Dopo il summit europeo previsto per settimana prossima si potrebbe aprire un nuovo fronte di discussione sulla politica economica dell’Unione europea. Il neo Presidente francese, Macron, avrebbe infatti intenzione di spingere per un meccanismo europeo contro le acquisizioni estere in Europa non desiderate in settori strategicamente importanti. L’iniziativa scaturisce probabilmente dall’esigenza di frenare le acquisizioni da parte di gruppi cinesi di società europee tecnologicamente avanzate e come ritorsione contro un’America che decide di risolvere lo squilibrio commerciale con la Germania. Secondo il Financial Times, sia il primo ministro italiano che la cancelliera tedesca Merkel avrebbero dato a Macron il supporto per questa iniziativa. Sempre secondo il Financial Times, che ha avuto accesso a una bozza del comunicato che verrà emesso, in occasione del summit i leader europei si impegnerebbero a “valutare gli investimenti stranieri al fine di limitare i rischi alla sicurezza nazionale”.



La prima questione che si dovrebbe sollevare è cosa si intenda per sicurezza nazionale o per settori strategicamente importanti; è pacifico che in caso di commesse militari certe barriere diventino ovvie, l’aggettivo strategico è invece molto meno univoco. L’indipendenza energetica è strategica, ma anche l’eccellenza tecnologica o il presidio di settori con grandi ricadute occupazionali può essere fatto rientrare in questa categoria. Non crediamo che si voglia inaugurare ufficialmente una nuova politica economica per ribadire l’ovvio e cioè la delicatezza del settore della difesa. I recenti bracci di ferro tra governo tedesco e aziende cinesi sul controllo di alcune aziende chiave in settori alla frontiera tecnologica sono illuminanti. Nel caso francese questa definizione è ancora più sfumata, perché tutti ancora si ricordano l’inserimento della Danone con i suoi yogurt tra le aziende “strategiche” in occasione dell’offerta, poi infatti saltata, da parte del gruppo Pepsi; meglio essere ridicoli che farsi portar via un’azienda che paga lo stipendio a così tanti francesi. Una società può essere “strategica” anche se non si occupa di difesa e anche se non è tecnologica, ma solo perché considerata troppo importante per un sistema paese.



Qualsiasi iniziativa su questo versante parte dal presupposto che la nazionalità del “padrone” non è indifferente per un sistema Paese sia per le ricadute occupazionali, sia per l’impoverimento competitivo di una nazione; non è indifferenze avere meno operai ed è ancora meno indifferente perdere la classe media fatta di dirigenti, ingegneri e colletti bianchi di alto livello. La seconda affermazione implicita in questa iniziativa è che all’interno dell’Europa la nazionalità non conti; una bugia clamorosa considerato che proprio in questi giorni Macron sta provando a bloccare l’acquisizione dei cantieri navali francesi di Stx France da parte dell’italiana Fincantieri oppure lo sbarramento opposto a Enel quando cercava di comprare Suez. Il governo francese ha la forza per mettere a cuccia l’Italia, ma non ha abbastanza armi per mettere a cuccia quello cinese; lo stesso vale per la Germania che si vede sfilare la robotica. Teniamo a mente che per il sistema francese non c’è differenza tra Italia o Cina. Ed è giusto che sia così.



Tutto questo però interessa all’Italia molto marginalmente. Un motivo è che l’Italia ha già perso la parte più interessante del proprio sistema negli ultimi anni e quindi ha molto meno da perdere. Il secondo motivo è che il pericolo per il sistema Paese italiano è arrivato proprio dai suoi partner/concorrenti europei; lo Stato italiano non ha potuto opporsi sia per la sua debolezza politica, sia perché costretto alle regole europee che gli altri invece avevano la forza di piegare. Oggi Macron, Merkel e l’Europa confermano esplicitamente che le preoccupazioni sulla proprietà di alcune imprese italiane erano opportune; ma mentre Germania e Francia giustamente vogliono questa barriera perché all’interno dell’Europa possono fare quello che vogliono, per l’Italia, e la sua posizione di subalternità, questa barriera rischia di essere un’ulteriore sola.

È molto meglio che un’azienda italiana venga acquisita da una cinese che magari la usa come sede continentale piuttosto che da una tedesca o francese (abbiamo sempre in mente il caso Italcementi/Heidelberg). Nel primo caso le ricadute occupazionali sono sicuramente meno negative. La Germania e la Francia non sono venditori perché possono non esserlo, ma l’Italia è venditrice e vorrebbe avere, almeno, il più alto numero di compratori potenziali per scegliere l’offerta migliore. Oggi l’Italia può provare a salvare Alitalia con un partner arabo o accordarsi con un indiano per una acciaieria oppure con un cinese; da domani ci sarà una gara a due tra Francia e Germania.

Ci eravamo quasi convinti che Macron fosse davvero il campione del libero mercato contro il retrogrado Trump. Oggi nutriamo molti dubbi sul fatto che all’Italia convenga farsi intruppare e ingabbiare commercialmente in un’Europa in cui è palesemente in una posizione subalterna. Se di vendersi si tratta allora, meglio avere più compratori possibili e soprattutto meglio essere la testa di ponte in Europa di Cina o America piuttosto che finire come la Grecia.