«Tutti gongolano esponendo raffinate analisi sulla morte dei 5 Stelle, sul ritorno del bipolarismo, sulla débacle del Movimento, sulla fine dei Grillini. L’hanno detto dopo le politiche, dopo le europee, dopo le regionali, dopo il referendum. Fate pure anche ora. Illudetevi che sia così per dormire sonni più tranquilli. Noi continuiamo ad andare avanti per la nostra strada». Così Beppe Grillo ha commentato i risultati del primo turno delle elezioni amministrative, tutt’altro che un banco di prova positivo per i Cinque Stelle, soprattutto a Palermo, Genova e Parma. Insomma, il leader del M5S ribalta la frittata, tanto per non ammettere la sconfitta? Ci andrei piano. In primis, perché questo risultato tutt’altro che positivo consente a Grillo due mosse di fondamentale importanza in vista dell’autunno, questo che si vada o meno al voto anticipato. Primo, riequilibrare la spinta eccessivamente governista e di sistema di Luigi Di Maio, il premier in pectore che infatti ha trattato sul tema elettorale con Matteo Renzi, scatenando le ire dell’ala dura e movimentista di Fico e Taverna e anche quella dei militanti sul blog. Secondo, ripulire il curriculum del movimento proprio dalla macchia di “collusione” con il sistema, fosse anche soltanto per una legge elettorale condivisa. Ora, tutto passa in mano ai partiti tradizionali, quasi una nemesi tutta italiana rispetto a quanto accaduto alle legislative francesi, dove il movimento del presidente, Emmanuel Macron, ha raggiunto la maggioranza assoluta, spazzando di fatto via i partiti tradizionali. Qui, invece, si torna al bipolarismo vecchio stile, centrodestra contro centrosinistra.
Ma attenzione, perché da essere bipolarista a comportarsi da bipolare politico, a volte il passo è breve. Ovviamente M5S sconta la pessima amministrazione che Virginia Raggi ha dato (o non dato) a Roma nell’ultimo anno e, anche solo psicologicamente, quanto accaduto a Torino la notte della finale di Champions può aver influito nella scelta dei cittadini, ma occorre ricordare, a onore del vero, quale scenario si apra oggi nell’Italia formalmente “de-grillinizzata”. Certo, a guardare i movimenti dei mercati ieri mattina, sembrano tutte rose e fiori, il trionfo della stabilità dopo il ridimensionamento del mostro a cinque stelle. In primis, lo spread. Il differenziale fra Btp e Bund decennale ha aperto in netto calo a 175 punti, contro i 182 punti della chiusura di venerdì, segnando un rendimento del 2,02%. E sempre ieri, per pura coincidenza temporale, il Tesoro ha venduto tutti i 6,5 miliardi di euro di Bot a un anno, con tassi in calo al nuovo minimo storico. Il rendimento medio è sceso a -0,351% da -0,304% di maggio: la domanda ha raggiunto i 10,29 miliardi di euro con un rapporto di copertura sceso a 1,58 da 1,73 precedente. In un Paese con il nostro rapporto fra debito e Pil e con la nostra situazione bancaria legata ai non-performing loans: insomma, viviamo a Fantasilandia grazie a Mario Draghi. Ma come ho scritto sabato scorso, lo scudo della Bce non è per sempre. Anzi, ha i mesi contati, almeno a questo livello così esteso da garantire emissioni con yields farseschi.
Bene, come si muoverà ora il centrosinistra? Conviene chiederselo e seriamente, perché al netto della poca credibilità dei grillini alla prova del fare, viene da chiedersi quale altra acrobazia possa inventarsi Matteo Renzi in vista del voto, essendo passato dalla luna di miele sul sistema tedesco proprio con M5S alla richiesta di una coalizione di sinistra ampia con Giuliano Pisapia, nell’arco di una notte e senza fare un plissé. Che credibilità può avere? Verso i cittadini, a mio avviso, nessuna. Verso i mercati, tantissima: più sei manovrabile e senza un minimo di identità, più ti amano. Basti vedere, in tal senso, il tonfo del rendimento dell’Oat francese ieri mattina, dopo che le legislative hanno trasformato l’Assemblea generale nella Duma dei tempi di Breznev. Anche perché avvicinarsi a Pisapia e alla galassia di partitini di sinistra che tenta di federare significa due cose: dover trattare su Imu e patrimoniale e, soprattutto, dar vita a primarie di coalizione. L’incubo peggiore di Matteo Renzi, il quale contro l’ex sindaco di Milano può perdere.
E il centrodestra? Sui giornali abbiamo assistito ai peana sulla rinnovata unità, sul “modello Liguria”, sull’ipotesi addirittura di partito unico. Peccato per due particolari. Primo, se ci sono Lega e Fratelli d’Italia non può esserci la componente centrista, quindi la coalizione sarebbe decisamente sbilanciata a destra e a trazione salviniana. Secondo, esattamente come Pisapia, il leader leghista per ingoiare il rospo del ritorno ad Arcore vuole le primarie di coalizione per puntare a Palazzo Chigi: conoscendo Berlusconi, preferirebbe regalare dei soldi a De Benedetti. E anche se si superassero tutti questi impedimenti, quale sarà la linea verso l’Europa: chiusura o apertura? Sovranismo o linea del Ppe? Non domande da poco, per referenze chiedere al presidente del Parlamento europeo, il berlusconiano di ferro – e tremendamente preoccupato dal rischio di derive -, Antonio Tajani.
