dei sindacati e soprattutto dello Stato francese. Perché Air France dovrebbe riprovarci, dopo essere stata miracolata dai capitani coraggiosi italiani che hanno perso un sacco di soldi al suo posto?

Chi resta a questo punto in cima alla nostra lista? Non resta nessuno. Il primo posto della hit parade dei possibili acquirenti è infatti desolatamente vuoto e perché sia vuoto è facilissimo da spiegarsi. Alitalia è paragonabile, sia chiaro da un punto di vista strettamente gestionale e non operativo, a un’auto vecchia che consuma un sacco di carburante, va a una velocità ridottissima e ora si è persino fermata e non si riesce a riavviarne il motore. Inoltre, non si sa assolutamente da cosa dipenda tutto questo e se sia riparabile. Chi se la comprerebbe un’auto del genere? Se si vuole trovare un acquirente è dapprima indispensabile rimetterla in moto.

P.S.: Il nostro lettore si domanderà a questo punto quale sia il senso delle 32 manifestazioni d’interesse pervenute ai commissari straordinari. Bisogna precisare che non si tratta di manifestazioni d’interesse ad acquisire Alitalia, bensì solo manifestazioni d’interesse ad acquisire informazioni su Alitalia. Qualcuno può essere interessato a farlo come concorrente e non come acquirente; Ryanair anche per farsi pubblicità gratuita sui media; altri perché effettivamente interessati a capire come mai una così gloriosa auto d’epoca sia in panne e se e come sia possibile rimetterla in funzione. Però il problema è che anche accedendo alla data room non saranno in grado di capirlo. Infatti, se il venditore sapesse il rimedio lo metterebbe lui in pratica e venderebbe a prezzo più alto, non regalerebbe il rimedio all’acquirente. Ma non trovando la chiave della riaccensione i potenziali interessati saranno presto portati a disinteressarsi e, come i dieci piccoli indiani di Agata Christie, alla fine non ne rimarrà neppure uno.