Credo che la questione possa essere affrontata unicamente facendo appello a Ionesco e al teatro dell’assurdo: non so se ve ne siete accorti, ma in Italia, infatti, abbiamo due governi. Uno legittimamente in carica guidato da Paolo Gentiloni e con Pier Caro Padoan al timone della politica economica, l’altro – parallelo e non legittimato – sostanziabile in quella che gli americani chiamano one man band, un’orchestra di un sol uomo: Matteo Renzi. Il quale, da segretario del partito di maggioranza relativa, sta di fatto conducendo una battaglia senza precedenti contro l’Ue sulla politica economica italiana, bypassando bellamente i legittimi referenti istituzionali per Bruxelles. I quali, a parte i mugugni privati e lontani dalle telecamere, sembrano non aver nulla da ridire contro questo commissariamento de facto che è, soprattutto, uno scontro frontale con l’Unione. Il tutto, mentre i rapporti Roma-Bruxelles sono già su una china delicata per due questioni non da poco: migranti e salvataggi bancari. Oltre al capitolo storico dei conti, ovviamente.
Ricapitoliamo velocemente. Oggi esce nelle librerie il libro di Matteo Renzi, Avanti, del quale abbiamo avuto ampi stralci negli ultimi giorni. Il primo è quello che ha fatto deflagrare la questione accoglienza dentro il Pd, dopo quel mantra del “aiutiamoli a casa loro” troppo leghista per certi palati di sinistra. Anche qui, però, Paolo Gentiloni ha difeso il segretario e la sua posizione, ancorché ricorrendo alla stra-abusata categoria dell’interpretazione fuori contesto, perfetta per quando non si sa cosa dire. Sondaggi alla mano, con la stragrande maggioranza dei cittadini che sposa la linea Renzi sull’immigrazione, sembrava passata la bufera. Ed ecco, invece, che una provocazione economica contenuta nel libro e riguardante l’annosa questione dei parametri europei, diventa proposta ufficiale: portare l’indebitamento netto dell’Italia al 2,9% per cinque anni, al fine di mettere il turbo alla ripresa.
E già qui, l’imbarazzo europeo era palpabile: perché il segretario del partito di maggioranza scavalca bellamente i referenti ufficiali in seno al governo italiano, oltretutto con una proposta che alle orecchie di Bruxelles suona immediatamente provocatoria? Non a caso, dall’Ue è arrivato un fuoco di sbarramento: «È interesse dell’Italia continuare a ridurre il deficit per ridurre il debito pubblico che pesa sulle generazioni future e impedisce di investire: ogni euro per far fronte al debito è un euro in meno alla scuola, agli ospedali, all’economia», ha detto il commissario agli Affari economici, Pierre Moscovici, prima di entrare all’Eurogruppo di ieri, visibilmente imbarazzato. Molto più aspri i toni da parte del presidente dell’Eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem, con cui è in atto da tempo una disputa quasi a livello personale con Matteo Renzi, non senza colpi bassi da entrambe le parti: «Non ho letto l’intervista ma sarebbe fuori dalle regole. Non è una decisione che un Paese può prendere da solo». Immediata la replica dell’ex premier: «Questa è una battaglia aperta che abbiamo con il presidente dell’Eurogruppo, l’olandese che disse che gli italiani spendono i soldi della flessibilità per alcool e donne. Io gli spiegai che le donne noi non le paghiamo, a differenza di alcuni di loro. Il problema centrale è che c’è un pregiudizio di alcuni dirigenti europei, come il presidente dell’Eurogruppo, che non si rende conto che di fiscal compact e austerity l’Europa muore. La proposta di ritorno a Maastricht sarà sviluppata nella prossima legislatura e sarà pienamente compatibile con le regole dell’Ue, vedremo se a quel punto ci sarà ancora Dijsselbloem alla guida dell’Eurogruppo». E infine, «noi dobbiamo fare le battaglie perché la Germania rispetti le regole sul surplus commerciale, sulle banche tedesche ma non voglio dare ad altri responsabilità di cose che sono nostre».
