Conclusa la trattativa con l’Ue per l’aggiustamento del bilancio 2017, la scorsa settimana il governo ha aperto quella per il bilancio 2018, in sede di Ecofin. Il ministro Padoan ha annunciato un successo: l’Ue non pretenderà per il 2018 – in base agli impegni di pareggio contabile siglati da Roma – una riduzione del deficit programmato pari allo 0,8% del Pil, ma si limiterà a uno 0,3%. Il successo, semplificando, sarebbe quello di aver guadagnato uno 0,5% di “flessibilità”, circa 9 miliardi, sui tagli di spesa promessi. 



Il clima ottimista è stato confermato dal Primo ministro che, ricordando la recente correzione al rialzo delle stime di crescita del Pil 2017 dall’1,1%, fatte inizialmente dal governo, all’1,3% ora previsto dal Fondo monetario (Fmi), ha combinato questo dato con quello di maggiore flessibilità sul piano del deficit per profetizzare una Finanziaria 2018 favorevole all’espansione economica e politicamente tranquilla. 



Credibile? Resta la clausola di salvaguardia, accettata dall’Italia un paio di governi fa, che impone l’aumento dell’Iva per circa 15 miliardi qualora non fosse raggiunto il pareggio di bilancio concordato con l’Ue. Pertanto ci sono 9 miliardi di flessibilità, ma ne restano 6 da tagliare o coprire con tasse nel 2018. Poi c’è la questione del debito, attorno al 130% del Pil, che è fuori parametro. Da un lato, l’Ue aspetterà le elezioni prima di pretendere sul serio un piano di rientro. Dall’altro, ha imposto un piano di privatizzazioni i cui proventi dovrebbero essere destinati alla riduzione del debito. 



I commentatori non hanno dato rilevanza a questo punto emerso nell’Ecofin. Avrebbero dovuto chiedersi: ha forse il governo concesso ad attori francesi e tedeschi la proprietà dei residui gioielli industriali di proprietà statale in cambio di un alleggerimento della pressione Ue sull’Italia? Perché l’Ecofin dice a noi di vendere beni pubblici strategici e non alla Francia che ha un debito non dissimile dal nostro e crescente? Poi, le raccomandazioni dell’Ecofin di aumentare le tasse indirette e sugli immobili, per ridurre quelle sui fattori produttivi, appaiono diverse dall’orientamento fiscale della maggioranza. Ha forse il governo chiesto un “assist” all’Ue per una diatriba interna? 

In sintesi, lo scenario è meno tranquillo di quanto annunciato. Inoltre, poiché il governo non prevede tagli sostanziali di spesa inutile nel 2018, la politica economica non riuscirà a stimolare la crescita e questa tornerà all’1%, o sotto, nel 2019, come già ipotizzato da Fmi e Istat, e quindi insufficiente. 

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