Si è aperto ieri a Bruxelles il Vertice europeo dedicato a sicurezza e lotta al terrorismo, cominciato in mattinata con un vertice bilaterale tra Paolo Gentiloni e Jean-Claude Juncker, al termine del quale quest’ultimo ha dichiarato che «l’Italia può continuare a contare sull’Europa per quanto riguarda la questione migranti». Continuare? E quando mai l’Ue ha fatto qualcosa per aiutarci, visto che ci stiamo accollando migliaia di migranti alla settimana, mentre gli altri Stati si rifiutano di ricollocarli e blindano le frontiere? Va beh, siamo alle solite: l’ennesimo vertice presa in giro, ormai ci siamo abituati. Ma al netto di questo, c’è un fantasma che agita l’Ue: quello della sua identità futura. Se infatti l’enfant prodige del momento, Emmanuel Macron, in un’intervista al Corriere della Sera sembra voler allontanare l’aura del suo passato di banchiere, parlando di un’Europa che deve essere «un destino comune e non un market», il grande vecchio dell’Unione, il ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schaeuble, si pone un problema più serio, quasi ontologico, quando si chiede se gli Usa siano consci del fatto che «una loro ritirata potrebbe portare al rischio di distruzione del nostro ordine liberale, attraverso una cessione di influenza a Russia e Cina».
Una domanda non retorica di questi tempi e, soprattutto, paradigmatica: stiamo per vivere uno shift of power verso Paesi con grandi risorse ma basati su sistemi oligarchici ed economie protezionistiche, manipolate, stataliste e spesso prone al dumping? E sul tema è intervenuta direttamente anche la Bce, non prima di aver dipinto l’ennesimo, roseo quadro della situazione. L’Eurotower, infatti, «ritiene che l’economia dell’Eurozona possa crescere più delle attese e che i rischi sulle prospettive di crescita siano bilanciati. Per questo, esclude nuovi tagli dei tassi di interesse.
Le ultime informazioni disponibili confermano un maggior slancio dell’economia dell’area dell’euro che, secondo le proiezioni, dovrebbe crescere a un ritmo più rapido rispetto alle attese», si legge nell’ultimo bollettino mensile dell’Istituto centrale europeo. E ancora: «La trasmissione delle misure di politica monetaria della Bce ha anche agevolato il processo di riduzione della leva finanziaria e dovrebbe continuare a sostenere la domanda interna.
In particolare, la ripresa degli investimenti continua a essere sospinta da condizioni di finanziamento molto favorevoli e da miglioramenti nella redditività delle imprese. Al contempo, gli incrementi dell’occupazione, che traggono beneficio anche dalle passate riforme del mercato del lavoro, forniscono sostegno al reddito disponibile reale delle famiglie e ai consumi privati. L’attività economica dell’area è sospinta anche dalla sostenuta ripresa mondiale. Il commercio mondiale è cresciuto in maniera significativa negli ultimi mesi, beneficiando, tra gli altri fattori, della ripresa in atto nelle economie dei Paesi emergenti».
Quest’ultima parte, relativa agli emergenti, ricordatevela, perché la toccheremo di nuovo più avanti. Infine, l’ultima pennellata al quadro del paradiso degli unicorni: «L’Eurotower ritiene che i rischi per le prospettive di crescita siano ora sostanzialmente bilanciati. In tale contesto, è sempre più ridotta la probabilità che si verifichino scenari avversi per le prospettive della stabilità dei prezzi, in particolare per effetto dell’attenuazione dei rischi di spinte deflazionistiche. Il Consiglio direttivo ha pertanto deciso di eliminare il riferimento a eventuali tagli dei tassi di riferimento dalle indicazioni prospettiche».
Direte voi, cosa c’entrano questi giudizi con le suggestioni avanzate da Macron e, soprattutto, le preoccupazioni prospettate da Schaeuble? Ecco: «I rischi al ribasso per la crescita mondiale sono diminuiti nell’ultimo anno, ma non sono scomparsi. Sono emersi nuovi fattori di rischio, in particolare l’incertezza circa le intenzioni della nuova amministrazione statunitense in materia di politiche di bilancio e soprattutto commerciali; queste ultime potrebbero comportare significativi effetti negativi per l’economia globale». La Bce non teme, invece, la normalizzazione della politica monetaria della Fed: 1Un’attenta comunicazione da parte del Federal Reserve System, unita a un percorso molto graduale di inasprimento della politica monetaria e a una diminuzione delle vulnerabilità delle maggiori Eme, sembra aver attenuato il rischio di un inasprimento disordinato delle condizioni di finanziamento a livello mondiale. Dall’altro lato, nonostante gli interventi a sostegno dell’attività economica abbiano contribuito ad attenuare le preoccupazioni riguardanti le prospettive a breve termine della Cina, le vulnerabilità nel medio periodo rimangono elevate, in relazione all’ulteriore crescita della leva finanziaria».
