Sui siti l’annuncio continua a rimbalzare: le Poste Italiane assumono portalettere stagionali per estate 2017. Recruiting rivolto a diplomati (con voto minimo) senza limiti di età, meglio se giovani. Tre mesi a tempo determinato con possibilità di rinnovo. Premessa e conclusione: per un giovane ingegnere disoccupato italiano che trova uno stipendio per tre mesi come postino va bene, benissimo. Ed è giustificabile che una società affidataria del sevizio pubblico di recapito universale in Italia fino al 2026, includa negli accordi anche un piano assunzioni di portalettere (il piano complessivo fra 2015 e 2020 è di 8mila unità). Il post-scrptum, tuttavia, non è altrettanto breve.
Primo: si torna a leggere in evidenza “le Poste assumono postini” per luglio, agosto e settembre quando sugli stessi siti si legge che il partito di governo vorrebbe tenere il voto politico anticipato il 24 settembre. E ciò quando il controllo delle Poste resta saldamente del Tesoro, cioé del governo in carica. Sono passati più di trent’anni da quando Remo Gaspari regnava sull’apposito ministero delle Poste e telecomunicazioni (ne era entrato come sottosegretario nel 1960 e ne fu per l’ultima volta ministro nel 1983). Ma evidentemente poco è cambiato da quando il leggendario ras della Dc abruzzese faceva assumere postini ogni mese di ogni anno, naturalmente di più sotto elezioni.
Oggi – ed è l’inizio di una seconda considerazione – le Poste non sono più un’azienda pubblica: ma una società quotata in Borsa, in un mercato che si va liberalizzando e globalizzando. E il governo – qualsiasi governo – non può più pensare di scaricare su un’azienda privata propri costi politico-elettorali. Le assunzioni di postini, fra l’altro, non sono neppure il sintomo peggiore della facilità corrente del conflitto d’interesse verso le Poste. Nessuno ha dimenticato che due anni fa, tre mesi dopo il collocamento del 29,9% delle Poste sul mercato, Palazzo Chigi ventilò di usarle per il salvataggio di Mps. Il titolo – offerto a grandi fondi e piccoli risparmiatori a 6,75 euro – aveva toccato un massimo di 7,1 prima di crollare a 5,2.
A proposito: nei giorni scorsi sui media ha preso a circolare la voce che Poste potrebbe essere utilizzata nel salvataggio delle Popolare venete in dissesto: inevitabile un ennesimo contraccolpo negativo sul titolo; cioè una perdita inflitta dalla politica a tutti: al patrimonio pubblico e ai piccoli e grandi investitori privati. Senza dimenticare che l’ultimo ballon d’essai sulle Popolari è stato lanciato direttamente dal nuovo presidente Bianca Farina: collocata al vertice delle Poste nell’ultima tornata di nomine, giudicata in stile Prima Repubblica dalla maggioranza degli osservatori (dalle Poste è stato allontanato Francesco Caio). E pensare che il Tesoro aveva messo in agenda la definitiva privatizzazione dell gruppo già entro il 2016, con un’operazione che avrebbe potuto sostenere conti pubblici e taglia-debito: ma i brontolì dei sindacati dei 140mila “portalettere” hanno consigliato al governo di rinviare.
Da ultimo: oggi le Poste sono essenzialmente una banca, non più una “azienda di portalettere”. Lo dicono le Poste stesse, nella e massiccia campagna di pubblicità televisiva. Dove tornano a giocare in chiave competitiva sulla garanzia statale su alcune forme di deposito postale rispetto ai depositi bancari, ormai insicuri in più di una banca. Con il Bancoposta i diplomati e i laureati c’entrano eccome: per sviluppare un grande gruppo di servizi finanziari per le famiglie italiane, per renderlo profittevole e collocare al meglio sui mercati le prossime tranche c’è bisogno di giovani svegli e preparati. Di ingegneri digitali, di laureati in economia, eccetera. Non c’è bisogno di laureati-portalettere per una sola estate. Un tanto al voto.