Se il confronto appare altrettanto schiacciante, la soluzione-lampo messa in atto in Spagna per la crisi del Banco Popular, comprato a 1 euro dal colosso Banco de Santander, che l’ha salvato da 8 miliardi di ammanchi e da liquidazione certa, non è paragonabile al “cappotto” inflitto dal Real Madrid alla Juventus. Non lo è perché nello sport la differenza di forza e di classe è stata vista a occhio nudo da milioni di spettatori, mentre nel settore del credito bisogna aguzzare gli occhi e rifarsi alla memoria, risalendo a quel nefasto 2012 in cui mentre la Spagna negoziava e otteneva con l’Unione europea 40 miliardi di fondi pubblici per prosciugare le sofferenze bancarie che in quel momento stavano già fiaccando il suo sistema creditizio, in Italia l’ex commissario europeo alla concorrenza Mario Monti – per dire: uno che ci capiva, e doveva capirci – divenuto presidente del consiglio “di salvataggio” dopo l’implosione dell’ultimo governo Berlusconi, non ebbe il coraggio politico o la visione economica di chiedere a Bruxelles lo stesso genere di autorizzazione, come se le nostre banche non ne avessero bisogno.
Effettivamente all’epoca sembrava proprio che non ne avessero, se pensiamo che la Banca popolare di Vicenza – oggi sull’orlo del crac, con la consorella Veneto Banca – ancora tre anni dopo veniva richiesta dalla Vigilanza della Banca d’Italia (ma cosa vigilava? Cosa capiva?) di intervenire a rilevare la pre-fallimentare Banca Etruria: ma in realtà le magagne c’erano eccome, e prudente logica avrebbe dovuto prescrivere a Monti di premunirsi comunque una facoltà, l’intervento pubblico nel credito, che altri Paesi avevano negoziato e ottenuto con Bruxelles tra il 2009 e appunto il 2012.
Chiusasi quella finestra di opportunità politico-economica, l’Italia si è ritrovata senza rete ed è appunto oggi ciò di cui invece avrebbe bisogno per non rimetterci miliardi e miliardi sia in termini di soldi pubblici ormai già persi (ora vedremo perché), sia in termini di economia reale.
La Vicentina e la Veneto stanno ancora in piedi pur avendo perso il 25% abbondante dei depositi dei loro clienti senza aver risparmiato un solo euro di costi generali e quindi perdendo un sacco di soldi nella gestione ordinaria, oltre ad avere un “buco” di circa 7 miliardi tra tutte e due sul fronte delle sofferenze. Come hanno fatto a non andare ancora in crisi di liquidità? Perché hanno emesso 10 miliardi di obbligazioni garantite dallo Stato! Per cui se falliranno e non potranno rimborsarle, sarà lo Stato a pagare. Quindi la paranoica decisione europea, per cui lo Stato oggi non può intervenire nelle due banche se prima non si trova un privato che ci mette un miliardo, nega l’evidenza, che cioè lo Stato è già intervenuto e che semmai, se sarà autorizzato a mettere i 7 miliardi che servono, darà semplicemente a se stesso, con una mano, ciò che potrà riprendersi con l’altra, avendolo già dato sotto altre forme!
È lecito insomma definire il dramma veneto come un dramma burocratico prima ancora che politico. Ma tant’è: sempre di dramma si tratta. Lo si comprende bene dal tono misurato e concreto, ma pressante, con cui il presidente della Camera di commercio di Vicenza Paolo Mariani si è rivolto con una lettera al presidente del Consiglio Gentiloni: in caso di bail-in o di liquidazione delle due ex banche popolari, è il succo della lettera inviata il 5 giugno 2017, a pagare sarebbero le imprese e le famiglie del territorio veneto, con “pesantissimi contraccolpi” in termini economici e sociali. “Da una recente indagine sul mercato del credito è risultato – scrive Mariani – che la Banca Popolare di Vicenza copre il 14,1% dei fidi a breve, mentre Veneto Banca ha il 3,9%. Se considerati nel loro insieme, quindi, i due istituti di credito assommano il 18% totale dei fidi a breve per il settore produttivo vicentino, costituendo così sostanzialmente la prima banca del nostro territorio. Infatti, complessivamente le due banche erogano in provincia di Vicenza più di 5 miliardi di euro di impieghi. Al momento le altre banche stanno facendo da parziale cuscinetto, ma si sta facendo strada nelle imprese la convinzione che gli scenari peggiori (bail in o liquidazione) non siano più così improbabili. Questo porta a togliere fiducia alle due banche, spostando la liquidità verso altri istituti e riducendo i fidi. Se al più presto non verrà definitivamente tracciato un percorso di salvataggio esse rischiano di implodere spontaneamente. (…) Le conseguenze potrebbero essere molto pesanti per quelle imprese del territorio dove Popolare di Vicenza e Veneto Banca rappresentano di gran lunga il più importante partner bancario, situazione abbastanza diffusa visto lo storico radicamento in zona di questi istituti. Queste aziende potrebbero davvero trovarsi in seria difficoltà nella sostituzione dei fidi. È chiaro che dal lato fidi/mutui la situazione con impatto più drammatico sarebbe quella della messa in liquidazione di una o di tutte e due le banche; il bail in invece andrebbe a toccare gli obbligazionisti o i depositanti, ma garantirebbe continuità operativa. (…) Non credo che l’economia e le famiglie vicentine siano in grado di assorbire senza pesantissimi contraccolpi un bail in o una liquidazione di queste banche: potrebbe risultarne compromessa la vitalità imprenditoriale e la ricchezza sociale della nostra area. Auspico pertanto che il Governo intervenga per definire una soluzione in tempi molto rapidi alla grave situazione che si è determinata, affinché si giunga ad una positiva conclusione dell’iter di autorizzazione alla ricapitalizzazione precauzionale”.
In definitiva, di fronte a tante evidenze, perché il governo non interviene erogando i miliardi stanziati il 21 dicembre per coprire i buchi delle due banche venete? Non interviene perché quel decreto subordina l’erogazione dei fondi all’ok europeo. Erogarli senza l’ok sarebbe assurdo, perché lo Stato violerebbe una propria stessa norma. Sarebbe stato invece possibile scrivere un decreto senza quella norma, contro il quale l’Europa avrebbe poi potuto schierarsi anche aprendo una procedura d’infrazione contro l’Italia, ma sarebbe stata l’ennesima – la 64° contemporanea -, ma senza nuovi danni alla nostra già azzerata credibilità e senza nel frattempo costringerci a non applicare la norma contestata!
Errori su errori. E il cumulo prima o poi lo pagheremo tutti noi cittadini contribuenti.