Mentre ci dividevamo tra il salvataggio delle banche venete – o, meglio, il regalo a Banca Intesa a spese dei contribuenti – e i ballottaggi delle amministrative, dall’altra parte dell’oceano qualcuno rompeva il tradizionale riserbo degli hedge funds sulle prospettive di mercato e lo faceva in maniera decisamente rumorosa. Il Cio di One River Asset Management, Eric Peters, non è uomo di molte parole, ma quando parla meglio ascoltarlo. E non solo ha delineato tinte fosche per i prossimi mesi, ma anche offerto una data relativa all’inizio della fine per l’attuale mercato manipolato dalle Banche centrali: il giorno di San Valentino, il 14 febbraio 2018. Ma cosa accadrà a detta di Peters da qui a otto mesi? «La Fed alzerà i tassi per una questione meramente inflazionistica e ridurrà il suo stato patrimoniale per cercare di arginare la crescente instabilità finanziaria. Da settembre, penso che cominceranno a inviare meno segnali sui tassi e si focalizzeranno sulla riduzione del bilancio. Se si dovesse mandare fuori controllo l’economia con il rialzo dei tassi, infatti, tutti darebbero la colpa alla Fed, ma nessuno presta attenzione ed è così “tecnico” là fuori per concentrarsi sulle logiche di bilancio, quindi se qualcosa dovesse “rompersi” mentre stanno cercando di ridurlo, avrebbero un free pass, nessuno li colpevolizzerebbe. Il grosso problema è che la Fed ha convinto se stessa che la forward guidance (la programmazione degli andamenti inflazionistici, ndr) sia più potente del Qe stesso». E quindi? «Questo permette loro di argomentare il fatto che andando in reverse sul Qe senza operare il medesimo processo sulla forward guidance, potrebbe tramutarsi in una mossa senza conseguenze. La riduzione del bilancio comincerà lentamente e procederà per pochi mesi, senza alcun impatto di rilievo. A quel punto, la Fed si sentirà legittimata. Ma quando in reverse ci andrà l’impulso di credito globale, sarà una cascata, una valanga. E scommetto che accadrà il giorno di San Valentino del 2018». 



Una prospettiva inquietante, quasi una profezia. Fatta però da qualcuno che di lavoro controlla ogni minimo movimento del mercato, ogni infinitesimale mossa sulla curva dei rendimenti. Qualcuno che potrebbe essersi accorto – e spaventato – per una dinamica già in atto e che sembra supportare la sua fosca previsione. Non so quanti di voi hanno letto Ghiaccio 9 di di Kurt Vonnegut, se non lo avete fatto, vi consiglio di porre rimedio in fretta. In quel libro, infatti, si parla di un dispositivo mortale. Simile a quello che potrebbe comparire, dalla sera alla mattina, sui mercati con effetto devastante, dopo essersi propagato silenziosamente per mesi, proprio come prevede Peters e senza che nessuno vi prestasse attenzione. O che proprio se ne accorgesse. Ghiaccio 9 è una variante di una molecola d’acqua inventata da uno scienziato, diversa solo in un aspetto: fondeva a 114 gradi fahrenheit e congelava a temperatura ambiente. Se una molecola di questa strana acqua fosse venuta in contatto con una molecola d’acqua normale, la molecola regolare si sarebbe trasformata in Ghiaccio 9. Ciò accadeva più e più volte, in progressione geometrica. Ghiaccio 9 era mantenuta in una fiala, ma se questa fosse stata aperta e la molecola fosse finita in acqua normale, tutta quell’acqua sarebbe stata congelata. Poi, si sarebbe diffusa e avrebbe ghiacciato laghi, fiumi, oceani e tutta l’acqua del mondo. Naturalmente tutti sul pianeta Terra sarebbero morti. Era un dispositivo mortale, una metafora della distruzione nucleare: non a caso, questo libro uscì proprio nel periodo della crisi missilistica cubana. 



E cosa c’entra Ghiaccio 9 con la previsione di Peters e con la crisi dei mercati in elaborazione? Chiedetelo alla Bank of Japan. Oppure guardate questo grafico, il quale ci dice che fra breve la Banca centrale nipponica potrebbe non doversi più arrovellare il cervello con la scelta fra tapering o no del suo programma di stimolo monetario monstre, perché il mercato dei bond potrebbe già essere morto. Se infatti Kuroda pare seriamente impegnato nel decidere la prossima mossa, ecco che quel grafico ci mostra come i tassi di mercato giapponesi sono in piena sindrome da Ghiaccio 9, congelati e sempre più paralizzati, con i rendimenti sui decennali appena emessi dal governo che sono rimasti piatti per sette sessioni di fila, prendendo come ultimo riferimento venerdì scorso, il tutto mentre la BoJ continua con i suoi sforzi per mantenere i tassi sul lungo termine attorno allo zero. 



