Quando si dice la puntualità. Lo Uk Serious Fraud Office ha incriminato Barclays e quattro manager per frode e consulenza finanziaria illegale in relazione all’aumento di capitale effettuato nel 2008, quando la banca dovette chiedere 15 miliardi di dollari agli investitori per non finire gambe all’aria. Direte voi, cosa c’entra la puntualità? Primo, l’inchiesta è durata cinque anni e finisce solo ora. Secondo, sapete chi è nel mirino per quei fondi raccolti nove anni fa? Il Qatar, guarda caso Paese divenuto simbolo della nuova proxy war in atto tra Russia, Iran e Siria da un alto e Usa, Israele e Arabia Saudita dall’altro.
Direte voi, perché un alleato degli Stati Uniti come la Gran Bretagna dovrebbe colpire una sua banca – a livello reputazionale e di multe – per compiacere Washington? Primo, perché i rapporti tra Usa e Regno Unito sono al minimo storico, minati alla radice dall’affaire relativo alla fuga di notizie sull’attentatore di Manchester. Secondo, perché anche a Londra esiste il Deep State e ingraziarsi i cugini d’Oltreoceano con un favore è sempre cose saggia. Terzo, perché tanto la reputazione delle banche è divenuta un surplus dal 2009 in poi e le multe, si sa, possono anche essere cancellate o scontate. Di parecchio. I manager sacrificati? Certe buonuscite valgono la rogna di un processo, se mai ci sarà. L’importante è, come dicono gli inglesi, che the word is out, tutti sanno la notizia: e la parola in questione è Qatar, di modo che se domani dovesse accadere qualcosa, l’opinione pubblica collegherà pavlovianamente Doha a questo fatto con valenza penale e avrà già dato un suo giudizio di fondo. Le opinioni pubbliche favorevoli si creano così.
Gli addebiti, in particolare, sono legati alla raccolta di fondi che ha coinvolto Qatar holding e Challenger universal e – d’altra parte – a un prestito da 3 miliardi di dollari reso disponibile allo Stato del Qatar attraverso il ministero dell’Economia e delle finanze nel novembre del 2008. In totale, la banca ha raccolto oltre 6 miliardi di sterline dagli investitori del Qatar.L’incriminazione da parte dell’organismo che si occupa del crimine finanziario nel Regno Unito riguarda, tra gli altri, John Varley, ex ceo di Barclays, l’ex numero uno della divisione d’investimento Roger Jenkins: l’audizione dei 4 banchieri è prevista a Londra per il prossimo 3 luglio. Insomma, per qualche giorno nell’ambiente finanziario, londinese e non, se ne parlerà.
Ma perché tornare a colpire il Qatar, ora che lo scontro frontale – e francamente ridicolo – con l’Arabia Saudita sul supporto al terrorismo sembrava svanito, ennesimo caso di ecatombe all’orizzonte tramutatasi in tempesta in un bicchiere d’acqua nell’arco di una settimana? Perché occorre “energizzare” il fronte mediorientale. Se infatti dalla Siria arrivano scenari da war games tra Stati Uniti e Russia sull’abbattimento del SU-22 siriano da parte d un F-18 della coalizione e l’Iran ha per la prima volta bombardato postazioni dei ribelli siriani agendo con missili balistici lanciati dal suo territorio, è un’altra l’emergenza nell’emergenza: ieri sia il Brent che il Wti sono scesi ai massimi da novembre scorso, rispettivamente in apertura a 45,85 dollari al barile e 43,30. Cosa vi avevo detto che l’accordo Opec per i tagli alla produzioni era una bufala in partenza? E qualcuno comincia a farsi male, visto che l’hedge fund Pierre Ardurand ha perso il 17,3% nel mese di maggio su posizioni legate al greggio.
A portare al calo inatteso ci hanno pensato due variabili, l’aumento del volume di greggio detenuto su piattaforme di stoccaggio e quanto rappresentato nel grafico qui sotto, ovvero un riattivarsi della produzione libica, quest’ultima ai massimi da quattro anni, dopo che un accordo con la Winthershall AG ha garantito la riattivazione dell’output in due giacimenti. Inoltre, come anticipato, gli stoccaggi offshore sono saliti al massimo da inizio anno a quota 111,9 milioni di barili questo mese, stando a dati della Kpler SAS.
