Quando si parla di Gran Bretagna a livello sociale, occorre sempre ricorrere a Racconto di due città di Charles Dickens, quasi un compendio indispensabile per capire il dualismo su cui si regge il Regno: città contro campagna, come ci ha mostrato il Brexit, ma anche città contro città, ovvero case vittoriane che spartiscono l’aria con quartieri dormitorio. Il voto dell’8 giugno e, ancora più, l’incendio al Grenfell Tower e l’attentato presso la moschea di Finsbury Park, ci raccontano proprio questo, un Paese diviso, livoroso, percorso da dubbi e da perplessità sul futuro, in primis proprio il processo di uscita dall’Ue.
Un Paese che, come sempre accade nei momenti di difficoltà, si affida e si aggrappa al suo capo di Stato, quella Regina 91enne che proprio ieri ha tenuto il Queens’ Speech di fronte al Parlamento, dopo il rinvio della scorsa settimana a causa dei colloqui tra Theresa May e i nordirlandesi del Dup per cercare di formare un governo. Un appuntamento tra i più formali e protocollari della democrazia britannica che, invece, ieri si è presentato in tono dimesso, addirittura con la Regina in abiti borghesi e senza la corona imperiale, la prima volta in 43 anni: i “tempi cupi” evocati proprio da Sua Maestà nel discorso di omaggio alle vittime della Grenfell Tower, ieri sono scesi anche su Westminster.
E cos’ha detto la Regina al Parlamento e ai sudditi? A causa del poco tempo per provare la cerimonia, si è di fatto limitata a leggere un documento preparato dal governo, di fatto il manifesto politico dei Conservatori: «La priorità per il Regno Unito è arrivare al migliore accordo per l’uscita dall’Ue. I miei ministri sono impegnati a lavorare con il Parlamento, con le amministrazioni decentrate, le imprese e tutti gli altri soggetti interessati per costruire il più ampio consenso sul futuro del Paese al di fuori dell’Unione europea». Insomma, al netto dell’allarme terrorismo e quello delle tensioni sociali, Theresa May ha capito che è meglio ripriorizzare il Brexit, piuttosto che operare in modalità suicida come fatto in campagna elettorale, quando si è focalizzata su temi sì sensibili, ma che la vedevano vulnerabile su più fronti.
«Il mio governo cercherà di mantenere una partnership profonda e leale con gli alleati europei e di forgiare nuove relazioni commerciali in tutto il mondo. Nuove leggi su dogane e commercio contribuiranno a realizzare una politica commerciale indipendente e sarà dato tutto il supporto alle imprese britanniche per esportare sui mercati di tutto il mondo», ha dichiarato la Regina, accompagnata dal figlio Carlo, perché il 96enne principe consorte Filippo è affetto da un’infezione che lo costretto al ricovero precauzionale in un ospedale di Londra. Poi, tanta retorica politica.
La Regina ha affermato che il suo esecutivo darà impulso all’economia per generare maggiori entrate fiscali da destinare alla sanità, alla scuola e ai servizi pubblici, ma proverà anche a migliorare le finanze pubbliche e ad abbassare la pressione fiscale. Infine, proprio in risposta all’incendio della Greenfell Tower e alle grandi polemiche che ne sono seguite, con al centro proprio la premier Theresa May, il nuovo governo introdurrà la figura di un avvocato pubblico indipendente a disposizione delle vittime di disastri. Insomma, un lungo e bell’elenco di propositi che, però, probabilmente non diverranno mai proposte, visto che a oggi le trattative fra Theresa May e il Dup sono in pieno stallo a causa delle esose richieste di stanziamenti pubblici per l’Ulster avanzata dai nordirlandesi per concedere alla premier i loro dieci, preziosissimi seggi. Ma come anticipato, sono le due città di Dickens la pietra angolare della Gran Bretagna.
E, infatti, mentre la Regina parlava a Westminster, fuori accadeva questo: una dura manifestazione di protesta “per abbattere il governo”, denominata niente meno che Day of rage, il giorno della rabbia, organizzata da gruppuscoli anarchici e dell’estrema sinistra, gli stessi che hanno cercato di mettere il cappello sulle manifestazioni di malcontento dei sopravvissuti di Grenfell Tower. Ma più che questo sottosuolo estremista, per ora limitato nei numeri, l’altra faccia di Londra è contenuta in questi video (clicca qui e qui), relativi ai violentissimi scontri scoppiati l’altra notte a Stamford Hill tra gruppi di giovani di diverse etnie. E non parliamo di rissa da stadio, di scazzottata: il tutto era preordinato, visto che sul luogo della rissa i partecipanti sono arrivati armati di coltelli, machete e anche spade giapponesi.
Siamo a qualcosa che ricorda molto la battaglia finale di Gangs of New York per il controllo del territorio e questo accade nella medesima città che da tre giorni vediamo sugli schermi della televisione declinata in modo e tempo di pacificazione: non un tg ha parlato della battaglia nel Nord di Londra, ma tutti hanno enfatizzato in maniera quasi parossistica il fatto che l’imam della moschea di Finsbury Park abbia salvato dal linciaggio l’uomo gallese che avrebbe tentato di investire i fedeli usciti dalla preghiera. Come mai nessuno, stranamente, ha messo però in evidenza come lo stesso uomo sia stato portato in ospedale non per le botte ricevute, ma per la necessità di un Tso urgente, essendo sofferente di turbe psichiche? Strano dualismo informativo: se a colpire è un musulmano, si corre subito a sottolineare il disturbo del comportamento, in questo caso si nasconde. Forse fa comodo la narrativa dell’attacco razzista e dell’islamofobia montante?
