Evito di entrare nel merito della polemica sullo ius soli, grazie al cielo non mi occupo di politica, altrimenti avrei rischiato la prima querela in dieci anni di collaborazione con questa testata. Ieri mattina, però, c’è stato qualcos’altro che mi ha fatto andare di traverso il caffé: nei tg come sui siti e sui social, tutti a festeggiare l’abolizione dei costi di roaming come una grande conquista della tanto bistratta Ue Ma siamo impazziti del tutto o cosa? Al di là del fatto che per ottenere questo fondamentale progresso dell’umanità a Bruxelles ci hanno messo dieci anni e che, statene certi, le compagnie telefoniche hanno ceduto solo perché già pronte con un nuovo balzello da farci pagare in compensazione del mancato introito, vi pare un’istituzione seria e in cui avere fiducia, al netto di quello che sta accadendo al mondo, quella che festeggia una cosa simile, scomodando gli uffici di informazione promozione dei vari Paesi membri? Questo grafico ci mostra l’ammontare di acquisti della Bce da inizio anno all’interno del programma Pspp: è pura monetizzazione di debito sovrano e corporate che finisce nello stato patrimoniale della Banca centrale. E ci resta.
Avete ancora voglia di festeggiare il fatto di poter scaricare un app in Portogallo senza pagare? Se sì, fatevi vedere da uno bravo. Soprattutto perché siamo italiani e la giornata di ieri ci ha confermato che di motivi per essere allegri, ce ne sono davvero pochi. A maggio 2017, l’indice nazionale dei prezzi al consumo è diminuito dello 0,2% su base mensile, mentre registrava un aumento dell’1,4% rispetto a maggio 2016. Lo comunica l’Istat, confermando la stima preliminare sul tasso di inflazione, che frena di mezzo punto percentuale dopo aver raggiunto l’1,9% ad aprile. Insomma, circola poco denaro. Quindi, consumi che si contraggono. Vi pare una buona notizia, calcolando che siamo ancora in pieno regime di Qe e la banche sono stracariche di contante? Il problema è che quei soldi arrivano nelle casse e lì si fermano: l’aumento dei prestiti a famiglie e imprese è da prefisso telefonico, a fronte di un Paese che si trastulla sul ponte del Titanic grazie a revisioni del dato del Pil degne di Fausto Tonna e della sua contabilità creativa.
E a proposito, che dire del fatto che ci saranno più pensionati con la quattordicesima nel mese di luglio? L’Inps, seguendo le recenti modifiche introdotte dalla legge di bilancio 2017, la erogherà infatti a 3,5 milioni con aumento del numero di beneficiari di 1,43 rispetto al 2016 e una crescita della spesa da 854 milioni a 1,72 miliardi di euro. Rispetto all’anno 2016, l’allargamento dei requisiti ha aumentato il numero di beneficiari di 1,43 milioni (da 2,14 a 3,57 milioni). Attenzione, non ho nulla contro i pensionati, anzi. Mia madre campa con la pensione di reversibilità di mio padre, quindi mi fa piacere, il problema è che siamo ancora una volta alle mancette elettorali: che si voti a settembre, novembre o marzo prossimi, poco cambia, ci si porta avanti con misure spot assolutamente inique, con una tantum alla Lauro che gravano sui conti, quando bisognerebbe essere responsabili e dire che non si può e che stornano fondi dalle priorità reali.
Questo Paese avrebbe bisogno di un’unica cosa: un intervento choc sul cuneo fiscale per liberare energie finalizzate all’aumento dell’occupazione. Invece, si interviene a tampone, un po’ in base alla dettatura dell’Ue, quella che festeggiamo per il roaming, ma che ci ha imposto Mario Monti dopo la letterina a Tremonti, e un po’ in base al calcolo della base elettorale che è meglio blandire in vista dell’appuntamento con le politiche. Poi, se Francoforte ci bacchetta, pur salvandoci la ghirba con la sua fame onnivora di debito pubblico, non lamentiamoci.
