Secondo rumour rilanciati da Reuters ieri mattina, tra due anni Esselunga potrebbe essere una società quotata. Dopo la morte del fondatore, Bernardo Caprotti, i giornali hanno dato conto dei dissidi familiari e poi delle offerte per l’acquisto della catena di supermercati italiana. L’operazione sarebbe alle fasi preliminari e i dettagli sono scarsissimi. Per ora sappiamo solo che qualche giorno fa sarebbe stata respinta un’offerta del gruppo cinese “Yda Investment Group” di oltre 7 miliardi di euro. È un valore che include un marchio che è diventato, sicuramente a Milano e dintorni, un’icona: i punti fragola accumulati per andare al cinema o comprare dal catalogo, la spesa on line consegnata a casa, le figurine da dare a figli, nipotini o amici hanno prodotto un “attaccamento” dei clienti che non ha spiegazioni razionali e che è simile al “contenuto emozionale” di marchi del lusso o tecnologici. Sicuramente un caso più unico che raro, però un supermercato.
Possiamo immaginare che la quotazione possa essere uno strumento in cui i soci di minoranza liquidano la propria partecipazione mentre i soci di maggioranza, Giuliana Albera e la figlia Marina Caprotti, rimangano come soci di riferimento. Non conosciamo il futuro di Esselunga, né cosa succederà in caso di quotazione, possiamo però già oggi dire cosa potrebbe essere la quotazione.
Intanto potrebbe essere un’alternativa alla cessione in blocco. Il boccone è appetibilissimo sia perché gli indicatori di performance sono il meglio del mercato italiano, sia perché i milioni di clienti serviti vivono in una delle aree più ricche d’Europa. Esselunga è uno strumento non solo per fare soldi, ma anche per veicolare prodotti alla clientela. A nessuno sfugge che il “valore” del gruppo vada oltre l’utile netto o i dividendi e che ci possano essere ragioni strategiche che non si riducono al rendimento finanziario o economico. In questo senso il “sistema Paese” dovrebbe essere particolarmente attento prima di trovare tra i banchi del reparto salumeria prosciutti cinesi piuttosto che emiliani.
Potrebbe essere un’occasione per il mercato azionario italiano per mettere in vetrina una bella azienda industriale, oltre alle solite banche, non proprio un bel vedere, e utility, non il massimo del divertimento. Il mercato azionario italiano può mostrare di essere degno di ospitare belle aziende industriali medio grandi; in questo senso gli spazi sono illimitati e si può iniziare un circolo virtuoso che beneficia la “finanza”, l’immagine del Paese e un sistema industriale che si interroga sugli sbocchi delle imprese familiari. Beneficia anche i risparmiatori che comprano azioni sapendo esattamente cosa stanno comprando e che misurano la bontà dell’investimento con la lunghezza delle code alla cassa; un po’ più facile dei bilanci bancari.
La quotazione potrebbe soprattutto essere il trampolino di lancio per un’espansione del gruppo in cui la testa rimanga saldamente a Milano e in Italia. Nessuno ci dica che gli italiani non sanno fare catene di supermercati “vincenti”; Esselunga ha ampi spazi di crescita in Italia e ampissimi all’estero. La “borsa” è un bel posto per chi ha idee industriali chiare e intelligenti e ha bisogno di finanza per metterle in atto. Il futuro da preda di Esselunga non è già scritto e la borsa può essere un bel modo per scriverne uno diverso.