Quella di ieri è stata la giornata delle coincidenze. Sempre che vogliate credere al fatto che le cose capitino senza un’agenda precisa e un’altrettanto precisa regia. Prima coincidenza: mentre era in corso un voto a scrutinio segreto sulla legge elettorale, il che presupponeva un tabellone con tutti puntini blu, per un guasto tecnico magicamente abbiamo visto chi sono stati i franchi tiratori che hanno mandato sotto il “gruppo dei 4” su un emendamento relativo ai criteri di voto in Trentino-Alto Adige, presentato dalla deputata di Forza Italia, Micaela Biancofiore. Risultato? il caos più totale, feroce scambio di accuse tra Pd e M5S e, di fatto, il forte rischio che l’accordo sul modello tedesco, il quale avrebbe dovuto portarci al voto in autunno, salti. Di fatto, dibattito sulla nuova legge rimandato a dopo la pausa estiva e legislatura che andrà a scadenza naturale, ovvero febbraio 2018. Chi ha reso possibile tutto questo, nell’arco di 36 ore? Le parole dell’ex presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano e la disattenzione di Mario Draghi, il quale mercoledì mattina si è scordato di schiacciare il bottone della pressa per Bankitalia, facendo salire il nostro spread oltre la soglia psicologica dei 200 punti base sul Bund. Detto fatto, ieri all’ora di pranzo, quando alla Camera la seduta era stata sospesa per permettere alle segreterie dei partiti di confrontarsi sul da fare, lo stesso spread era in calo del 3,4% a quota 194: urne allontanate, differenziale in calo. 



Non a caso, prima ancora che qualcuno provasse a rianimarla, l’esponente del Pd, Emanuele Fiano, relatore della legge, recitava il de profundis: «La legge elettorale è morta». Solo Matteo Salvini, nel suo tipico stile, tentava il blitz: «Dimissioni di Gentiloni, decreto per la nuova legge elettorale uguale per Camera e Senato e subito al voto». Vana speranza, dovrà girare con ruspe e felpe per tutta Italia ancora per un po’. Quasi certamente, fino a primavera. E la Borsa di Milano? Guardate il grafico: apertura negativa, poi andamento piatto. Ma alle 11:12 comincia lo psicodramma alla Camera e, magicamente, alle 11:33 comincia la risalita dell’indice Ftse Mib, il quale a metà giornata di contrattazioni si assestava addirittura a +1,4%. Il traino? Le banche. E cosa significa questo? Che il sistema brindava al combinato disposto di eliminazione del rischio di voto anticipato e prospettive inflazionistiche meno rosee dl previsto da parte della Bce, quindi stimolo monetario che può e deve andare avanti. Insomma, un serie infinita di coincidenze. 



Cosa significa, forse che Giorgio Napolitano muove i poteri forti? No, solo che li conosce. E il suo aver parlato ha avuto un timing preciso, quello che può creare lo spartiacque tra un’estate torrida e una da incendio. Vedremo se, adesso, prevarrà il buonsenso o la pars destruens del Paese. Il tutto, poi, a corredo e come carico da novanta di quella che sui mercati era già stata denominata come la giornata della “tripla T”, ovvero Triple Threat Thursday, il giovedì della tripla minaccia: audizione del capo dell’FBI, James Comey, sul Russigate, riunione del board della Bce ed elezioni legislative nel Regno Unito. 



Ah già, la tanto attesa riunione del board dell’Eurotower, cosa ha partorito? In prima istanza, l’ennesimo compromesso perfetto, basti notare (nel grafico più in basso) il movimento flip-flop dell’euro, prima su e subito dopo in grado di rimangiarsi tutti i guadagni, una volta reso noto il comunicato stampa. Cosa c’era di tanto confuso da innescare una reazione simile? Una questione apparentemente nominalistica e di lana caprina, ma che, nel perverso mondo dei traders, ha invece un’importanza sostanziale: si tratta della frase del comunicato relativa ai tassi di interesse. Quella contenuta nel comunicato di ieri era identica a quella del 27 aprile scorso, salvo una differenza: è stata eliminata la dizione “o inferiori” con riferimento alla politica sul costo del denaro. Insomma, ieri la frase era questa: «La politica chiave dei tassi di interesse Bce resterà ai livelli presenti per un periodo esteso di tempo, ben oltre l’orizzonte del programma di acquisto netto di assets”. Non c’è più livelli presenti o inferiori: indi Draghi dice chiaro e tondo che più in basso di così non si va, non si può andare. Quindi, chi sognava il paradiso del tasso negativo, se non il nirvana dell’helicopter money, si metta l’animo in pace. 

