Se ne parla meno di quanto si dovrebbe. Nonostante alla Camera ci sia un’apposita mozione in proposito. Tuttavia, è uno degli argomenti principali, ove non il centrale, delle prossime settimane, quando si dovrà mettere in cantiere l’aggiornamento del Documento di economia e finanza e la Legge di bilancio per il 2018. In effetti, i dibattiti sulla stampa quotidiana (italiana e straniera) lo sotto-intendono, anche se non ci si può aspettare che i giornalisti siano versati in diritto internazionale dell’economia. Si tratta del Fiscal compact. L’accordo che prevede il coordinamento delle politiche di bilancio per il raggiungimento dei seguenti obiettivi:



1) obbligo del perseguimento del pareggio di bilancio (art. 3, c. 1), obbligo di non superamento della soglia di deficit superiore allo 0,5% del Pil (e superiore all’1% per i paesi con debito pubblico inferiore al 60% del Pil);

2) significativa riduzione del rapporto fra debito pubblico e Pil, pari ogni anno a un ventesimo della parte eccedente il 60% del Pil;



3) impegno a coordinare i piani di emissione del debito con il Consiglio dell’Unione europea e con la Commissione europea (art. 6).

Nelle intenzioni iniziali dei proponenti, dopo una fase di rodaggio (di cinque anni), si sarebbe dovuto decidere se fare entrare il Compact nel corpus del diritto europeo, o incorporandolo nei trattati europei esistenti o trasformandolo da “accordo” in trattato. Durante il processo di ratifica, alcuni Stati si opposero a questa interpretazione. Quindi, il Compact è un accordo internazionale e, alla stregua di quasi tutti gli accordi internazionali, suscettibile di revisione, dopo una fase di sperimentazione. Numerosi Stati, dei 25 che lo hanno sottoscritto e ratificato, ritengono che sia giunto il momento di sottoporlo a valutazione e revisione.



L’Italia ha fatto, come spesso fa, il Pierino. Non solo nel luglio del 2012 lo ha ratificato e promulgato, ma ha costruito sugli obblighi di pareggio di bilancio e di riduzione del deficit una “legge costituzionale rafforzata”. Salvo, poi, a chiedere che Compact e “legge costituzionale rafforzata” vengano applicati in modo flessibile, diventando causa di ironia a Bruxelles e nelle principali capitali europee.

Occorre ricordare che durante la fase di preparazione e ratifica del Compact, numerosi premi Nobel per l’economica (quali Kenneth Arrow, Eric Maskin e Robert Solow) in un appello rivolto al Presidente degli Stati Uniti Obama, hanno affermato che “inserire nella Costituzione il vincolo di pareggio del bilancio rappresenterebbe una scelta politica estremamente improvvida. Aggiungere ulteriori restrizioni, quale un tetto rigido della spesa pubblica, non farebbe che peggiorare le cose”; soprattutto questo “avrebbe effetti perversi in caso di recessione. Nei momenti di difficoltà diminuisce infatti il gettito tributario (per concomitante diminuzione del Pil) e aumentano alcune spese pubbliche tra cui i sussidi di disoccupazione. Gli ammortizzatori sociali fanno dunque aumentare il deficit, ma limitano la contrazione del reddito disponibile e quindi del potere d’acquisto (che influiscono sul consumo o domanda di beni o servizi)”.

Nell’attuale fase dell’economia, continuano, “è pericoloso tentare di riportare il bilancio in pareggio troppo rapidamente. I grossi tagli di spesa e/o gli incrementi della pressione tributaria  necessari per raggiungere questo scopo, danneggerebbero una ripresa economica già di per sé debole”. Nell’appello si afferma che “anche nei periodi di espansione dell’economia, un tetto rigido di spesa potrebbe danneggiare la crescita economica, perché gli incrementi degli investimenti a elevata remunerazione – anche quelli interamente finanziati dall’aumento del gettito – sarebbero ritenuti incostituzionali se non controbilanciati da riduzioni della spesa di pari importo”. L’appello afferma che “un tetto vincolante di spesa comporterebbe la necessità, in caso di spese di emergenza (per esempio, in caso di disastri naturali), di tagliare altri capitoli del bilancio mettendo in pericolo il finanziamento dei programmi non di emergenza”.

Si può obiettare che si tratta di Nobel tutti di scuola keynesiana. Non lo è il Nobel Paul Krugman, il quale ritiene che l’inserimento in Costituzione del vincolo di pareggio di bilancio possa portare alla dissoluzione dello Stato sociale. È probabile che gli storici economici del futuro diranno che il Fiscal Compact ha aggravato la crisi economica che ha travagliato l’Europa e da cui stiamo faticosamente uscendo.

Cosa fare? L’Italia dovrebbe porsi tra gli Stati dell’Unione europea che richiedono una valutazione e revisioni del Compact, ove non una sua sospensione in attesa di una riscrittura. Ma l’Italia è in una posizione oggettivamente difficile. Ha in Europa il secondo debito pubblico in proporzione al Pil (circa 133%) più alto dopo la Grecia e qualsiasi allentamento delle disciplina di bilancio non può che aumentarlo. Con le reazioni degli investitori internazionali che si possono attendere in termine di aumento dello spread e di timore di insolvenza.