Dal 2018 i diritti sportivi della Champions League torneranno a Sky dopo la breve parentesi di Mediaset Premium. Sky ha riconquistato i diritti live battendo la concorrenza con un’offerta economica più alta. Su questa vicenda si intersecano temi molto diversi: il futuro del mercato televisivo italiano, il ruolo di Sky e di Mediaset e infine la partita tra gli azionisti di Mediaset Fininvest e Vivendi. Il punto di partenza di ogni analisi non può non partire da quanto successo nella breve parentesi dell’esclusiva Mediaset. Si possono evidenziare alcuni fatti. Il primo è che Sky non ha perso clienti nonostante la mancanza di uno dei diritti sportivi live più pregiati. La spiegazione più semplice è che abbia un’offerta premium complessiva molto migliore e molto più ricca della concorrenza al punto che il cliente medio non percepisce la perdita di un singolo componente seppur importante. Il secondo elemento è che Mediaset negli ultimi tre anni ha pagato caro il prezzo della vittoria dell’esclusiva. Le perdite sono state ingenti e in compenso la posizione competitiva del leader, Sky, non è stata scalfita.
Si può concludere che, come ampiamente previsto, non ci sia spazio per due operatori premium sul mercato italiano. L’altra conclusione è che Mediaset per prendere il posto di Sky avrebbe dovuto investire moltissimo per molti anni; se Mediaset volesse avere il mercato premium dovrebbe, sostanzialmente, buttare fuori Sky dal mercato.
Questa è la chiave di lettura della storia di Mediaset degli ultimi tre anni. Prima ci sono stati i “rumour” di accordo con Sky per cui Mediaset cercava di ottenere una quota di minoranza in cambio di un patto di desistenza; sempre secondo i rumor l’accordo saltava per una divergenza di opinioni sul prezzo. Poi è arrivato l’intervento di Vivendi perché per giocare sul serio la partita “premium” serviva un partner forte industrialmente e finanziariamente. Anche in questo caso, in un percorso molto accidentato e opaco, il prezzo non era quello giusto.
A questo punto non ci stupiremmo se Mediaset rinunciasse anche alla serie A perché si può ormai dire che la partita premium sia stata persa. Le difficoltà del titolo che subiva le conseguenze degli investimenti sul calcio sono anzi diventate l’occasione per l’entrata nell’azionariato di Vivendi, che oggi è più “contenta” perché Mediaset abbandona un investimento in perdita. Ogni buon senso indica che Vivendi avesse capito da tempo, come molti nel settore, che non solo i tentativi solitari di Mediaset fossero molto complicati, ma che anche con un partner i rischi di perdite ingenti e certe si confrontavano con opportunità dubbie e risicate. Vivendi aveva la migliore posizione possibile per prevedere la conclusione perché solo lei sapeva quanta forza finanziaria e quanta determinazione avesse il partner di Mediaset. Le mire di Vivendi su Mediaset non solo non finiscono, ma anzi aumentano da oggi.
Oggi, dopo fallimento dell’asta sui diritti della serie A, è giusti chiedersi quale possa essere il futuro dei diritti live delle squadre italiane. È difficile essere venditori in un mercato in cui è rimasto un solo “vero” compratore, cioè Sky. Non ci sembra esistano scenari positivi per le squadre italiane che non passino per un protagonismo maggiore delle società o della Lega nell’offerta televisiva; se il modello americano è un riferimento, il futuro passa da una piattaforma della Lega, probabilmente on line, e da accordi della singola squadra per il mercato locale. Questo assieme a un unico player a livello nazionale “sulla televisione”. In sostanza i tifosi del Milan di Milano guardano le partite del Milan comprando un pacchetto di una televisione locale a cui il Milan ha venduto i diritti. I tifosi del Milan che sono in Sicilia invece comprano dalla Lega. Le partite di cartello, Milan-Juventus, sia sulla televisione “nazionale” per gli abbonati che sulle altre due piattaforme.
In qualsiasi caso le squadre italiane, se vogliono più soldi, devono inventarsi compratori che oggi non ci sono.