Unite poi a queste criticità al fatto che in Italia, almeno formalmente, un governo in carica esiste e deve, dopo l’estate, mettere mano al Def. Il sottosegretario Morando si è premurato di dire che la manovra non sarà lacrime e sangue, ma la sua è parsa in pieno la messa in pratica della teoria Greenspan, ovvero quando la situazione è davvero seria, mentire è un obbligo. L’Ue, una volta ottenuta la scontata conferma dal secondo turno in Francia di domenica prossima e, soprattutto, la vittoria della Merkel il 24 settembre prossimo, smetterà di colpo di essere tata amorevole che dispensa dosi terapeutiche di flessibilità e tornerà, con ogni probabilità, matrigna dell’austerity e dei conti. Chi gestirà quella fase delicatissima? Un Gentiloni azzoppato, visto che i gruppi del Pd a Camera e Senato staranno già lavorando in prospettiva del voto politico? Soprattutto, con la sua mossa di ritorno all’autarchia politica, Grillo ha ridato mani libere ai suoi su due condizioni critiche che attendono il Paese.
Primo, le sei leggi da non tradire prima della fine della legislatura, come le chiama Repubblica, a partire dallo ius soli che arriverà in aula questo giovedì e dove gli inciampi pesanti per la maggioranza sono dietro l’angolo, senza contare poi il testamento biologico e la legge sulla liberalizzazione della cannabis. Secondo, il vero e proprio Vietnam parlamentare – con conseguente discesa di massa dal cavallo dell’esecutivo – rappresentato dall’aumento dell’Iva e dalla clausole di salvaguardia, argomento che con il Def autunnale diventerà pressoché catalizzante. Il non essere dialogante, il non essere “colluso”, dopo l’addio sulla legge elettorale, consentirà a Grillo e ai suoi di usare la cortina fumogena delle dispute all’interno della maggioranza e dell’opposizione di centrodestra per regolare i conti interni, trovare nuovi equilibri e ripresentarsi, più anti-sistema che mai, all’appuntamento autunnale. E i mercati sono già in ebollizione.
Ieri, infatti, si è aperta una settimana densa di appuntamenti, con ben 11 banche centrali chiamate a discutere sulla politica monetaria. Le attenzioni sono rivolte in particolare alla Federal Reserve, che dovrebbe alzare i tassi di interesse Usa per la seconda volta quest’anno. Lo ricordano, ad esempio, gli strategist di IG, puntualizzando che «il vero obiettivo del mercato è capire lo scenario sul terzo aumento del costo del denaro previsto per la fine dell’anno, su cui gli investitori sono apparsi abbastanza cauti dopo le recenti figure macro non entusiasmanti». A fornire qualche dettaglio saranno le nuove stime su inflazione e Pil che la Fed rilascerà insieme al comunicato. Ma oltre alla Banca centrale Usa, ci saranno anche le riunioni di Bank of England e Bank of Japan in settimana. Sempre per gli esperti di IG interpellati da Cnbc, «l’incertezza determinatasi all’indomani del voto nel Regno Unito potrebbe spingere la BoE a rimanere ancora cauta, senza penalizzare troppo la sterlina. Le nuove vendite sulla divisa britannica alimentano i dubbi su un’accelerazione dei prezzi al consumi. Per quanto riguarda il Giappone, invece, la Banca centrale potrebbe segnalare di essere pronta a rivedere la sua politica dopo i dati migliori delle attese appena registrati». Basta poco, un errore di comunicazione e mercati in bolla come quelli che stiamo vivendo in questo periodo, possono tramutarsi da docili pony da rally continuo in stalloni imbizzarriti. A quel punto, Mario Draghi certamente opererà da scudo, ma se qualche mattone comincia a cascare dal muro, nessuno sa cosa possa passare dalla crepa creatasi.
Siamo sicuri che il pantano di entusiasmo da bipolarismo ritrovato sia il terreno ideale per muoversi in modalità di emergenza? Di fatto, il governo sta andando con il pilota automatico in tema economico, visto che ogni emissione decisa dalla Cannata si traduce in un successo da record grazie alla fame onnivora della Bce, acquirente di prima e ultima istanza. Un shock, però, può sempre capitare. E Grillo lo ha capito, smarcandosi da furbo quale è. Matteo Renzi, invece, ingolosito dalla debacle grillina, potrebbe essere tentato da un voto a novembre in abbinata con le regionali siciliane, in pieno clima Def. Quella potrebbe essere la famosa breccia nel muro difensivo che Draghi garantisce all’Italia. Il voto di giovedì sullo ius soli ci farà capire rapporti di forza e realtà delle alleanze: dopodiché, noi ci perderemo in dispute nominalistiche sulla legge elettorale. Il mercato, invece, agirà.