Una reazione durissima, ma, più che altro, da primo ministro, tanto più che un portavoce del presidente della Commissione Ue si era premurato di spiegare come Jean Claude Juncker «ha un’ottima relazione con il primo ministro dell’Italia, Paolo Gentiloni, così come il commissario in carica per gli Affari economici e finanziari, Pierre Moscovici, con il ministro dell’economia, Pier Carlo Padoan. La Commissione non commenta i commenti di chi è fuori da questo circolo». Insomma, guerra totale fra il segretario del Pd e i più alti vertici europei sui nostri conti pubblici, con Gentiloni e Padoan gelati dall’imbarazzo: vi pare normale? Tanto più che, al netto dell’ennesimo “no” incassato ieri dal ministro Minnti alla riunione tecnica di Frontex per la regionalizzazione del programma Triton, un frontale con l’Ue proprio ora, in vista del Def d’autunno che sarà lacrime e sangue, appare oltre che un gesto politico irrituale, anche un mezzo suicidio politico da parte dell’ex premier.
A meno che non sia a conoscenza di qualcosa che noi non sappiamo. O che, altrimenti, non stia agendo da solo e per proprio conto, bensì con alle spalle Forza Italia e la galassia centrista in quello che, nel Regno Unito, chiamerebbero un shadow cabinet: insomma, la vera opposizione al governo Gentiloni, depurata da 5 Stelle, Lega e Fratelli d’Italia, sta già di fatto agendo come esecutivo e lo sta facendo non solo sullo ius soli, di fatto ormai a un passo dallo slittare per le incertezza di Alternativa Popolare, ma addirittura sul capitolo più caldo, i rapporti con l’Ue appunto. Ma come, proprio ora che la stessa Unione ha dato il via libera senza battere ciglio al “salvataggio” delle banche venete e anche lo scoglio parlamentare in tal senso è stato superato? Di più, proprio ora che l’Ecofin di ieri ha dato il via libera al “piano di azione” per smaltire le sofferenze bancarie principalmente con soluzioni nazionali, sulla base di criteri armonizzati?
L’obiettivo è creare un vero mercato secondario degli ormai celebri non performing loans (Npl), i crediti di difficile esigibilità, per permettere la formazione di prezzi prossimi o coincidenti con il valore economico dei prestiti deteriorati. I ministri finanziari hanno messo l’accento sulla necessità di maggiori controlli e monitoraggi per prevenire la formazione di nuove bolle di Npl, con regole cui dovranno conformarsi, in prospettiva, tutte le banche. Tra le varie azioni proposte, si chiede alla Commissione di sondare «la potenziale creazione di società nazionali per la gestione degli asset»: ovvero, bad bank nazionali per aggredire le sofferenze. E noi, con il problema che abbiamo in casa, andiamo a fare la guerra?
Non è una guerra vera, è un segnale: in campo bancario, Matteo Renzi ha pagato moltissimo e la sua più grande rabbia è che i suoi avversari, soprattutto interni, invece ne escano puliti, stante l’inutilità ontologica della Commissione d’inchiesta sul segreto bancario voluta dal governo. Mettere l’argomento nel mirino, lanciando granate dello stagno europeo, molto sensibile al tema, potrebbe far capire a chi di dovere che, scavando, di scheletri ne uscirebbero parecchi dagli armadi di altre banche che non fossero Etruria e le altre tre popolari, oltre alla venete. Soprattutto Banca 121, gestita da quel De Bustis molto vicino a Massimo D’Alema. E poi, se parli di banche e mantieni viva la cortina fumogena dello scontro con Bruxelles, magari i giornali parlano male di te. Ma hanno meno spazio per parlare di Consip. Prendendo per buona la mia idea di “governo parallelo” in azione, poi, una politica a muso duro verso la Germania e le istituzioni Ue potrebbe infatti drenare consensi nel bacino leghista a favore di Forza Italia, ormai a meno di un punto percentuale dal Carroccio nei sondaggi e desiderosa di intercettare chi ama le battaglia di Salvini contro Bruxelles, ma non i suoi toni e le proposte più estreme, vedi l’uscita dall’euro.
Mi sbaglio? Probabile. E lo spero. Perché una mossa del genere è di una pericolosità assoluta per la tenuta del nostro Paese, sia politica che a livello di conti. Una cosa è chiara, non si sentono particolari appelli al Quirinale, affinché fermi l’offensiva irrituale di Matteo Renzi. Forse più di qualcuno è d’accordo. Forse, è una sciarada alla Arthur Schnitzler.