Il rendimento del decennale nipponico, quel giorno, ha chiuso a 0,055%, un livello nel quale è intrappolato dal 15 giugno, striscia temporale di stagnazione più lunga dal 1994. D’altronde, era scritto: cosa arriva dopo la volatilità ai minimi record? La paralisi del mercato. Ed è ciò che sta vivendo il Giappone in questi giorni, con i detentori privati di bond che non si azzardano nemmeno a respirare, senza le istruzioni che arrivano dalla Bank of Japan. Il tutto, mentre la volatilità implicita sul debito nipponico è scesa ai livelli minimi dal gennaio 2008 per la medesima ragione che sempre più soggetti vedono come driver principale che sta dietro il recente collasso nella volatilità: nessuno sta facendo trading, nessuno sta operando. Questo ha assunto evidenze inquietanti nelle ultime settimane, quando i regolatori hanno visto i decennali appena emessi restare fermi, come ghiacciati: nessun passaggio di mano, come diceva il grande capo della banca in fallimento nel film Margin call, la musica sta per fermarsi. 

E questa dinamica di glaciazione non riguarda soltanto i cash bond, visto che anche il trading su futures legati ai tassi di interesse a breve termine si è schiantato la scorsa settimana, quando un report del Nikkei ha certificato come non vi fossero state transazioni sui futures del Tibor a tre mesi, un qualcosa che non accadeva da quando questo tipo di trading ha avuto inizio nel 1989. Il Tibor a 3 mesi, ovvero il tasso interbancario offerto a Tokyo, non si è mosso nei nove mesi terminati alla fine di settembre 2016: venerdì scorso sono state registrate solo poche transazioni e appare questione di tempo prima che quel livello arrivi alla zero assoluto. Al Ghiaccio 9. L’assoluta mancanza di volatilità rende infatti difficile trarre profitto dalle scommesse fatte sulla direzione in cui andranno i tassi di interesse. O, volendo dare una lettura alternativa della dinamica, la morte del trading significa che la volatilità si è schiantata ai minimi storici assoluti. 

E la situazione di glaciazione è tale da coinvolgere anche i contratti ancora più di breve termine, tanto che giovedì scorso la Tokyo Financial Exchange ha annunciato che da fine luglio sospenderà il trading sui futures legati al alla cosiddetta uncollateralized overnight call rate, ovvero l’interesse che le istituzioni finanziarie caricano sui prestiti tra di loro sulla scadenza di un giorno: l’istituzione ha reso noto che il trading ripartirà solo se e quando si paleserà una domanda reale al riguardo. Con sempre più partecipanti al mercato che gettano la spugna nei confronti di un trading di fatto manipolato dalle Banche centrali e dalle loro politiche di pianificazione para-sovietica, ciò che dobbiamo attenderci è ulteriore perdita della funzionalità di mercato e un crash garantito al 100% nel momento in cui la Bank of Japan o altre Banche centrali si chiameranno fuori dal gioco. 

Ecco come il report Nikkei sintetizzata educatamente la dinamica, tanto per non gettare tutti e subito nel panico: «Se i mercati bond e money perderanno la loro capacità di prezzare credito, basandosi su aspettative di futuri tassi di interesse e dinamiche di domanda e offerta, il rischio di un picco immediato della volatilità dovuto a una crisi finanziaria globale salirà di molto». Tradotto, in un mondo dove gli unici soggetti a fare trading sono le Banche centrali, chiunque altro è destinato ad abbandonare il campo e vendere ciò che detiene. Ed ecco cosa unisce questa dinamica a Ghiaccio 9 alle predizioni di Peters, questo grafico, il quale ci mostra come la partecipazione degli hedge funds al mercato sia calata ai minimi storici nello scorso trimestre. 

Insomma, la smart money si chiama fuori dal grande casinò e non intende più metterci piede, almeno fino a quando il grande reset creerà opportunità finalmente reali, ovvero con trading veri, con volatilità e volume e non un mercato ingessato dalla Banche centrali, dove nessuno più sa come operare. Io vi ho avvertito, in vista del prossimo San Valentino dimostrate di amarvi: informatevi. E non dal bancario allo sportello.