Insomma, occorre fare qualcosa per quelle maledette quotazioni che non salgono. E qualcosa che unisca guerra proxy tra Iran e Arabia e vexata quaestio petrolifera è emerso ieri, senza finire sui giornali: la marina saudita ha infatti comunicato di aver sventato un piano di attacco da parte di un’unita dei Guardiani della rivoluzione iraniana contro un’importante piattaforma petrolifera nel Golfo Persico, per l’esattezza quella di Marjan. I tre sarebbero stati arrestati mentre si avvicinavano all’obiettivo su tre imbarcazioni battenti bandiera bianca e rossa: agli spari di avvertimento, la “flottiglia” iraniana avrebbe opposto il rifiuto a obbedire e avrebbe proseguito. L’accusa mossa da Ryad è chiara: “Portare a termine un atto di terrorismo in acque territoriali saudite”.
Delle tre imbarcazioni solo una sarebbe stata fermata e i tre membri dell’equipaggio, subito definiti membri dei pasdaran, sarebbero in stato di fermo e in attesa di interrogatorio. Un po’ diversa la versione iraniana, fornita dall’agenzia di stampa Tasnim e ripresa dalla Reuters: i tre sarebbero infatti dei pescatori, contro cui la guardia costiera saudita avrebbe aperto il fuoco, uccidendo un membro dell’equipaggio. La nave era entrata in acque territoriali saudite a causa del forte moto ondoso. Insomma, la tipica guerra di propaganda: prepariamoci a molti di questi eventi nel prossimo futuro, visto che le notizie in grado di comprimere le quotazioni del petrolio, come ci ha insegnato il dato della produzione libica, non mancano di certo sul mercato.
E a Wall Street qualcuno comincia a soffrire. Come vedete è un mercato geofinanziario al massimo, tutto appare correlato. E lo è. Ad esempio, come giudicare la dinamica rappresentata in questi grafici? Ci dice infatti che nei cinque giorni di trading conclusisi venerdì scorso, nell’Etf Vanguard Ftse Europe sono confluiti altri 871 milioni di dollari di investimenti, portando il più grande Etf europeo alla sua striscia bisettimanale record da sempre. Insomma, il formale accordo fra governo greco e suoi creditori (il 1874mo, credo) e la vittoria a mani basse di Emmanuel Macron alle legislative francesi hanno trasformato l’Ue in un investimento net long, visto che il secondo grafico ci mostra come gli hedge funds abbiano aumentato le loro posizioni rialziste sull’euro per la prima volta in 3 anni nella settimana di trading conclusa il 13 giugno.
L’Europa scoppia di salute? No, sta scoppiando altro. Per l’esattezza una bella bolla asiatica sui tassi, tanto che è notizia di ieri che il Fondo monetario internazionale stia mettendo a punto un programma di emergenza per affrontare eventuali crisi valutarie legate alla fuga di dollari dall’Asia, in relazione all’aumento dei tassi messo in atto dalla Federal Reserve. La caratteristica di questo piano è che non richiederà le costose strutture tipiche dei programmi di salvataggio precedenti: «Il Fondo monetario – scrive il quotidiano Nikkei, stesso gruppo del Financial TImes – prevede di introdurre ufficialmente questo nuovo schema nella riunione programmata per fine mese. E ha già avviato le discussioni con i Paesi che appartengono all’Associazione delle Nazioni del Sudest asiatico (Asean). Il Fmi non ha però l’intenzione di avvicinare la Cina, che detiene grandi riserve valutarie in dollari e dalla quale in realtà si teme la maggiore fuoriuscita dei capitali». Il nuovo meccanismo disegnato dal Fmi dovrebbe aiutare i Paesi in crisi a prendere a prestito dollari, soprattutto tramite prestiti a breve termine (con scadenza di un anno o meno): Nikkei scrive che «il Fondo valuterà i potenziali mutuatari come in condizioni normali e che i prestiti saranno limitati in funzione del contributo di capitale di ciascun Paese».
Siamo alla vigilia di una crisi del 1997 in versione 2.0? Una cosa è certa: è tutto così connesso, a causa dell’interventismo delle Banche centrali e della finanziarizzazione, che qualsiasi cosa possa andare minimamente fuori controllo ovunque nel mondo, è destinata a riverberarsi a livello globale. Camminiamo su un campo minato, ma la certezza che le Banche centrali abbiano il timone ben saldo, ieri – ad esempio – ha fatto scendere il nostro spread sul Bund ai minimi. Quando finirà l’ottimismo, ci sarà davvero da inventarsi qualcosa. E temo che sarà la polveriera mediorientale a offrirci l’ennesimo coniglio dal cilindro.