Messaggio da falco, quindi. No, perché la cosa può essere letta anche in altro modo: ovvero, non si scende, ma tranquilli che nemmeno si sale, perché la politica attuale resterà ben oltre l’orizzonte di durata del Qe. Già, il Qe. Lo si cambia? Eccome! Cosa vi avevo detto la scorsa settimana che dalla riunione di ieri a Tallin c’era obbligatoriamente da aspettarsi qualcosa di importante? E, infatti, nel corso della conferenza stampa, Mario Draghi ha messo a tacere il presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, che vorrebbe l’inizio del tapering con l’arrivo del 2018: «Il Qe dovrebbe durare per tutto il 2018 e anche per l’intero 2019». Di certo, quindi, le elezioni italiane si terranno con i titoli di Stato sotto la protezione della Bce e non ci sarà quindi l’impennata dello spread alla vigilia del voto: il quale, al netto del caos di ieri alla Camera, potrà svolgersi la prossima primavera in condizioni normali, almeno sul fronte finanziario. 

«Non abbiamo votato, ma non ho sentito voci dissenzienti», ha risposto beffardo e con tono di sfida Draghi a chi gli chiedeva se il direttivo Bce avesse approvato all’unanimità le misure. E cos’ha consentito questa svolta epocale, questo schiaffo alla Germania? Un’altra combinazione. Guarda caso, dopo mesi di inflazione in continuo aumento e dopo che lo stesso Draghi, un mese fa all’università di Tel Aviv, aveva detto che «la crisi dell’eurozona era ormai alle spalle» e che «la ripresa era solida», le stime di inflazione sono state riviste al ribasso! Quest’anno è vista all’1,5% dal precedente 1,7%, nel 2018 sarà solo dell’1,3% invece dell’1,6%, nel 2019 dell’1,6% invece dell’1,7%. Et voilà, Qe salvo e prolungato, banche che festeggiano e mercati che stappano champagne. E, somma delle coincidenza, questo cortocircuito causa-effetto che ha permesso di comunicare la lieta novella del Qe in eterno è servito anche ad altro. Ovvero, a nascondere e depotenziare il salvataggio di Banco Popular da parte del governo spagnolo, il quale ha convinto Santander a salvare la banca, di cui vi avevo parlato l’altro giorno. Un successo, insomma. Ma, allo stesso tempo, un fatto che ha mostrato la pericolosità delle risoluzioni Ue e ha rappresentato il più rilevante malfunzionamento della supervisione Bce dalla sua nascita nel novembre 2014. 

Banco Popular ha infatti superato indenne tutti gli appuntamenti di vigilanza: l’asset quality review e lo stress test del 2014, i requisiti Srep degli anni successivi, le ispezioni ordinarie e da ultimo lo stress test del luglio 2016. Peccato che a meno di un anno di distanza dall’ultima prova, la banca sia entrata in crisi di liquidità e sia stata messa in risoluzione, con svalutazioni totali per 300mila azionisti e per i creditori subordinati. Una gran bella tosata, roba da mal di testa. E soltanto la presenza di Santander ha evitato perdite ancora maggiori per i risparmiatori. Coincidenza, tutto questo accade mentre il fantasma del bail-in aleggia su Mps e sulle due banche venete in crisi. 

Signori, bando alle coincidenze: quanto accaduto alla Camera e quanto accaduto a Francoforte sono legati: il reset europeo può aspettare, col voto anticipato l’Italia probabilmente non sarebbe sopravvissuta all’estate e Mario Draghi ieri l’ha letteralmente salvata. Ma non gratuitamente, a pagare il prezzo di quel favore sarà il nostro sistema bancario. Leggi, obbligazionisti e creditori. Ancora una volta. Spero che questo serva a farvi capire quale sia il reale stato del nostro Paese a livello di conti pubblici, sostenibilità del debito, sistemicità del sistema bancario e rischio Paese. Magari, ora, è giunto il momento di dire basta ad avventurismi, fughe in avanti e lotte di potere per ego troppo ipertrofici. Ripeto, ieri Mario Draghi ha di nuovo salvato l’Italia. Non potrà farlo per sempre, però.