Cosa ci hanno lasciato in eredità le elezioni presidenziali Usa dello scorso novembre, a parte lo shock globale per la vittoria di Donald Trump? Il giallo relativo all’attività dei fantomatici hacker russi, il quale ha aperto la porta a un inquietante interrogativo: si possono manipolare, influenzare e addirittura eterodirigere gli appuntamenti elettorali di un Paese? A livello ufficiale, nonostante inchieste in corso e prove inoppugnabili più volte promesse e mai presentate, non c’è una singola evidenza che pirati informatici al soldo del Cremlino abbiano volutamente danneggiato Hillary Clinton, ma il sospetto continua ad aleggiare, in questo caso tutto in chiave di discredito verso Trump e, addirittura, per sostanziare un suo possibile impeachment. Ma pensate davvero che sia necessario avere un esercito di hacker per direzionare un voto? Vi assicuro di no e vi stupirò dicendo che un processo di direzionamento del voto è in atto, proprio in questi ultime settimane, sia in Gran Bretagna, dove si andrà alle urne domani per le politiche, sia in Italia, dove invece domenica saranno 10 milioni gli elettori chiamati al voto per le amministrative. E, tranquilli, è tutto legale. 



Partiamo dal Regno Unito. Quando il 18 di aprile Theresa May ha stupito tutti, indicendo elezioni anticipate e motivando la scelta con la necessità di un governo forte e legittimato per gestire il Brexit, i Tories avevano 22 punti percentuali di vantaggio sul Labour: praticamente, una vittoria annunciata. E in carrozza. Ieri, l’ultimo sondaggio YouGov, parlava di un solo punto di vantaggio per i Conservatori: tutto aperto, tutto in discussione. Interessante, in tal senso, è però rivedere un paio di dati relativi al 26 maggio, ovvero quattro giorni dopo l’attentato alla Manchester Arena: in quel caso, i Tories erano avanti di 5 punti sul Labour, ma, cosa più importante, a domanda diretta, gli interpellati mettevano in fila le tre priorità a loro avviso più importanti: Brexit, sanità e immigrazione. Il terrorismo? Quinto, dopo l’occupazione. Eppure la ferita di Manchester non solo era ancora aperta. ma sanguinava copiosa. Ma si sa, un popolo che per 30 anni ha convissuto con le bombe dell’Ira, di cui ancora conserva il ricordo, non si fa abbattere o spaventare facilmente. Eppure, qualcosa è cambiato. Non nella gente, ma nei media e nella politica: il terrorismo è stato spinto a forza nella campagna elettorale e Theresa May, con scelta suicida, ha deciso non solo di accettare la sfida, ma di attaccare per prima. 

È un processo di induzione, quello in atto. Cosa sta rinfacciando, infatti, il leader laburista, Jeremy Corbyn, alla premier, arrivando al paradosso di chiederne le dimissioni a tre giorni dal voto? Che durante i suoi sei anni da ministro dell’Interno ha dato vita a una politica di tagli draconiani nella polizia, indebolendo i sistemi di difesa della società. E questo, a detta dei demoscopi, ha garantito al Labour di arrivare appaiato al giorno del voto. Ma se è così, perché durante quei sei anni di tagli, il Labour non solo è stato zitto, ma è anche sempre rimasto distaccato di 20 punti percentuali? Prima c’era Ed Miliband alla guida del partito, poi è subentrato il rosso Corbyn, ma la gente non se li filava affatto: David Cameron ha potuto fare un errore dopo l’altro, c’è voluto lo shock della vittoria del Brexit per farlo cadere. Eppure il terrorismo non è nato nelle ultime otto settimane, c’è da qualche anno e Londra già nel 2005 ha pagato un prezzo molto alto: nessuno ha chiesto la testa della May, mentre lei tagliava quella dei poliziotti. Oggi è l’unico argomento di cui si parla. E questo è ciò che si voleva ottenere: allontanare il Brexit dal dibattito e far entrate la irrazionalità da panico nella disputa elettorale, spianando la strada a uno come Corbyn che in gioventù era anche simpatizzante delle ragioni dell’Ira. 

Vogliamo parlare poi dell’interferenza continua e costante degli Stati Uniti nella campagna elettorale britannica, proprio con la scusa del terrorismo? Prima gli spoiler dei media Usa che hanno bruciato le indagini degli inquirenti, fornendo particolari sull’attentato e l’identità dell’attentatore, poi la polemica rovente di queste ore tra Donald Trump e il sindaco di Londra, Sadiq Khan, relativamente ala necessità di chiudere con l’approccio buonista verso certi argomenti. Una polemica quasi da incidente diplomatico, tanto che il primo cittadino londinese – di origine pachistana – ha chiesto al governo di annullare la visita del presidente Usa in Gran Bretagna prevista nei prossimi mesi (non è ancora stata annunciata una data precisa), incassando però il “no” secco del ministro degli Esteri, Boris Johnson. Tutto questo non significa interferire sul voto? Ovvio che non si può fermare il mondo in campagna elettorale e che quanto accade all’estero può influire, ma una cosa è registrare gli avvenimenti e “tagliarli” su misura del voto e un’altra è direzionare la discussione il più possibile lontano dall’argomento più sgradito, il Brexit, focalizzando su quanto di più gradito, l’emergenza terrorismo. Che, guarda caso, vede la premier britannica in netta difficoltà e Corbyn in grado di compiere il colpaccio. E, come si sa, sul Brexit il leader laburista è molto tiepido, al limite dell’apertura al ripensamento. 

