“Accordo storico”. Addirittura! “L’Italia verrà aiutata per l’emergenza immigrati”. Grazie mille, ma come, quando e soprattutto quanto? “Il motore franco-tedesco si è rimesso in moto”. Evviva, ma intanto la macchina europea è ancora a folle, la marcia non è stata ingranata. Certo, sulla difesa comune si comincia anche a mettere qualche cifra nero su bianco con la creazione di un fondo europeo. Ma è lunga la strada e molto accidentata. E l’idea che la difesa dell’Unione sia più efficace senza la Gran Bretagna, Paese che ha un esercito in grado di intervenire ad ampio raggio (senza contare il deterrente nucleare), sembra una pia illusione.
Il Consiglio europeo, dunque, non è stato quel successo che si è letto su molti giornali, soprattutto quelli che fanno eco agli entusiasmi di maniera. Nemmeno sul dossier dove si è fatto qualche passo avanti, cioè la difesa. Le parole di Jean-Claude Juncker tradiscono la verità: “Spendiamo metà del bilancio degli Stati Uniti, ma la nostra efficienza è il 15% – ha detto il presidente della Commissione -. Bisogna migliorare la situazione ed è quello che abbiamo deciso di fare”. Insomma, avanti con giudizio come don Ferrante tra i tumulti milanesi. Prima miglioriamo quel che c’è poi vediamo. Intanto cominciamo a cooperare. Realismo, concretezza pragmatica; bene, ma cosa c’è di storico?
Lo stesso vale sui migranti. Anche qui, le parole svelano la scarsa sostanza. L’Italia può “continuare a contare sulla solidarietà europea” sul fronte della crisi dei migranti,ha dettoJuncker durante l’incontro bilaterale. Continuare? Ma è davvero cominciata questa solidarietà se non con formule esoteriche? Donald Tusk a conclusione del consiglio, ha aggiunto che “i leader hanno concordato di coordinarsi meglio nelle prossime settimane per aiutare l’Italia”. Meglio? Non sembra che ci sia stato tanto coordinamento finora. Ma soprattutto resta una divisione di fondo su come gestire questo grande esodo. I paesi dell’Europa centro-orientale non hanno cambiato linea, né si sono ammorbiditi, ciò aumenta la pressione sull’Italia visto che la rotta balcanica è bloccata. In mancanza di una vera politica comune e di misure concrete, il coordinamento sarebbe il minimo sindacale. Dove stanno dunque le novità concrete?
E veniamo al mitico motore renano. Emmanuel Macron ha fatto molti bei discorsi e Angela Merkel, in attesa di una rielezione, gli ha dato corda. Parole alate sono volate sopra Bruxelles, ma, appunto, parole. Alla prima prova dei fatti Francia e Germania sono rimaste sole. La questione non è affatto di secondaria importanza. Macron vorrebbe frenare l’espansione economica cinese in Europa, le acquisizioni di aziende in settori strategici, la penetrazione finanziaria e industriale. La parola d’ordine è reciprocità, in realtà si tratta di un neo-protezionismo europeo per bilanciare il neo-protezionismo americano. Vedremo cosa farà in concreto Trump, ma il rischio di essere bloccati negli Stati Uniti spinge i capitali “rossi” verso l’Europa. La Germania ha dato spago a questa posizione, nonostante vanti un avanzo enorme nella bilancia commerciale e in tutti questi anni sia penetrata in Cina come coltello nel burro. Se di reciprocità deve trattarsi, allora non è Berlino a poter sventolare la bandiera.
Francesi e tedeschi, però si sono trovati contro i paesi baltici e la Polonia all’insegna del liberismo e anche dei propri interessi. Ma soprattutto hanno avuto un secco no dai paesi del sud dove i cinesi sono più forti. Alexis Tsipras ha protestato ricordando che se non era per Pechino il porto del Pireo avrebbe chiuso i battenti. I portoghesi sono stati i più chiari: “La crisi e l’austerità ci hanno spinto a privatizzare aprendo le porte ai capitali stranieri e cinesi in particolare, chiudere adesso i battenti sarebbe per noi catastrofico”, ha detto António Luís Santos da Costa, il socialista capo del governo di Lisbona. Gli italiani non si sono esposti troppo, ma da noi è successo lo stesso. La penetrazione cinese, dalle telecomunicazioni alle banche e persino nelle infrastrutture strategiche è ampia, anche se l’Italia esporta in Cina molto più del Portogallo, solleva questioni politiche e di sicurezza che vanno affrontate, ma la linea francese è contraria ai nostri interessi.
Macron è pronto a fare un compromesso, ma il suo debutto, al quale era molto atteso, non è stato così brillante come la sua parlantina. Anzi, potremmo dire che è stato chiaramente deludente. En marche! Ma non si capisce ancora verso dove. Parole, parole, parole, una grande “piacioneria” se ci si passa l’espressione e quando stiamo ai fatti (l’Italia lo ha visto anche con i cantieri navali di St.Nazaire) la linea è sempre la stessa: France d’abord. Insieme ad America First e Deutschland überalles, non stiamo messi bene.