Torna in mente quel vecchio sketch di Ric e Gian — altri tempi, tv di Stato in bianco e nero! — in cui si racconta di quel bizzarro avventore che, al bar, chiede un cappuccino e una brioche; e al barista che gli risponde, dispiaciuto, che le brioche sono finite, replica: “Va bene, allora mi dia un caffè e una brioche”, e via di seguito, con il surreale ripetersi della richiesta delle indisponibili brioche, cambiando soltanto la bevanda di accompagnamento.
Torna in mente lo sketch, ma in questo caso non fa ridere, assistendo al contorcersi dei nostri poveri politici quando parlano di finanza pubblica italiana e regole europee.
Campione del mondo, Matteo Renzi. Già paladino — all’inizio del suo resistibile triennio a Palazzo Chigi — della tesi della sostenibilità vincente di quelle regole da parte del nostro Paese, ed oggi proteso all’impossibile inseguimento di un elettorato che non ha certezze salvo una, che cioè di questa Europa buona solo a negarci solidarietà sui migranti e ad incassare dall’Italia molti più soldi di quanti ce ne restituisce come fondi comunitari, ne ha veramente fin sopra ai capelli.
L’altro giorno Renzi, che aveva già denunciato l’insostenibilità del Fiscal compact per l’economia italiana — e con ragione! — ha rincarato la dose, affermando che l’obiettivo del nostro Paese dev’essere quello di poter mantenere il deficit al 2,9 per cento del Pil per cinque anni, in modo da rilanciare la crescita e abbattere finalmente il debito pubblico.
Apriti cielo: ieri, il presidente dell’Eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem, ha dichiarato che la proposta Renzi “sarebbe fuori dalle regole del quadro di bilancio” e ha aggiunto che “non è una decisione che un Paese può prendere da solo” perché “siamo all’interno di un’Unione monetaria”. Un tenore di replica da maestro elementare stufo di rispiegare per l’ennesima volta la tabellina del 2 all’allievo somaro.
In serata, a rincarare la dose, è intervenuto il commissario Ue Pierre Moscovici, responsabile del controllo sui bilanci nazionali, che ha ricordato che “l’Italia non può lamentarsi essendo il solo Paese che ha beneficiato di tutta la flessibilità del Patto” e che l’interesse italiano è “continuare a ridurre il deficit per ridurre il debito, che pesa sulle generazioni future”.
Per non parlare del “fuoco amico”: quello acceso dal delegato dell’Unione Europea nel governo italiano — o almeno così pare che sia —, ovvero il nostro ministro dell’Economia. Pier Carlo Padoan ha riconfermato il suo afflato nazionalista e la sua riconoscenza verso il premier che ha fatto di lui una star nominandolo — in verità, dietro diktat dell’allora presidente della Repubblica Giorgio Napoletano — ministro dell’Economia. Padoan, che stava ripetendo ai giornalisti le meraviglie dei nostri ultimi raffazzonati salvataggi bancari, ha dribblato le domande dei giornalisti sulla proposta Renzi limitandosi a borbottare che “è un tema della prossima legislatura” ed è andato via.
Quando a Renzi è stato riferito di questo fuoco di fila da Bruxelles, lui ha ribadito: “Quando arriveremo a discutere di questa soluzione in Europa non potranno che dire di sì. Ma è possibile che l’Europa ci dica cosa fare e poi non è in grado di mantenere gli impegni per i ricollocamenti dei rifugiati?”.
E bravo Matteo. Ha capito l’aria che tira e, con la stessa spavalda sicurezza che collaudò alla Ruota della fortuna, sfida sul loro terreno i professionisti dell’anti-europeismo a chiacchiere, Matteo Salvini e Beppe Grillo. Tutta gente che apre bocca e gli dà fiato, senza in realtà avere uno straccio di idea sul come trasformare questa protesta in azione diplomatica e/o economica per smarcare l’Italia, e con essa gli altri stati tartassati del Sud Europa, dall’angolo in cui si è cacciata da sola approvando il Fiscal compact e, ancor prima, approvando gli “stupidi” (copyright Romano Prodi) trattati di Maastricht.