E veniamo ora all’Italia, dove stiamo per approciarci alle amministrative meno sponsorizzate e sentite forse di sempre. Il Pd punta a limitare i danni e già guarda al bersaglio grosso, la campagna estiva in vista del voto anticipato di settembre/ottobre. Quanti problemi ha questo Paese? Tanti, tantissimi. Eppure, guarda che notizie elettorali che saltano fuori. Ieri il bollettino mensile dell’Istat relativo al mese di maggio parlava di disoccupazione che frena, consumi che crescono e settore dei servizi che traina il Prodotto interno lordo. Per l’istituto di statistica, si tratta di «un’economia italiana che accelera». Una conferma di quanto già emerso nei giorni scorsi dai dati, superiori alle attese, su occupazione e Pil, cioè che la ripresa si sta irrobustendo e portando un po’ più vicina al ritmo dei nostri partner europei. In un quadro internazionale che vede l’economia americana rallentare e l’area euro consolidare la crescita, le indicazioni più positive per il nostro Paese vengono proprio da Pil e occupazione. 

Nel primo trimestre dell’anno, ricorda l’Istat, il Prodotto interno lordo è cresciuto dello 0,4% , più delle stime iniziali e un decimo in più rispetto all’ultimo periodo del 2016. A sostenere l’aumento sono stati soprattutto la vivacità del settore dei servizi (+0,6% nel trimestre) e i consumi delle famiglie (+0,5%), visto che gli investimenti sono scesi dello 0,9%, primo dato negativo dal 2014. Consumi su cui può aver impattato anche la ripresa dell’occupazione: ad aprile 94 mila italiani in più sono risultati al lavoro (+0,4% su marzo), con un tasso di disoccupazione sceso all’11,1%, ai minimi dal 2012. Insomma, si va. Peccato che non vi abbiano comunicato con altrettanta solerzia e visibilità il fatto che quel dato in revisione positiva è per la gran parte dovuto a una serie di anomalie statistiche che potrebbero portare lo stesso a sgonfiarsi nel secondo trimestre. I vasi comunicanti della propaganda. 

L’Istat tira la volata al governo? O, magari, al Pd in vista di amministrative e soprattutto politiche? Non sarebbe la prima volta che l’istituto di statistica ci offre letture elettorali dell’economia, anzi. Ma la questione è altra: perché andare al voto anticipato, proprio in periodo di preparazione del Def, con la questione bancaria in pieno svolgimento e con gli occhi della Commissione Ue addosso, se oltretutto l’economia migliora? Perché sì, perché serve il grande reset politico europeo per le riforme: e senza un campione come l’Italia, sarebbe un reset monco. E forse anche zoppo. Ecco, quindi, che la sindrome inglese da panico sbarca in Italia, questa volta veramente in ossequio al principio di post-verità: il dibattito sul terrorismo è entrata in campagna elettorale senza nemmeno bisogno di un attentato. È bastata la psicosi collettiva che ha portato agli incidenti di Piazza San Carlo a Torino e, oplà, non si parla d’altro. E se il dibattito fosse limitato alla vexata quaestio delle bottiglie di vetro nelle manifestazioni pubbliche andrebbe anche bene, ma quando il ministro dell’Interno lo fa diventare argomento di strategia anti-terrorismo per l’estate, visto che si terranno 1700 eventi all’aperto, capite da soli che è l’atmosfera plumbea della notte di Tower Bridge a calare il suo velo sulle nostre urne, quelle di domenica e quelle dell’autunno. 

Oggi, poi, la ciliegina sulla torta con la scoperta che proprio uno dei tre attentatori di Londra era stato fermato all’aeroporto di Bologna – città dove risiede la madre, tornata in Italia dopo il divorzio – il 15 marzo dello scorso anno, mentre tentava di raggiungere la Siria per unirsi all’Isis. Agli agenti aveva detto con disarmante onestà: «Vado a fare il terrorista». Oplà, nonostante si tratti di elezioni amministrative, ovvero la scelta di chi guiderà il comune e deciderà su parcheggi, viabilità e raccolta differenziata, l’Italia andrà alle urne con il terrorismo e la sua psicosi come unica priorità, esattamente come la Gran Bretagna. Non sono elezioni eterodirette ed eterodirezionate da media, politica estera e alcune centrali della destabilizzazione, queste? E attenti, perché questo grafico ci dice che il bailamme in atto sta silenziando qualcosa di molto pericoloso per noi, soprattutto in vista del salto nel buio delle elezioni anticipate: Banco Popular, il sesto gruppo bancario spagnolo, è in crisi. Crisi davvero seria, dopo che la necessità di un corposo aumento di capitale la scorsa settimana ha fatto perdere al titolo il 36%, portando l’azione a 0,36 euro e la capitalizzazione di mercato a 1,7 miliardi: solo tre settimane prima, era quasi il doppio. E il braccio regolatorio della Bce, il Single Supervisoty Mechanism, ha già detto che se non trova un compratore, il rischio del fallimento è molto alto. 

Non è una banca sistemica come Santander, ma è l’istituto più diffuso tra le piccole e medie imprese, molto legato all’Opus Dei. Avete idea cosa succederebbe al nostro spread e al destino delle banche venete, oltre a Mps, se per caso la crisi di Banco Popular andasse fuori controllo in estate? Proprio prima dello sciagurato voto anticipato, oltretutto. Ma chi di dovere ci ha anestetizzato con la psicosi da terrorismo, così un eventuale bail-in o contributo di solidarietà farà meno paura. Sveglia.