Ci sono un migliaio di parlamentari italiani attanagliati dall’ansia che la legislatura s’interrompa prima della decorrenza dei loro vitalizi, anche se ormai, beati loro, si sentono vicini al successo; e ci sono oltre 12 mila dipendenti Alitalia che sanno di essere a loro volta protetti dall’imminente scadenza elettorale: finché non si sarà votato, nessun partito e nessun leader vorrà intestarsi l’inevitabile ristrutturazione selvaggia che li colpirà, purtroppo, dando un esito diverso e certamente doloroso a quel che resta della compagnia di bandiera non appena la pantomima in corso sarà stata fatta cessare. E in attesa del voto, si continua a sbandierare uno “story-telling” pieno di bugie.
La frottola di ieri è che l’amministrazione straordinaria abbia acquisito “32 manifestazioni di interesse”. Chiariamo a scanso di equivoci e di querele che l’affermazione di uno dei commissari straordinari di Alitalia, Stefano Paleari, è tecnicamente esatta. Ma cosa vuol dire, cosa “contiene” o meglio, e se si vuole, “cosa nasconde” l’espressione: “manifestazione d’interesse”? In fondo nell’avviso pubblicato lo scorso 17 maggio sono previste tre opzioni per il futuro di Alitalia: la ristrutturazione della compagnia, la vendita in blocco o la vendita dei beni e contratti (il cosiddetto “spezzatino”). Tutto è dunque possibile, si salvi chi può.
“Abbiamo iniziato questa mattina ad aprire le buste dal notaio. I lavori sono appena iniziati”, si è limitato a dire Paleari rispondendo come ha potuto alla domanda se queste buste costituiscano tutte offerte che rispondono ai requisiti: “Sono 32 manifestazioni che stiamo aprendo, valutando e classificando”. L’unico offerente a essere uscito allo scoperto – e viva la faccia di quel mattacchione cinico che risponde al nome del suo capo, Michael O’Leary – è stato Ryanair, vettore low-cost leader europeo, confermando al Sole 24 Ore di aver presentato una manifestazione di interesse per le rotte a lungo raggio di Alitalia e non certo per tutto il decotto cucuzzaro.
Precisamente, il portavoce della compagnia irlandese ha detto che è stata presentata “un’offerta di feedaraggio per i voli a lungo raggio di Alitalia”, ha affermato John Alborante, portavoce Ryanair, spiegando che “i dettagli dell’offerta saranno resi noti dai commissari” e confermando che “Ryanair non è interessata all’acquisto dell’intera compagnia, abbiamo detto al Governo che siamo pronti a mettere 20 aeromobili se Alitalia dovesse tagliare le rotte”. Anche Lufthansa ha poi fatto sapere di “non avere intenzione di acquistare Alitalia, ma di guardare con molta attenzione alle opportunità che emergono, come la flotta e gli slot nel caso siano messi in vendita”.
Solo queste due sono state le dichiarazioni chiare, il resto della giornata è stato scandito da voci e da gossip su questo o quell’interessamento: Delta Airlines ha detto che “continua a monitorare i progressi di Alitalia da quando è entrata nel processo di amministrazione straordinaria”, si è parlato di offerte delle cinesi Hainan Airlines e Air China, di Air France, di Turkish Airlines. L’azionista di riferimento uscente, con le ossa rotte dopo sette anni di perdite, cioè Etihad Airways, ha ribadito di essere aperta “ad esplorare tutte le opzioni per mantenere e potenzialmente rafforzare i legami”. Nessun interesse dalla low cost norvegese Norwegian Airlines e da Iag (British Airways e Iberia).
Chissà per quale ragione, da questa maionese impazzita, da questi evidenti voli di avvoltoi su quel che resta della compagnia, il ministro dei Trasporti Graziano Delrio ha bonariamente ritenuto di poter desumere che “Alitalia tutta intera è un asset interessante. Ho sempre detto che credo si troverà una soluzione a questa crisi industriale”.
Misteri della fede elettorale. È interessante sì, l’asset Alitalia intero, ma con metà del personale. Quel che potrebbe voler fare Ethiad se la lasciassero comandare: cosa che la liberista Europa dei 28 non vuol fare. Già: infatti per legge europea un azionista extracomunitario, pur volendo finanziare al 100% un’impresa di aerotrasporto europea, non può farlo. Da Bruxelles si apprende, per mezze parole smozzicate, che la Commissione starebbe pensando a un capolavoro di burocrazia demente: pur non toccando il tetto del 49% per le compagnie non europee nell’aerotrasporto, verranno diramate nuove linee guida per dare un’interpretazione della regola che potrebbe aprire la strada a un ammorbidimento di fatto di quella soglia. Le linee guida su proprietà e controllo infatti indicheranno come calcolare appunto il controllo, basandosi sui legami finanziari e commerciali tra gli investitori non comunitari e la compagnia aerea. Una specie di norma “ad compagniam”, fatta apposta per Etihad, per buggerarla un’altra volta, motivandola a riaprire i cordoni della Borsa (gli Emirati hanno tanti soldi e possono ben buttarli via, in fondo li hanno guadagnati coi facilissimi petrodollari, sembra essere il retropensiero degli eurocrati) senza neanche darle lo sfizio di comandare sul serio in casa Alitalia e magari, chissà, salvando qualche poltrona al pifferaio degli arabi in Italia, Luca di Montezemolo, quello che li ha fatti investire sia in Alitalia che in Unicredit, dove pure si sono rotti le ossa.
Vito Riggio, l’esperto presidente dell’Enac, non a caso ha commentato, con un tasso di sincerità un po’ più spiccato (non deve essere rieletto): “Magari ci fosse una grande compagnia europea che vuole prendere Alitalia, ma penso che, europea o no, ci vuole un rilancio forte”, eufemismo per non dire che ci vorrà una ristrutturazione selvaggia.
Comunque, niente di strano: Alitalia tutta intera e così com’è, è ingestibile. La si potrebbe ovviamente risanare, ma con un impatto occupazionale devastante che nessun potere politico ha il coraggio di consentire. E dunque si lascia scuocere la situazione finanziando l’agonia con soldi pubblici – la trasfusione dei 600 milioni che il governo ha avuto il coraggio di definire “prestito”, come se potessero mai rientrare. Sperando che prima o poi sia qualche norma europea a rendere inevitabile l’epilogo, in modo che le forze politiche italiane possano lavarsi le mani dalle responsabilità. L’importante è che lo storytelling governativo, falsamente buonista, possa resistere fino al voto.