Non era mai successo che un presidente diventasse un’anatra zoppa a soli sei mesi dal suo insediamento. Quel che sta accadendo con Donald Trump manda in sollucchero i suoi oppositori (anche se non ci sono ancora le condizioni per toglierlo dalla poltrona) e fa sperare i sognatori di un’Europa federale. “Sono più ottimista rispetto a qualche tempo fa perché Trump ha fatto risuscitare il patriottismo europeo”, ha dichiarato l’ex presidente Romano Prodi. Ma entrambi, anti-trumpisti irriducibili ed europeisti vecchia maniera, hanno torto. Quel che sta accadendo negli Stati Uniti è un disastro forse più per gli europei che per gli stessi americani. Loro tutto sommato vivono ancora in una grande isola separata da due immensi oceani, mentre noi siamo irriducibilmente collegati dalla storia e dalla geografia all’Asia e all’Africa, isolarci sarebbe un ossimoro politico-diplomatico.



Tra gaffe su Twitter e pasticci nella costruzione di una squadra di governo che nemmeno Virginia Raggi a Roma, tra annunci poi smentiti e promesse mai mantenute, minacce in politica estera e mosse contraddittorie in Medio Oriente e nello scacchiere del Pacifico, tra l’illusione di tornare a una nuova Yalta (basta un accordo tra Usa e Russia per spartirsi le sfere d’influenza e chiudere “la Terza guerra mondiale che si combatte a pezzetti”) e altre sanzioni contro Putin, insomma non passa giorno che The Donald non ne combini una delle sue. Ma le cose non vanno meglio nemmeno in politica interna. Trump ha promesso di difendere l’industria tradizionale colpita dalla globalizzazione e ha messo nel mirino gli gnomi di Silicon Valley, suoi acerrimi nemici. Si ritrova che Amazon entra nella grande distribuzione, ed è lo stesso Jeff Bezos il quale con il Washington Post ha rivelato il cosiddetto Russiagate.



Il presidente abbandona l’accordo di Parigi sul clima e si mette contro niente meno che la ExxonMobil, la più grande compagnia energetica mondiale, così come la famiglia Rockefeller, cioè gli eredi di John Davison che fondò la Standard Oil dalla quale derivano le stesse Exxon e Mobil convolate a inevitabili nozze nel 1999. E che dire della riforma fiscale? Aveva promesso un’operazione alla Ronald Reagan: tagliare le tasse per dare una spinta all’economia. Nessuno ha capito la logica e gli effetti del piano varato dalla Casa Bianca, quanto alla crescita, per ora si è visto un rallentamento della congiuntura americana.



Tutto ciò non deve far esultare gli europei e tanto meno gli europeisti, perché la verità è che senza gli Stati Uniti il Vecchio continente non va da nessuna parte. I conflitti che dilaniano il Medio Oriente e il Nord Africa sono destinati a peggiorare. Non parliamo della tensione nelle aree nord-orientali dell’Europa (non abbiamo idea del clima che si respira nel Baltico dopo il dislocamento dei missili russi Iskander che possono portare testate nucleari da Kaliningrad a Stoccolma). E non parliamo della lotta al terrorismo islamico che lo stesso Trump considera una priorità

Proprio sulla difesa, secondo Prodi, si possono realizzare i maggiori passi avanti nell’unificazione politica dell’Ue. Lo spera anche Angela Merkel. Ma la realtà è che l’Unione europea ha una scarsa capacità militare e dopo la Brexit solo la Francia possiede un potenziale nucleare, peraltro ridotto e gestito in modo separato anche rispetto alla Nato. La force de frappe non serve a molto di fronte alla Russia, ma se Parigi non la mette a disposizione dell’Ue non ha senso nessuna difesa europea.

Di fronte all’unilateralismo irrazionale di Trump, Francia e Germania dovrebbero riaprire i libri della recente storia diplomatica e riesaminare quel che fecero prima Valéry Giscard d’Estaing e Helmut Schmidt, poi François Mitterrand e Helmut Kohl (scomparso venerdì scorso). A ferragosto del 1971 Washington prese la più clamorosa e distruttiva decisione unilaterale del secolo scorso mettendo fine al sistema monetario basato sulla parità fissa tra dollaro e oro, stabilito nel 1944 a Bretton Woods. Richard Nixon fu messo con le spalle al muro dall’impatto negativo della guerra del Vietnam (spesa pubblica, inflazione, deficit estero), ma certo non concordò la sua scelta con nessun partner, sconvolse il sistema monetario, esportò l’inflazione americana in tutto il mondo, spinse i paesi esportatori di greggio (scambiato in dollari) ad aumentare i prezzi ancor prima che nel 1973 la guerra dello Yom Kippur scatenasse la grande crisi petrolifera.

Francia e Germania reagirono mettendo in campo un meccanismo di consultazione permanente tra i principali paesi industriali che tenesse insieme il Nord America, l’Europa occidentale e il Giappone: il G7. Forse Giscard aveva l’ambizione che diventasse una sorta di governo economico mondiale (Barack Obama sperava che lo fosse il G20). Ma, al di là, delle utopie kantiane, quella struttura, per quanto imperfetta, ancora esiste, anzi si può dire che sia l’ultimo legame rimasto all’occidente. Può darsi che non duri molto nemmeno il G7, tuttavia la risposta alla tentazione isolazionista dell’America di Trump non è immaginare l’Ue come un blocco isolato, al contrario.

La vera leadership da parte dell’Europa e della coppia franco-tedesca che vuole ritrovare una nuova primavera, si esercita seguendo l’esempio di Giscard e Schmidt, di Mitterrand e Kohl. Saranno in grado di farlo Macron e la Merkel? Non lo sappiamo. Ma proprio qui l’Italia, per le sue caratteristiche, la sua storia diplomatica, la sua collocazione geopolitica, potrebbe esercitare un ruolo importante. Certo, ci vuole un governo solido e un quadro politico stabile. Ma erano davvero così solidi e stabili i governi tra la fine degli anni ‘70 e i primi anni ‘80 quando imperversava ancora il terrorismo interno (rosso e nero)? Eppure Andreotti, Craxi, Cossiga (anche il Pci di Berlinguer che si sentiva meglio sotto l’ombrello Nato come dichiarò l’allora segretario) giocarono bene la loro partita ed esercitarono un ruolo non ancillare. Fino al Trattato di Maastricht, quando la delegazione italiana (Andreotti, Carli e De Michelis) ebbe una funzione significativa per sbloccare l’impasse tra Kohl e Mitterrand su questioni chiave come l’unificazione tedesca, la disintegrazione della Jugoslavia e, ultimo ma non per importanza, l’euro.

Dunque, niente alibi. C’è molto da fare, senza vittimismi, né complottismi.