Alitalia, i conti(dei buchi) non tornano. Quest’anno ho chiuso il mio corso del secondo semestre all’Università Bicocca con una lezione dedicata alla nuova crisi di Alitalia. Nel preparare i contenuti ho pensato a quali fossero le domande di maggior interesse per gli studenti, quelle alle quali cercare di dare prioritariamente risposta. All’interno di questa riflessione mi sono tuttavia accorto che vi è una domanda, e purtroppo anche la principale, alla quale una risposta argomentata e soddisfacente nessuno sembra al momento in grado di dare: perché la situazione economica di Alitalia si è così aggravata nel corso del 2016 e nella prima metà del 2017, tanto da portare il mese scorso alla dichiarazione d’insolvenza e al commissariamento? Eppure quest’anno e mezzo è stato un periodo eccezionale per il trasporto aereo: la domanda ha continuato a crescere anche nel nostro Paese a tassi elevati, il prezzo del petrolio è ai livelli minimi e le altre compagnie aeree hanno realizzato profitti che non si vedevano da prima della crisi prodotta dagli attentati alle torri gemelle sedici anni fa.
Perché allora la situazione di Alitalia, in uno scenario di mercato così favorevole, si è aggravata sino al dissesto? A quanto ammontano le sue perdite nel periodo? A cosa sono dovute esattamente? Le risposte a queste domande non sono note. Nessuno le conosce, o meglio, i pochi che le conoscono si sono ben guardati dal renderle pubbliche. La ragione per la quale non le conosciamo è molto semplice: non è stato depositato dai vecchi amministratori, entro la scadenza di metà aprile, prevista dalle norme, né successivamente, il bilancio d’esercizio del 2016 che avrebbe dovuto contenerle tutte quante. E perché il bilancio non è stato depositato? Gli amministratori non erano in grado di farlo? Molto difficile crederlo. La sede aziendale non ha subito eventi traumatici di nessun tipo in grado di compromettere una corretta tenuta dei conti. E da una corretta tenuta dei conti a un corretto bilancio d’esercizio il passo è molto breve.
Non può essere accettata al riguardo la giustificazione che il bilancio non c’è perché non è stato approvato. Se non vi è un bilancio approvato ve ne sarà uno non approvato, magari privo di effetti legali, ma egualmente interessante da un punto di vista conoscitivo, in grado almeno di spiegare le effettive cause del dissesto. Perché altrimenti, nell’ipotesi del persistere della sua indisponibilità, si è autorizzati a pensar male, a ritenere che le cause del dissesto non siano state rese note perché non sono divulgabili, e che il bilancio 2016 non sia stato depositato a metà aprile, rispettando le scadenze previste, perché la consapevolezza dei suoi contenuti avrebbe spinto i dipendenti di Alitalia a votare in massa per il No al successivo referendum. Cosa che hanno egualmente scelto di fare “al buio”. Queste sono tutte ipotesi, prive al momento di prove. Tuttavia solo la conoscenza del bilancio 2016 è in grado di smentirle.
D’altra parte le informazioni di cui stiamo parlando sono anche quelle di maggior interesse per i soggetti economici che hanno manifestato interesse alla procedura di acquisizione di Alitalia. Chi comprerebbe un’azienda che si sa che è in dissesto ma non si sa perché e di cui non si hanno i conti? Cosa intendono mettere i commissari di Alitalia nella famosa “data room” se non i dati analitici di cui il bilancio d’esercizio rappresenta la sintesi annuale? E se vi sono i dati analitici com’è possibile pensare che non si disponga di una loro versione sintetica?
D’altra parte il peggioramento di Alitalia nel 2016 è proprio strano. È dovuto a una caduta del traffico in un anno di grande espansione del mercato? A una caduta dei prezzi medi, dovuta alla concorrenza? Oppure sono esplosi i costi? E se sono esplosi i costi, si tratta di costi industriali tipici, e in questo caso quali, oppure di errate scelte di carattere finanziario? In realtà qualcuna delle possibili cause possiamo ragionevolmente escluderla: non sono crollati i passeggeri, non sono crollati i ricavi medi del traffico, non è esploso il costo del personale e neppure quello dei servizi negli aeroporti e in rotta.
Sul primo fronte l’Enac ci dice nel suo annuario statistico che i passeggeri totali di Alitalia sono stati nel 2016 23,1 milioni, persino qualcuno in più dei 23 milioni del 2015. I prezzi medi si sono ridotti sul mercato, ma solo perché i vettori hanno girato ai clienti i risparmi, e neppure tutti, derivanti dal minor prezzo del carburante. Le tariffe aeroportuali e per l’assistenza al volo non sono cresciute. Non restano molti altri fattori. Neppure il costo della flotta, che si compone degli ammortamenti, dei costi del leasing e delle manutenzioni degli aerei, può essere esploso. Non resta allora che l’onere proveniente dagli errati contratti relativi ai derivati sui costi del carburante. Ma questa non è una componente della normale gestione industriale e se essa fosse la causa principale del dissesto economico il problema Alitalia risulterebbe assai più facilmente rimediabile. Significherebbe che Alitalia ha avuto un dissesto dei conti, ma non il grave dissesto di tipo industriale in cui abbiamo sinora ritenuto si trovasse in assenza delle corrette informazioni di cui la nostra analisi necessitava.