Ora, mettiamo due cosine in fila, tanto per avere una prospettiva. Primo, la Bce non teme l’assestamento dei tassi Usa e nemmeno una delle dinamiche a essi più connessa, ovvero il rischio di turbolenze valutarie sui mercati emergenti, i più esposti perché fortemente indebitati in dollari. A parte il fatto che uno dei due tra Bce e Fmi deve fare pace con il cervello, visto che non più tardi di due giorni fa l’istituto di Washington ha detto di avere pronto un piano di emergenza proprio per quei mercati, nel timore di un’altra crisi stile 1997, c’è da fare i conti con questi due grafici. Ci mostrano infatti come la volatilità sulle equities dei mercati emergenti sia oggi ai minimi record, essendo meno della metà della media storica di 29,7%, ma Bank of America mette in guardia: visti i toni della Fed della scorsa settimana, se la narrativa sui tassi non cambierà e resterà “da falco”, nella seconda metà dell’anno andremo incontro a un netto aumento della volatilità. In più, quell’aumento appare già fattorizzato, visto il continuo collasso dell’impulso creditizio cinese, destinato a inviare scossoni a livello globale.
Secondo e più importante, la Bce teme il protezionismo di Trump. In effetti, un’America fatta di dazi e balzelli, chiusa su se stessa, quasi autarchica e con un governo pronto a sostenere direttamente l’economia, sarebbe un bel problema per l’Europa e il mondo: occorre libero mercato, libero ed equo, con regole chiare per tutti. E vediamo come interpreta questa necessità la Bce, attraverso il bollettino che l’Eurotower ha pubblicato mercoledì sera e relativo agli acquisti di bond corporate all’interno del programma Cspp. Al netto di un bilancio di ormai 4,2 triliardi di euro, la Bce detiene 952 tipi di securities per un controvalore di 93,7 miliardi di euro, il 14% dell’outstanding totale di 664 miliardi e operando su circa 200 entità di emissione diverse. La Bce ci tiene a precisare che gli acquisti «non presentano deviazioni significative tra le detenzioni Cspp e le rispettive quote quote nell’universo di assets eligibili, in termini sia di attività economica che di gruppo di rating». In parole povere, sono acquisti bilanciati, diversificati e in linea con le regole statutarie del programma.
Guardando al breakdown per nazione, stranamente gli emittenti di Francia e Germania continuano a dominare il conto negli acquisti obbligazionari, vantando un totale combinato di 494 emittenti per un controvalore di 363 miliardi ma anche i bond corporate non-Ue vanno forte, soprattutto quelli svizzeri (32 emittenti per 24 miliardi di controvalore): a livello di settore, restano prime le utilities (250 emittenti per 161 miliardi di controvalore), con i beni di consumo non ciclici secondi ben distanti (145 emittenti per 110 miliardi di controvalore). Ma arriviamo ai dati succulenti. La Bce detiene oggi 229 bonds su un totale di 952 (su un nozionale totale di 664 miliardi di euro, quindi il 24%) con rating BB+ o addirittura non-rated (Nr), di fatto non solo prospettando criticità livello di qualità inferiore nelle detenzioni ma aprendo la pota a una realtà inquietante: un quarto del bilancio della Bce, di fatto opera come una bad bank su assets di qualità negativa. Inoltre, la Bce stessa ammette che il 12% delle sue detenzioni di bond corporate sono state acquistate con rendimento negativo: a oggi, 85 su 952 securities nel bilancio di Francoforte (l’8,9%) ha rendimento negativo.
Ma ecco la cosa più importante: nel documento, la Bce conferma che «gli acquisti sotto il programma Cspp sono fatti sia sul mercato primario che su quello secondario, tanto che il 15% del totale è stato operato proprio sul mercato primario», come ci mostra il grafico. E cosa ci dice questo? In parole povere, che la Bce sta offrendo finanziamento diretto alle aziende europee, invece che transare meramente sul mercato secondario. Gli acquisti netti a livello mensile nel periodo giugno 2016-maggio 2017 si sono mossi nel range subito sotto i 4 miliardi e sotto i 10 miliardi: insomma, si seguono le stagioni come per andare a caccia, quando si avvicina fine anno calano gli acquisti, visto che i bond hanno emissioni minori e la liquidità sul mercato secondario è molto bassa. Insomma, siamo alla monetizzazione pubblica del debito privato, un qualcosa che la Bce non fa con quello sovrano: di fatto, Francoforte con i nostri soldi sta finanziando direttamente – e, quindi, tenendo a galla – le aziende europee, le stesse che mettono quei soldi a bilancio per tamponare i buchi e non investono in occupazione o formazione e ricerca.
Ecco la grande utilità del Qe, che ci porta a due domande: quando davvero finirà o, anche soltanto, interverrà un inizio vero di tapering, cosa succederà al mercato obbligazionario corporate senza più quel finanziatore di prima e ultima istanza? E al sistema bancario, il quale vedrà di colpo una schiera di aziende fiondarsi alla ricerca di liquidità, perché incapaci di continuare a finanziarsi a costo zero sul mercato obbligazionario? Secondo, sicuri che la Bce sia nelle condizioni di preoccuparsi e fare le pulci al protezionismo di Trump, visto che sta finanziando direttamente il fior fiore delle aziende europee, tra cui Aprr, Engie, HeidelbergCement, Metso, Sagess e Saint Gobain, tra le ultime regine delle emissioni sul mercato pianificato in stile sovietico della Bce?
Chissà come mai di queste cose ai vertici non si parla mai. E, soprattutto, perché non ne parla la Bce nel suo bel bollettino mensile, limitandosi a comunicare le cifre in un oscuro report per addetti ai lavori, i cui contenuti non finiscono mai sui giornali. Qui sì, però.