Forse il gruppo cinese Yida, che avrebbe offerto 7,5 miliardi di euro per cassa per acquisire Esselunga dalla famiglia Caprotti, non avrebbe la stessa determinazione nell’investire un paio di miliardi nel salvataggio delle Popolari venete, La holding conglomerata pilotata da Yida Zhang, 36enne “nuovo capitalista” vicino al leader di Pechino Xi Jinping, è interessata soprattutto all’immobiliare, ma anche al settore minerario, alle energie rinnovabili, alle biotecnologie. Difficilmente, comunque, il ministero dell’Economia italiano – a questo punto della crisi di Popolare di Vicenza e Veneto Banca – porrebbe pregiudiziali all’ingresso di un investitore cinese, senza esperienza precedenti nel settore bancario. Anzi, è il profilo di cui – a questo punto – le autorità italiane avrebbero disperato bisogno: forse più ancora di un compratore (cinese o non) per Alitalia. Qualcuno che mostri fiducia nel sistema-Italia – e la meriti – anche nelle sue parti più fragili, che sono tuttavia anche le più delicate.
Una new company con capitali di private equity sembra dunque l’ultima spiaggia delle Popolari venete prima di soluzioni via via più traumatiche: che da più di un anno il sistema-Paese cerca di evitare, purtroppo con poco successo (Atlante ha già perso 3,5 miliardi). Con un grosso investitore internazionale come “gancio” forse le banche italiane restìe a un ultimo giro di “finanziamenti di sistema” per evitare un tracollo che avrebbe certamente impatti sistemici.
Non è la prima volta che l’ipotesi si affaccia sul pozzo nero dell crisi bancarie italiane. Per la Popolare di Vicenza – un anno fa – si era fatto avanti il colosso internazionale Fortress, mentre il concorrente Apollo sondava in un tentativo gemello Carige (anch’essa sempre più pericolante). Le due proposte prevedevano l’acquisto di tutti i crediti difficili (la cui gestione è il nusiness dei due megafondi) e una ricapitalizzazione simmetrica. Com’è noto, i piani sono stati duramente respinti al mittente come opera di “fondi avvoltoi”: Atlante fu messo in cantiere in fretta e furia con l’idea di creare un operatore “fair” nel comparto degli Npl. Mentre Atlante non è mai decollata, Fortress è passata al gigante giapponese Softbank ed è oggi al tavolo degli Npl di Mps: sempre con qualche problema di incontro fra domanda e offerta nella valutazione dei crediti deteriorati. Nel frattempo è già agli archivi il possibile interventi del fondo sovrano del Qatar a Siena: il giorno dopo le dimissioni di Matteo Renzi dopo il referendum.
Ma quali sono i freni residui alla cessione – anche se indiretta – di un polo bancario a investitori non europei? Il primo resta una sorta di orgoglio nazionale: quello stesso ha impedito l’Italia di ricorrere agli aiuti bancari Ue come la Spagna e che – finora – ha tenuto il Paese formalmente fuori da un commissariamento internazionale. Uno status – peraltro – pagato a caro prezzo con sei anni di austerity e recessione. E con una crisi bancaria sempre più grave: tanto che ora la “perdita di sovranità” può realizzarsi attraverso il mercato, cioè l’ingresso di grandi investitori esteri nelle astenze dei bottoni del credito nazionale. Ma la Cina – prima fra tutte – dispone di capitali in eccesso per investire a lungo termine in un pezzo di Europa come l’Italia.Che oggi forse non ha più tempo per pensarci su. Ma fra Roma e Milano non è possibile lamentare di non aver avuto tutto il tempo per pensarci.