La seconda grande stranezza del caso Alitalia è che in tutti questi mesi non sia uscito un dato ufficiale sull’azienda e che gli ultimi dati certi siano quelli del bilancio 2015, depositato il 14 aprile 2016. In realtà pochi numeri ufficiali sui conti di Alitalia sono apparsi di recente nella sentenza del Tribunale di Civitavecchia che ha stabilito lo stato d’insolvenza, disponibile sul sito dell’amministrazione commissariale. Essa cita, senza indicare l’anno, la perdita d’esercizio di 408 milioni risultante dall'”ultimo bilancio depositato”, ma il dato corrisponde alla perdita del 2015 e dunque non è nuovo. In aggiunta, tuttavia, la sentenza cita la “situazione patrimoniale aggiornata al 28.2.2017 (…), che riporta un patrimonio netto negativo di 111 milioni, perdite – solo nel periodo 1.1.2017-28.2.2107 – per 205 mil. (…)”.
Queste due informazioni sono invece nuove, tuttavia non aiutano la comprensione dei conti di Alitalia e anzi la rendono più problematica. Intanto la perdita 2016 non è mai citata. Inoltre, se il patrimonio netto è divenuto negativo per 111 milioni al 28.2.2017 dopo un bimestre di perdite pari a 205 milioni questo vuol dire che esso era invece positivo per 94 milioni al 31.12.2016. Tale dato non è tuttavia compatibile con l’elevata e mai esattamente quantificata perdita del 2016. Il bilancio 2015 di Alitalia Spa, l’ultimo noto, evidenziava infatti un patrimonio netto positivo al 31.12.2015 per 51,9 milioni (tabelle di pag. 188 e 191 del bilancio 2015). Com’è possibile che in un anno di perdite consistenti, che hanno portato al dissesto, esso sia salito da 51,9 milioni a 94 milioni? Forse che l’esercizio 2016 ha chiuso in utile per 42,1 milioni? Il patrimonio netto si accresce infatti per effetto di utili di esercizio, che stando a ciò che è stato scritto non vi sono stati, oppure per aumenti di capitale dei soci, che egualmente non vi sono stati. Il mistero permane dunque fitto e nessuno ci ha sinora detto quanto abbia perso effettivamente Alitalia nel 2016 e per quali esatte ragioni.
Ad accrescere l’incomprensibilità del tutto sono infine pervenute alcune informazioni, in sé molto positive, pubblicate dai media sul primo mese di gestione commissariale: 1) neanche un euro del prestito ponte è stato sinora utilizzato (se non per il deposito cauzionale chiesto dalla Iata, che non è tuttavia un costo ma un credito); 2) i ricavi del mese sono stati maggiori dei ricavi dello stesso mese dell’anno precedente (250 milioni contro 240). Queste informazioni hanno due importanti implicazioni. In primo luogo ci dicono che Alitalia a maggio è in pareggio di cassa e inoltre che nell’arco di 12 mesi può superare i tre miliardi di ricavi. Infatti, in base alla stagionalità abituale, i passeggeri di maggio dovrebbero rappresentare un undicesimo dei passeggeri totali annui di Alitalia. Invece in termini di ricavi rappresentano una quota minore, dato che nei mesi estivi i proventi medi per passeggero sono solitamente maggiori. Inoltre, se Alitalia è in pareggio di cassa già a maggio, essa andrà sicuramente in attivo nei prossimi quattro mesi e l’attivo in tal modo accumulato non si esaurirà del tutto negli ultimi tre mesi dell’anno. In sostanza, l’attuale gestione commissariale appare in grado di realizzare un equilibrio di cassa per tutta la restante parte dell’anno, rinviando l’utilizzo del prestito ponte ai primi mesi del 2018.
Tutto questo è molto positivo, ma smentisce l’ipotesi che Alitalia si trovi in uno stato di grave dissesto industriale e probabilmente anche che vi si sia trovata nello scorso anno. Prima di decidere è opportuno conoscere. “Conoscere per deliberare” suggeriva Luigi Einaudi. Far chiarezza sui conti di Alitalia del 2016 e sulle vere cause, sinora ignote, del suo dissesto è doveroso nei confronti dell’opinione pubblica e nei confronti dei suoi dipendenti.