Se così fosse, avrebbe un senso anche il black-out informativo relativo ai fatti di Stamford Hill, dove è stata la comunità pachistana ad accendere la miccia per prima. Qualcuno sta creando le condizioni di un’estate di caos e violenza nel Regno Unito? Io ne ho la quasi certezza. E il perché è chiaro: evitare che i Tories riescano a formare un governo, così da spingere la Regina a indire nuove elezioni entro l’anno. Di fatto, spalancando la strada al Labour verso il 10 di Downing Street, garanzia, nella peggiore delle ipotesi, di soft Brexit senza scossoni e, nella migliore, di congelamento totale del provvedimento e di marcia indietro, con Londra che rimane nell’Ue. C’è bisogno del caos, infatti, per convincere chi ha votato per andarsene ad accettare un epilogo differente, altrimenti si rischia l’effetto contrario: ovvero, la rivolta della Gran Bretagna profonda e rurale contro le elites londinesi.
Perché sono così certo di questo? Perché lunedì, in perfetta contemporanea con l’inizio delle trattative formali sul Brexit, ha parlato lungamente e unicamente di Gran Bretagna qualcuno che l’argomento destabilizzazione lo conosce molto bene: George Soros. E cos’ha detto? «La realtà economica sta per cominciare a incontrarsi con le false speranze di molti britannici». In che senso? «Un anno fa, quando hanno scelto per il Brexit, molti cittadini hanno creduto a quanto scriveva la stampa scandalistica e popolare e dicevano loro i politici a favore del Leave, ovvero che la scelta di andarsene non avrebbe ridotto il loro standard di vita. Da un anno a questa parte, invece, hanno cominciato a mantenere quello stesso standard solo attraverso l’aumento dell’indebitamento privato. Questo è funzionato per un po’, visto che l’aumento dei consumi ha stimolato l’economia, ma il momento della verità per l’economia britannica si sta avvicinando velocemente». Ed ecco la previsione: «L’uscita dall’Ue necessiterà molto più dei 2 anni stabiliti, almeno 5 direi. Un lasso di tempo durante il quale si terrà una nuova elezione. Se tutto andrà bene, magari le due parti in causa decideranno di risposarsi, ancora prima di aver divorziato».
E attenzione, perché che ci sia qualcosa che si muove dietro le quinte dell’economia britannica – e, quindi, del destino del Brexit – lo dimostra la strana guerra di dichiarazioni in atto all’interno della Bank of England riguardo l’aumento o meno dei tassi. La scorsa settimana il board della Banca centrale britannica si è riunito e ha deciso per il mantenimento del livello attuale, ma, a far titubare il mercato, ci ha pensato la composizione del voto: l’atteggiamento da colomba in fatto di politica monetaria era passato solo per 5 a 3, una divisione del consiglio mai così netta da anni. Martedì, poi, il governatore della Bank of England, Mark Carney, parlando alla Mansion House, aveva tranquillizzato tutti, annunciando un atteggiamento attendista in fatto di costo del denaro, poiché voleva vedere «come l’economia avrebbe reagito ai primi negoziati relativi al Brexit». Poi, ieri, l’ennesima giravolta. Il capo economista della Bank of England, Andy Haldane, spiazzava tutti durante un discorso nello Yorkshire, quando pronunciava queste parole: «Il ritiro del programma di stimolo addizionale attivato lo scorso anno potrebbe iniziare prudentemente molto presto, visti i dati di cui siamo in possesso».
Quella nel grafico sottostante è stata la reazione del cross sterlina/dollaro dopo queste parole. E martedì, George Soros cosa aveva detto a proposto dei tassi britannici? «Stiamo avvicinandoci al punto di non ritorno che caratterizza ogni sviluppo economico insostenibile. Il fatto è che il Brexit è una proposizione lose-lose, perché crea rischi e pericolo sia per i britannici che per gli europei. Non può essere disfatto ma la gente può sempre cambiare idea. Apparentemente, questo sta accadendo. Se la May vuole restare al potere, deve cambiare il suo approccio ai negoziati per il Brexit. E ci sono segnali che sia preparata a farlo». E come? «Approcciando ai negoziati con spirito conciliatorio, la May potrebbe raggiungere un protocollo di intesa con l’Ue sull’agenda e continuare a operare come un soggetto del mercato unico per un periodo sufficientemente lungo a creare il quadro legale necessario. Questo sarebbe di grande sollievo per l’Ue, perché sposterebbe in avanti il maledetto giorno in cui l’assenza britannica creerà un buco economico nel Budget dell’Unione. Questo sì sarebbe un accordo win-win».
Pensate ancora che sia un dietrologo quando dico che le decisioni che contano non le prendono i Parlamenti, né i governi, né tantomeno i cittadini con il voto? E ricordatevi che fu proprio George Soros a spezzare le reni alla Gran Bretagna – e all’Italia – nel settembre del 1992, con l’attacco speculativo alla sterlina. Il precedente storico c’è tutto e penso che la May ne stia prendendo atto: proprio dopo l’attacco speculativo e la conseguente uscita britannica dallo Sme, i Tories ci misero 13 anni prima di tornare in testa nei sondaggi, precisamente solo dopo il 6 dicembre 2005, quando Cameron fu eletto leader del Partito. Chissà che questa intervista di Soros non sia un bel messaggio in codice per la May: ovvero, cambia idea sul Brexit o per i Tories (e per te) è finita, come le recenti elezioni legislative hanno dimostrato. Ma tranquilli, è solo una leggenda quella di Soros burattinaio delle sorti del mondo. Chiedere conferma, in questi giorni, alla Bank of England. O a Paolo Gentiloni.