E a proposito di debito pubblico, è sempre di ieri la notizia che ha toccato un nuovo record. Ad aprile il debito delle Amministrazioni pubbliche è stato pari a 2.270,4 miliardi, in aumento di 10,1 miliardi rispetto a marzo, come si legge nel fascicolo Finanza pubblica, fabbisogno e debito della Banca d’Italia. Il debito delle Amministrazioni centrali è aumentato di 9,6 miliardi, quello delle Amministrazioni locali è aumentato di 0,5 miliardi; il debito degli Enti di previdenza è rimasto pressoché invariato. L’incremento di aprile, si legge, è dovuto al fabbisogno mensile delle Amministrazioni pubbliche (5,5 miliardi) e all’aumento delle disponibilità liquide del Tesoro (per 3,9 miliardi, a 58,5; erano pari a 64,7 miliardi alla fine di aprile 2016) e all’effetto complessivo degli scarti e dei premi all’emissione e al rimborso, della rivalutazione dei titoli indicizzati all’inflazione e della variazione del tasso di cambio (0,7 miliardi). Le entrate dei primi 4 mesi si sono attestate a 120,9 miliardi, segnando un +2% rispetto al primo quadrimestre 2016. Vogliamo festeggiare anche questo insieme all’addio del costo per il roaming? Ma c’è dell’altro di cui essere felici e soddisfatti, ad esempio il fatto che oggi sarà potenzialmente l’ennesimo venerdì nero per i trasporti, a causa di una mobilitazione generale per l’intera giornata, indetta da alcuni sindacati autonomi e di base di treni, aerei, mezzi urbani.
La protesta, indetta dai sindacati di base (Cub-Sgb,Usi-Ait, Cobas Lavoro privato) a «difesa del diritto di sciopero e contro le privatizzazioni e liberalizzazioni del settore», riguarda infatti tutti i comparti. Inoltre, agli scioperi a livello nazionale si aggiungono ulteriori proteste sul piano locale. Una situazione davanti alla quale il ministro di Infrastrutture e Trasporti, Graziano Delrio, non ha che potuto commentare così: «Purtroppo domani (oggi, ndr) sarà un venerdì nero per i trasporti. Noi abbiamo cercato di far ragionare, ma ci saranno difficoltà». Ma la parola precettazione non dice nulla? Che governo è quello che, di fronte a scioperi ormai cronici e tutti di venerdì, alza gli occhi al cielo e comunica al popolo che tocca ancora avere pazienza, perché i disagi sono inevitabili? Quanto ancora bisognerà sottostare al ricatto sindacale perenne? Perché se è vero che ci sono vertenze aperte da anni e che meritano risposta, è altrettanto vero che moltissimi di questi scioperi sono pretestuosi e ideologici: scioperare a difesa del diritto di scioperare è un calambour carino, ma fa vagamente saltare i nervi se si pone in essere questo proposito nel Paese col record europeo per astensioni dal lavoro, oltretutto con il coté – di tanto in tanto – di scioperi selvaggi e senza comunicazione al garante.
D’altronde, domani andrà in onda in diretta la dimostrazione plastica del mondo in cui viviamo: ieri i transfughi del Pd sono usciti dall’aula al Senato per abbassare il quorum e non mandare sotto il governo sulla manovrina, ma gli stessi saranno in piazza con la Cgil contro quello stesso governo che ieri hanno protetto dal rischio di sconfitta in Aula, prodromo della crisi. La coerenza dov’è? Come fanno quegli stessi politici, i quali si riempiono la bocca a ogni piè sospinto con la difesa del lavoro, a risultare credibili? Tanto più che, colmo dei colmi, il motivo per cui vanno in piazza con la Camusso è la reintroduzione dei voucher, ovvero una battaglia tutta ideologica figlia della più colossale operazione di facciata che un governo abbia compiuto nella Seconda Repubblica. Ovvero, abolire tout court i voucher per evitare che si tenesse il referendum della Cgil, salvo poi reintrodurli su richiesta del mondo del lavoro, quello che non va in piazza o a scaldare gli scranni del Parlamento, ma che la mattina si alza alle 6 per andare a lavorare. Sia esso imprenditore, impiegato od operaio. E mi fermo qui, perché l’elenco potrebbe andare avanti per ore.
Vale davvero la pena di festeggiare l’abolizione dei costi di roaming e di sentirsi fieri di questa Europa che dopo dieci anni di titanica battaglia ha raggiunto i suo scopo o, magari, sarà il caso di essere seri e guardare in faccia la realtà? Che, meglio ne prendiate atto, non è brutta dal punto di vista economico. È bruttissima.