Sebbene i mesi di luglio e agosto costituiscano periodi di relativa calma politico sindacale, e la stagione autunnale registri un sostanziale ritorno all’attività, la questione di Alitalia pare costituire un’eccezione alla regola visto che il caso stesso costituisce di per sé un paradosso ormai da anni, essendo l’ex compagnia di bandiera l’unica nel suo settore a non aver mai operato bilanci positivi nonostante l’aviazione commerciale goda, specialmente a causa del calo del prezzo del petrolio, di una situazione estremamente favorevole.
Alitalia però ha il difetto di operare in un Paese dove non solo non si è mai saputo creare un sistema affine ai suoi interessi, ma dove politica, una certa imprenditoria e sindacato hanno in pratica privilegiato quelli loro. Gli esempi abbondano e spiegano in gran parte come l’Italia non sappia più emergere economicamente, relegata a un ruolo di comprimaria, dove si opera spesso al di fuori delle leggi anche con l’avvallo delle istituzioni che dovrebbero farle rispettare: politici e sindacati ufficiali in primis.
La settimana scorsa si è levata una voce autorevole in questo senso: quella di Papa Francesco che in un suo discorso al Congresso Nazionale della Cisl ha aspramente criticato non solo le attuali problematiche del mondo del lavoro, ma anche i suoi responsabili. Per questo la sua voce è stata recepita dai lavoratori di Alitalia, vittime di una crisi della quale non hanno colpe, fatto per cui circa 600 di loro, appartenenti a una formazione sindacale di recente presenza nel settore, la Confael-Assovolo, hanno deciso di scrivergli. Ecco il testo della missiva indirizzata al Santo Padre:
Santità,
Le scrive un gruppo di lavoratori di Alitalia.
La sua voce si è levata spesso, anche recentemente, con la consueta autorevole pacatezza in difesa dei lavoratori, dei disoccupati, dei giovani, nella richiesta di rimettere al centro dell’attività economica l’uomo, ingiustamente relegato dal capitale ad un ruolo di mero fattore di produzione. Parallelamente le Sue parole hanno costituito uno stimolo alle organizzazioni sindacali e politiche tutte, che di questa logica economica spesso si sono fatte strumento, dimenticando o peggio allontanandosi volontariamente dai ruoli e dalle funzioni che dovrebbero rappresentare nobilmente: la difesa dei diritti, la lotta alla corruzione, alla disoccupazione, alle diseguaglianze sociali.
In Alitalia stiamo vivendo il terzo fallimento in meno di dieci anni. Un fallimento ancora più anomalo dei precedenti, decretato tenendo nascosti i conti aziendali all’opinione pubblica ed ai lavoratori, chiamati solo a ratificare l’ulteriore piano di sacrifici, di licenziamenti e di ridimensionamento dell’azienda. Ratifica che non c’è stata, grazie all’affermazione del no al referendum interno del 24 aprile, avvenuta contro gli auspici di manager aziendali, sindacati e governo.
Queste stesse forze continuano a lavorare – in completa assenza di trasparenza – alla vendita di Alitalia a qualche operatore straniero, privando così l’Italia della propria compagnia aerea di bandiera: uno dei paesi più belli del mondo, con la più alta concentrazione di beni artistici e culturali del pianeta, potrà essere visitato dagli stranieri solo in quelle destinazioni che il proprietario della compagnia riterrà profittevoli, mentre il resto del paese scivolerà ai margini dei circuiti turistici mondiali. il nostro tricolore rimarrà ancora sulla coda degli aerei, ma di fatto l’Italia non avrà più nessuna voce in capitolo nella gestione delle tratte operate da Alitalia: tutte le decisioni saranno prese all’estero, nell’interesse di soggetti stranieri e di paesi concorrenti del nostro.
Come se non bastasse, la vendita sarà il prologo ad ulteriori espulsioni di migliaia di addetti del settore: ancora licenziamenti in un’azienda che ha perso più di 20.000 posti di lavoro in un decennio, senza che ciò bastasse a riportarla all’utile.
Ma c’è di più: da anni la politica Italiana in generale favorisce apertamente alcuni vettori lowcost che spesso operano eludendo le leggi sul lavoro e pure quelle fiscali Italiane con il miraggio di prezzi bassi che nascondono non solo uno sfruttamento sul lavoro dei propri dipendenti ma pure, attraverso la creazione di società di servizi che operano coperte da illeciti contratti secretati, fatti che passano inosservati per favorire qualche politico o interessi finanziari di turno.Per l’ingordigia di qualche grande gruppo economico si riproporrà ancora una volta, in Alitalia, con l’avallo sindacale la tristissima alternativa tra licenziamenti e sopravvivenza aziendale, una scelta già vissuta in tante aziende nelle quali al ridimensionamento non è mai seguito il rilancio previsto. Si mandano a casa i lavoratori restringendo il perimetro aziendale privando l’azienda di esperienze e cultura del lavoro che si rivelano fondamentali per la stessa sopravvivenza dell’azienda.
Nelle Sue parole abbiamo trovato un forte sostegno, una nuova motivazione per opporci a questo disegno scellerato. Le chiediamo di non farci mai mancare la Sua voce, il calore del suo amore per il nostro paese e per la nostra compagnia aerea, in modo da sostenere la nostra speranza di poter portare ancora con orgoglio il tricolore in giro per il mondo.
Stiamo lottando da anni per far sì che il lavoratore torni ad essere una risorsa e non “materiale umano” scartabile a seconda degli umori di un “mercato” che ci relega con le sue regole verso una schiavitù sempre più evidente e che credevamo fosse solo un ricordo di un mondo che non vogliamo.
Una fotografia purtroppo che nella sua drammaticità descrive una situazione ormai comune non solo ai lavoratori di Alitalia. Ma di un Paese in cui, come giustamente suggerisce la frase finale del testo, il lavoratore è ormai puro “materiale umano”.